Famiglia spezzata dai delitti

Famiglia spezzata dai delitti Famiglia spezzata dai delitti II papà-padrone massacrato sei anni fa VICENZA. Certo è un triangolo maledetto, quello veronese tra Montecchia di Crosara e Locara di San Bonifacio: prima Pietro Maso e i suoi complici, adesso l'uomo di Montecchia «arrotato» a Tregnago. Ma prima ancora la brutta storia della famiglia Peruffo, nell'estate del '91. Finita con un padre ammazzato, una figlia assassina e un'altra in galera con il fidanzato. Casa in campagna dall'aria mal messa a San Vito di Locara, due fratelli e due sorelle, una madre invecchiata prima del tempo e un padre-padrone con precedenti anche di violenza carnale sulle fighe. E' in questo ambiente di ignoranza che matura l'omicidio del padre-padrone Pietro Peruffo, fulminato mentre dormiva da un colpo di pistola artigianale: un delitto concepito dalla figlia maggiore Maria Cristina, allora ventiduenne, con il fidanzato Tiziano Albiero, di Arzignano, che aveva 32 anni. Concepito da loro, ma fatto eseguire dalla sorella minore di 16 anni. Era il 23 giugno, quando Marcellina, nelle prime ore del pomeriggio, era entrata nella stan¬ za da letto del padre Pietro: gli aveva puntato alla tempia la pistola scacciacani modificata da Albiero e, come gli avevano insegnato, aveva premuto il grilletto. Era iniziata così una piccola guerra dove la famiglia Peruffo, compresa la madre Lucia Vallarin e gli altri due fratelli Walter e Marco, cercavano di confondere le idee agli inquirenti. In realtà Marco Peruffo fu uno dei meno coinvolti nella vicenda. Tutti i fatti subito ruotano attorno alla giovanissima Marcellina, che dice di aver fatto da sola perché odiava quel padre cattivo. Ma non ci vuole molto al magistrato per capire che la ragazzina, sprovveduta e confusa, non può aver ideato un piano simile. Così piano piano salta fuori la verità: a convincere ad armare la minorenne è stata Maria Cristina con l'aiuto del fidanzato. Stufi, come lo era in fondo tutta la famiglia, delle angherie di Pietro Peruffo. Al processo racconteranno delle attenzioni morbose del padre verso le figlie e delle sue sfu¬ riate: «Signor giudice, non potevamo nemmeno lavarci i capelli perché non voleva che usassimo il phon, diceva che costava troppo...». Lui, chiamato anche «il Califfo», in realtà faceva piccoli affari e non sempre limpidi, mentre la vera fonte di reddito erano mogli e figli. La moglie, Lucia Vallarin, raccontò che a volte il marito le portava a casa l'amante e la costringeva a guardare le sue effusioni. Alla fine il tiibunale definì «indegno» il comportamento del padre padrone e non negò le disastrose condizioni familiari alle spalle dell'omicidio. Ma non ebbe comunque dubbi: Maria Cristina e Tiziano Albiero vennero condannati a nove anni e quattro mesi, Marcellina invece fu considerata non punibile. L'avvocato difensore disse: «Questi ragazzi pagano per uno Stato che non ha saputo fare prevenzione». Tiziano Albiero è già uscito dal carcere, Maria Cristina è ancora alla Giudecca di Venezia. '/////a wmm '//////, tmw v///M mmm ■///////, mmm //////A "mm '//> wmm Alessandro Mognon ■///////, mum '/////// mmm /. ■/////, m '///////. mmm ///////> mmm ws/// mm '//////>

Luoghi citati: Arzignano, Marcellina, Montecchia Di Crosara, San Bonifacio, Tregnago, Venezia, Vicenza