Bonn, paura dell'Unione

Bonn, paura dell'Unione Bonn, paura dell'Unione «Roma? Non ci possiamo ancora fidare» dunque che cosa si dice in proposito a Bonn. La prima considerazione - raccolta in corridoi certo più ovattati e refrattari al pettegolezzo di quelli romani - è che «entrare nell'Unione non risolve i problemi», e ne introdurrà anzi uno nuovo: la «mancanza di flessibilità», dal momento che le parità saranno fissate rigorosamente. «Che cosa succederà - ci si chiede al ministero delle Finanze - se si creeranno tensioni paragonabili a quelle seguite al ribasso della lira, due anni fa?». La seconda considerazione è che gran parte della diffidenza che in Germania si nutre nei confronti dell'Italia ha radici profonde, lontane. «Come possiamo fidarci di voi, se in 50 anni di democrazia avete cambiato più di 50 governi?», è la domanda che ci si sente proporre chiedendo un commento alle polemiche - cicliche, anch'esse - sul nostro ingresso in Europa. «Diventate più stabili, anzi rimaneteci, e la Germania si fiderà di voi». La terza considerazione è più «aperta». Perché se davvero «tutti i conti devono tornare fino all'ultimo», come il ministro delle Finanze Theo Waigel ha ripetuto a Davos, ribadendo il primato dell'economia sulla politica, c'è una buona probabilità che anche quest'anno i conti non tornino neppure per la Germania. A questo punto le strade dell'economia e della politica tornano a incontrarsi, nei corridoi e nelle stanze del potere di Bonn; ed è qui che nascono riferimenti, più o meno interessati, all'Italia. Perché il nostro Paese può servire da deterrente alle paure dei tedeschi, diventare «l'esempio da punire con l'esclusione», essere il capro espiatorio delle «debolezze comuni anche ai più forti», come suggerisce un esperto vicino al partito del Cancelliere: per indicare a chi ha paura dell'Euro che «i veri deboli» non riusciranno a inquinare la moneta comune, dunque. E perché l'Italia può offrire l'opportunità di un rinvio in extremis dell'Unione: nel groviglio di voci che invadono anche gli ovattati corridoi di Bonn, sono reazioni contro il governo, poco importa se espressione della sinistra. Precisamente a un governo che è espressione della sinistra deve essere dato atto, senza entrare nel merito delle riforme previste per le Ferrovie, con la loro separazione in due società, di avere iniziato le procedure per una trasformazione profonda delle attività economiche che gestisce senza ricercare un consenso preventivo e compromissorio con un mondo sindacale che alle consultazioni preventive e ai compromessi (caricati sempre, in un modo o nell'altro, sulle spalle dei contribuenti) era invece abituato da tempo. Metalmeccanici e ferrovieri, con vertenze diversissime accomunate da una casuale vicinanza temporale, vengono così a rappresentare le due facce di un Paese stretto tra l'esigenza di cambiare in profondità e l'anelito gattopardesco di non cambiare mai nulla nella sostanza. I GATTOPARDI DEL PUBBLICO IMPIEGO nel caso dei metalmeccanici è una struttura salariale credibile sul piano internazionale che consenta alle imprese italiane di stare sul mercato mondiale e quindi, in definitiva, che consenta all'Italia di guadagnarsi da vivere. E' un discorso che non trova, in fondo, impreparati né lavoratori né imprese perché negli ultimi dieci anni, con numerosi scontri verbali e qualche risultato positivo, l'hanno affrontato assieme. Molto diverso è il caso dei ferrovieri. 11 sindacato cambia pelle e atteggiamento quando smette il cappello del settore privato e indossa quello del settore pubblico. Sensibile alle nuove condizioni nel privato, nel pubblico invece risulta chiuso nella difesa di privilegi, spesso molto piccoli ma incredibilmente costosi per la collettività. Se nel privato fa brec¬ cia un discorso di produttività e riforme, lo stesso discorso rischia di scivolare via in maniera epidermica nel pubblico, lasciando tutto come prima. Ormai nessun Paese al mondo può più garantire ai propri dipendenti pubblici il posto di lavoro, spesso con la possibilità aggiuntiva di scegliersi la località in cui prestare servizio; né può permettersi, come avviene oggi in Italia, di non controllare, o di controllare in maniera saltuaria e inefficace, la produttività e la qualità delle prestazioni dei lavoratori. Eppure precisamente questa è la norma nei grandi servizi pubblici italiani, come sono appunto le Ferrovie, le Poste, la Scuola, l'Università, la Sanità e ogni tentativo, appena accennato, di cambiamento scatena immediate e durissime Mario Deaglio sempre più frequenti quelle secondo le quali anche in Germania è ormai nata la lobby della proroga. L'occasione: le difficoltà politiche di un Cancelliere alle prese con la morte del marco, una disoccupazione al record storico di 4 milioni e 100 mila senza lavoro, una maggioranza spaccata su riforme qualificanti come quella delle pensioni, e con un elettorato impaurito da un'Europa considerata capace soltanto di «conseguenze negative per la Germania». Il pretesto: le incertezze finanziarie di un Paese po- «Bisogna votare presto»

Persone citate: Mario Deaglio, Theo Waigel