Diventò regina: dei barboni

F F =1 Quel suono acustico che va diritto al cuore La vicenda vera di una donna che passò dai salotti al marciapiede Diventò regina: dei barboni A teatro la storia scritta dalla Cambria e DISCHI E il suono E il suono elettronico è sinonimo di ricerca, di sperimentazione, di nuova frontiera, quello acustico va dritto al cuore, toccando i sentimenti, le sensazioni più personali, spesso giocando sulle corde della nostalgia. Certo sono categorie più dello spirito che non razionali demarcazioni musicali, visto che la funzione stessa della musica è quella dell'arte ovvero dare forma a concetti, sensazioni. Guardiamo dunque un gruzzolo di proposte discografiche dominate dal suono acustico, in grado di regalare momenti di serenità, di dolci sensazioni. Una bella, gradevole oasi la offre «The acoustic highway collection: The roadto country rock» (Emi, 1 Cd). Avversato da concetti aprioristici e settari, il country ha una vitalità encomiabile, sa rinnovarsi arricchendo di nuovi suoni senza tradire la propria identità. Questa antologia di 19 brani raccoglie esempi di come la vecchia «musica dei cowboy» ha messo a frutto le contaminazioni seguite ad incontri con le aree pop e rock. Ci sono voci di un po' tutto il Nordamerica: il blues-rock del Sud con Leon Russell, il folksinger del Massachusetts Eric von Schmidt, l'enigamtica vena dal sapore dylaniano del texano Townes Van Zandt, le dolcezze folk del canadese Gordon Lightfoot, lo stravagante pianismo di New Orleans offerto da Biff Rose, la famosa «Everybody's talking» (dal film «Un uomo da marciapiede») eseguita con gran delicatezza dal suo autore Fred Neil nato in Florida. Nomi sicuramente da noi per niente noti, ma che sulle strade musicali d'America hanno regalato le proprie canzoni o le proprie virtù strumentali a personaggi come Bob Dylan, Bonnie Raitt, Linda Ronstadt, Paul Simon, Johnny Cash, Monkees. Un ottimo disco ricco di umori e sensazioni positive. Sulle dolci ali della nostalgia ci propone un viaggio a ritroso con «Across America» (Hybrid, 1 Cd) un grande fabbricatore di sogni musicali: Art Garfunkel. Dopo la sepazione avvenuta nel 1972,Garfunkel ha sicuramente avuto meno fortuna del suo compagno di chitarra Paul Simon. Questa antologia di successi, in esecuzioni dal vivo, ha il merito di riproporcelo in primo piano come merita. Diciassette i brani proposti a partire da quei successi che sono sempre sulla breccia come «Mrs. Robinson», «The sound of silence», «Scarborough fair», «El condor pasa», ma anche ia beatlesiana «I will», «Crying in the rain» (di Carole King) eseguita in duetto con James Taylor. Un disco di ricordi, ma anche di riscoperta. Garfunkel non ha una gran voce ma una sensibilità musicale eccelsa, un gusto particolare per gli arrangiamenti acustici. Peccato per la registrazione del concerto (la sala porta un rimbombo a volte fastidioso) viste le attuali tecniche a disposizione. Di straordinaria intensità, grazie ai meriti del suo titolare, è «Antologia napoletana» (Polydor, 1 Cd). Roberto Murolo - con la sua voce dolce e calma, con quella chitarra acustica accarezzata - dipinge con rara delicatezza quindici tra le più celebrate canzoni partenopee (da «Resta cu'mme» a «Malafemmina», da «'Na sera 'e maggio» a «Reginella», da «Serenatella sciuè sciuè» a «Voce 'e notte»). Di pari eleganza è l'arrangiamento che accompagna quest'ultimo vero erede della tradizione napoletana. Il disco inizia con «Caruso» eseguito con Lucio Dalla e «Cu'mme!» con Mia Martini (troppa differenza di stile). Ma si chiude con una rimarchevole versione solo vocale di «Te voglio bene assaje» eseguita con Lucio Dalla. Una registrazione improvvisata, per questo ancor più rimarchevole, dietro le quinte di un concerto tenutosi a Napoli nel luglio '96. Grandi canzoni colte nella loro essenza. ROMA. Era stata una regina dei salotti romani, estroversa, imprevedibile, ma sempre con quel senso della misura che - un tempo - avevano i grand commis di Stato e le loro consorti. Era bella, colta. Aveva tre figli maschi e un marito importante nella scacchiera della de e degli enti pubblici. Lavorava, come puericultrice. Alla fine degli Anni Sessanta finì sui marciapiedi. Dormiva fra i cartoni nei pressi della stazione Termini. Mangiava alla mensa dei poveri. Viveva fra sbandati, gente di colore. Era alcolizzata, magrissima: la chiamavano Miss Brandy. Vendeva il suo corpo e magari neanche veniva pagata in una furia di autodistrazione che sembrava infinita. Divenne una barbona, «La regina dei cartoni» come la scrittrice e giornalista Adele Cambria ha intitolato il testo che racconta la sua storia, un monologo interpretato e diretto da Saviana Scalfì, in scena dal 4 gennaio al Teatro Erba di Torino. Ricorda la Cambria: «La sentii una mattina a "Radio Luna". Aveva una voce roca, impastata. Raccontò di sé, con chiarezza, durissima verso il marito. Era l'80. Gli anni accesi dei femmi- ciato di velluto viola, calze nere smagliate, gonna lunga, un velo di fuliggine dalla fronte alla punta delle dita. Parlò per tutta la notte. Raccontò del marito - un meridionalista illuminato e colto - che aveva conosciuto in un paesino della Lucania dove tutti e due stavano lavorando. A Roma erano nati i loro figli, il maggiore aveva vent'anni, andava all'università e dallo psicanalista. Poi, da parte del marito, il primo tradimento: aveva abbandonato gli ideali di giustizia sociale che li aveva uniti e per opportunismo era diventato democristiano; lei, di origini popolane, di famiglia socialista, non aveva saputo perdonarlo. Il secondo tradimento fu più prevedibile: lo trovò a letto con la baby sitter. Allora aveva incominciato a bere. Era incominciato il disordine del tempo e dei gesti. Una sera aveva trovato la serratura cambiata. Una notte - raccontò - il marito aveva portato i figli a via Marsala e mostrato la madre, fra i negri e gli stracci: «Ecco per chi vi ha lasciato». «Il marito mi ricevette a un bar di piazza Navona, i Tre Scalini. Mi disse che aveva passato tre anni a inseguirla nei suoi deliri. Che era pazza, forse per una violenza subita da bambina. Irrecuperabile, secondo lui. Ma era disposto a pagare per una disintossicazione. I figli minori mi avevano chiesto di convincerlo a dargli un appartamento, dove volevano stare con la madre. Lui non era ostile. Sempre a patto che lei si disintossicasse. Temeva lo scandalo. E amava, cattolico, una donna fuori dal matrimonio». Incominciò allora un movimentato iter di insuccessi, altalene, bugìe, tentativi. Le suore di Frascati, dove una volta era stata ricoverata, non la volevano: troppe parolacce, troppa insofferenza, dicevano. Una clinica sulla Portuense dove si era riusciti a ricoverarla, la doveva dimettere - guarita - il sabato mattina. «Venerdì sera chiamò da Termini. "Mi avevano messo a vestire i morti. Me ne sono andata", disse». Non aveva documenti. Non reddito. Il marito aveva chiesto la separazione per colpa. L'avvocato Laura Remiddi ripescò la causa di separazione: lei aveva rinunciato agli alimenti. Per riaprire la causa doveva firmare una carta. Non lo fece mai. «Voglio la pensione per il mio lavoro, non i soldi da quel porco di mio marito» ripeteva. «Mi sentii impotente e non volli più vederla. Nell'83 è morta. Ai funerali c'erano la famiglia al gran completo e gli amici di un tempo. Fu pronunciato l'elogio della sposa e madre perfetta. Nessuno dei figli mi ha mai più cercata». Saviana Scalfì nismo. Mi parve un caso emblematico di fonia da matrimonio. Chiamai il conduttore della trasmissione, l'attore Gianni Elsner, che mi disse: "Macché barbona, quella! E' la moglie di un papavero de che ha minacciato di farci chiudere se lo nominiamo. La puoi trovare a un certo bar di via Marsala". Volevo conoscerla, tirarla fuori dal marciapiede». Si fece viva lei, una sera di pioggia. La Cambria la fece venire a casa sua in taxi. Scese come una gran dama, con un cappello arric- Una maglietta con scritto: «Vuoi dimagrire? Fai la cacca»