Pivano, grand tour d'America

la memoria. A colloquio con la scrittrice, che a luglio compirà 80 anni la memoria. A colloquio con la scrittrice, che a luglio compirà 80 anni Pivano, grand tour d'America «Il mio viaggio da Pavese alla beat generation» «Non sono mai stata l'amante degli autori di cui mi sono occupata Però, a ripensarci bene, che cretina sono stata!» MILANO ANTI auguri, Fernanda. Per il momento si riposa nella sua casa milanese, Fernanda Pivano classe 1917. Ma, tra circa un mese, per la più acuta interprete della letteratura americana s'inizieranno le grandi feste. Il 18 luglio, questa gran signora della penna, che appare eternamente giovane, curiosa, sempre alla ricerca di nuovi talenti, compirà ottant'anni. L'amica del cuore di Ernest Hemingway, la compagna di scorribande di Alien Ginsberg, William Burroughs, Gregory Corso, che ha sempre prediletto gli antieroi, gli anticonformisti, è, oggi, proprio lei, un'eroina tutta speciale. E' la testimone straordinaria di tante grandi avventure intellettuali del nostro tempo, con la sua capacità di raccontare in splendidi saggi le opere degli autori da lei più amati, da Jack Kerouao a Raymond Carver, da Brett Easton Ellis a Anne Tyler. E' una esploratrice che ha coltivato per decenni la passione dei grandi viaggi, delle scoperte intellettuali. E, oggi, avverte il peso dell'età? «Indubbiamente. La rinuncia che mi pesa di più - dice con malinconia - è di non poter più viaggiare». Sedentaria dunque nella sua casa milanese. Ma attivissima e molto celebrata. Nel capoluogo lombardo al teatro Armani sarà il giornalista-scrittore Furio Colombo a aprire i festeggiamenti in suo onore e ben tre editori, tra febbraio e luglio, manderanno in libreria sue opere. A maggio sarà pubblicato da Mondadori Altri scrittori; da Bompiani a luglio ci sarà Diario americano, e da Krassinelli sta uscendo, proprio in questi giorni, Album americano, raccolta di conferenze inedite su Ferlinghetti, Fitzgerald, Mclnerney, Richard Ford, Grace Paley e tanti altri ancora. Intanto la Pivano sta scrivendo (vi lavora tutte le notti fino alle quattro-cinque di mattina) la sua autobiografia per Mondadori. «Sono arrivata a pagina 850 e sono ancora agli Anni 60», si lamenta. La biografia della giovane e ricca Fernanda, dai biondi capelli lunghi fin oltre le spalle, comincia con il ricordo di quelli che sono stati i suoi grandi maestri. Cesare Pavese per primo che al liceo Massimo d'Azeglio di Torino le insegnava italiano e latino. «Ma con il latino Ernest Hemingway: «Bisognava parlargli all'alba. Dopo era tutto ubriaco» proprio non ci si trovava. Aveva difficoltà. Metteva un Bignami nel cassetto della cattedra e lo sbirciava di tanto in tanto. Però quando ci faceva lezione sugli scrittori, da Tacito a Guicciardini, il suo volto si riempiva di luce, faceva degli splendidi ritratti». E forse proprio da quelle appassionate lezioni del professore la Pivano ha imparato a disegnare i suoi stessi ritratti di scrittori americani, raccontati in modo appassionato, in cui stile e scrittura non sono mai separati dalla vita. L'americanista rivide poi Pavese dopo gli anni del confino, dov'era stato inviato per attività cospirativa dal fascismo. «Ero in piscina. Avevo un costumino rosso. Lui era in compagnia di Norberto Bobbio ed era vestito in modo proprio singolare, con calzoni di flanella tagliati a metà coscia e tenuti su con lo spago. Chiese mie notizie e si mostrò addolorato del fatto che mi avessero bocciata alla maturità classica. Ero in classe con Primo Levi e «Ma ho "scoperto" anche molti italiani del calibro di Flaiano e Euzzati» LETTERE AL GIORNALE: IL LUNEDI" DI O.cLB. tutt'e due eravamo andati molto male in italiano, io avevo addirittura preso tre in quella materia. Pavese, dopo quel nostro primo incontro, cominciò a darmi lezione di letteratura americana e mi prestò dei libri tra cui l'antologia di Spoon River. Per divertimento iniziai a tradurla di nascosto. Quando Cesare lo scoprì, cominciò a darmi alcuni scrittori americani da leggere e così corniciò il mio lavoro di traduttrice». L'altro suo maestro chi fu? «Il grande critico americano Malcolm Cowley. Ha messo le basi della letteratura americana: prima di lui Faulkner e Hemingway come scrittori riconosciuti e apprezzati non esistevano. Era poi il centro di gran parte dell'intelligencija americana». E Hemingway, non era anche lui un punto di riferi- li larghi e giacche simili alle sue. Andava in Africa sulle sue orme». La letteratura americana in Italia com'è stata accolta? «Male. E' sempre stata considerata troppo semplice, un giochetto da bambini. Senza capire l'alto artigianato che c'è dietro. Per esempio Hemingway l'ultima pagina di Addio alle armi l'ha riscritta 27 volte. Le faccio un altro esempio: io stessa avevo pubblicato un romanzo, di recente ristampato, Cos'è più la virtù. Lo feci presentare alla mia amica poetessa Maria Luisa Spaziani, in un teatrino di Trastevere. Lei esordì: "Io la letteratura amerir'uia la detesto. Quel modo di scrivere 'lui disse', 'lei disse', lo trovo orrendo. Il personaggio dev'essere presentato con la sua psicologia, con la sua condizione sociale". E pensare che il mio libro procedeva a forza "io dissi", "lei disse". Ma gli italiani sono sempre stati più legati alla letteratura francese e al surrealismo». Quali saranno le rivelazioni della sua autobiografia? «Tutti si aspettano tanti pettegolezzi. Saranno delusi. Non ve ne saranno. Non sono mai stata l'amante di nessuno degli scrittori di cui mi sono occupata. Però, a ripensarci bene, che cretina sono stata!». E Fernanda sorride con un po' di nostalgia. «Moravia era molto invidioso della prestanza fisica di Hemingway» mento intellettuale? «Certo, ma non lo nomino, perché non mi sono mai sentita degna nemmeno di lucidargli le scarpe. Qualunque cosa dicesse era una staffilata, una trovata ricca di genialità e di intelligenza. Ma bisognava parlargli prima delle cinque di mattina. Dopo era tutto ubriaco». Le è capitato di scoprire, oltre agli americani, anche scrittori italiani? «Ho dedicato articoli a personaggi del calibro di Buzzati e di Flaiano, prima che la critica parlasse di loro. Con Flaiano e altri amici del gruppo romano avevamo intensi rapporti, quasi quotidiani. Ci vedevamo spesso con Elsa Morante, Moravia, Guttuso e tanti altri. Moravia era dotato di grande bontà. Ebbe solo un momento di scarsa generosità: quando morì Hemingway gli fece una tremenda stroncatura. Ma era comprensibile. Moravia era molto invidioso della prestanza fisica di Hemingway, si vestiva come lui, metteva cappel¬ Fernanda Pivano. Sopra Cesare Pavese, che fu suo insegnante ai liceo D'Azeglio di Torino Mirella Serri uno scandalo grosso, ma implica un giudizio severo sul crescere dell'intolleranza tra gli annnali umani e la perpetua attuazione di discriminazioni razziste. Ma questo non può coinvolgere gli animali non umani che sono assolutamente innocenti. Lei mi rimproverava di definire persone gli animali non umani e di scardinare così l'intera società. Credo proprio che lei mi sopravvaluti e di molto. Non sono detentore di alcun potere e sbaglio spesso. Però sfido chiunque, anche lei, a convivere per qualche tempo con un cane senza identicare in lui una persona, riconoscendogli carattere, affetto perspicace, comprensione in dosi che non sempre riscontriamo in certi animali umani. Lei rimprovera La Stampa di aver tollerato la pubblicazione di una affermazione scandalosa come la mia, allora mi autodenuncio. Sono io a sottoporre, come sempre, alla direzione

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