la seconda pace di Davos di Aldo Rizzo

Al Forum economico il negoziato prende nuovi impulsi, mentre si annunciano novità anche con la Siria Al Forum economico il negoziato prende nuovi impulsi, mentre si annunciano novità anche con la Siria la seconda pace di Davos «Vertice» tra Arafat, Mubarak e Netanyahu r OSSERVATORIO OSSERVATORIO La via economica della piccola Europa Come l'anno scorso pochi mesi dopo l'assassinio di Robin, dal World Economie Forum 0 processo di pace in Medio Oriente, di nuovo invischiato in asprezze malgrado la firma dell'accordo su Hebron alcune settimane fa, riprende nuovi impulsi. Giunti con molte riserve l'un verso l'altro, Netanyahu, Mubarak e Arafat, dopo aver avuto ieri incontri separati, rilanciano il cammino verso le intese, cercando il coinvolgimento della Siria. Netanyahu e Aral'at hanno deciso di incontrarsi di nuovo giovedì prossimo a Erez, sul confine della striscia di Gaza, per concordare l'applicazione delle altre parti dell'accordo su Hebron dopo il ritiro israeliano. Mubarak, che da sei mesi si rifiutava di incontrare Netanyahu finché Israele non si fosse ritirato da Hebron, lo ha invitato al Cairo. Definendo il colloquio con Bibi «molto positivo», il leader egiziano dichiara: «La pace avanza su tutti i fronti. Egitto e Israele sono i pilastri del processo di pace». Sulla Siria, con cui i negoziati sotto l'ombrello americano si sono interrotti un anno fa, egli dice che Damasco è pronta a ricominciare le trattative malgrado persistenti riserve: «E' questione di tempo ed è destinata ad essere risolta. Gli americani stanno cercando una formula che vada bene alle due parti perché riprenda il negoziato». Netanyahu, annunciando in una conferenza stampa il suo prossimo incontro con Arafat, riferendosi al colloquio «molto produttivo» avuto con lui dichiara: «C'è una nuova attitudine, forse un nuovo inizio, un senso di speranza. Ciò non vuol dire che non ci siano ostacoli, ma sono certo che sapremo superarli grazie ai risultati di oggi». Anche Peres è in questi giorni a Davos, e in seduta plenaria Arafat gli tributa mi omaggio, scendendo poi in platea per abbracciarlo calorosamente. Poco di personale, invece fra Bibi e Arafat. «I nostri rapporti dice Bibi - si svolgono sulla base di reciproche responsabilità. Cerchiamo di individuare gli aspetti positivi». E Arafat, ha fiducia in Netanyahu? 11 rais dribbla la domanda con un gran colpo di demagogia: «Ho fiducia in tutti gli israeliani, perché non dimentico la stragrande maggioranza con cui la Knesset ha approvato il processo di pace». Condivide «il nuovo inizio, il senso di speranza» di cui ha parlato Bibi? «Lo spero». Malgrado il rilancio di Davos, il cammino della pace resta difficile, e complesso l'atteggiamento dei protagonisti anche in relazione agli umori delle loro situazioni interne. Prima dei colloqui, Mubarak aveva espresso preoccupazioni per la capacità di tenuta interna di Arafat davanti alla fermezza israeliana, dicendo averlo trovato «pessimista». Dopo gli meoraggianti incontri i tre leader Il premier israeliano «Leggo tutti gli articoli di Montanelli» DAVOS DAL NOSTRO INVIATO Passi avanti sull'allargamento della Nato ai Paesi dell'Est Il primo ministro israeliano Benjamin Net hanno parlato in sessione plenaria, ma arrivando l'uno all'uscita dell'altro, per non mostrarsi insieme. Il discorso di Arafat è stata una requisitoria verso Israele su più punti: la «punizione collettiva» con l'isolamento per mesi dei Territori occupati, che ha causato una perdita quotidiana di sette milioni di dollari e il crollo del 35 per cento del reddito dei palestinesi: l'allargamento degli insediamenti ebraici; il rifiuto di collegare Gaza e la sponda occidentale del Giordano con meno restiizioni nel movimento di merci e persone; il rifiuto a un aeroporto e un porto POI VISITA AL L PAPA EUROPA comunitaria sta per celebrare il quarantesimo anniversario dei Trattati di Roma e ancora si discute se sia giusto e opportuno affidarsi all'integrazione economica, e ora anche monetaria, oppure se non sia più importante la via dell'integrazione politica. Naturalmente, tutti vorrebbero l'ima e l'altra, ma mi sembra prevalga al momento, o sia comunque molto diffusa, una certa diffidenza verso la via economica, e un'aspirazione forte al recupero della via politica. Questo problema era ben presente sabato al convegno dell'Aspen, sul quale hanno ampiamente riferito i giornali di ieri. Ma vorrei aggiungere una breve «nota in margine». Quarant'anni fa, la via economica fu scelta dai sei Paesi «fondatori» per il semplice fatto che la via politica era fallita, tre anni prima, per il «no» francese alla Comunità europea di difesa, che aveva ovviamente fortissime, decisive implicazioni politiche, nel senso della sovrannazionalità. Lo sa bene Mario Segni (che con Francesco Cossiga ha espresso le più forti riserve su quest'Europa «senz'anima»). Lo sa perché, come ha ricordato, il suo europeismo, noto e indiscutibile, nacque e maturò in famiglia. E infatti il presidente del Consiglio Antonio Segni fu, col ministro degli Esteri Gaetano Martino, il protagonista italiano del rilancio «economico» dell'Europa, e il firmatario dei Trattati del Campidoglio. Il Trattato di Maastricht, e l'Unione economica e monetaria che ora ci appassiona e ci tormenta, sono la conseguenza logica di quell'impostazione di quarant'anni fa. Dall'unione doganale siamo passati al mercato unico, e quest'ultimo non può reggere alla lunga senza una moneta comune, che ponga fine agli sbalzi dei cambi e alle svalutazioni competitive. Sembra poco? La moneta unica è uno degli attributi essenziali della sovranità anche politica, col controllo del territorio e il monopolio dell'uso legittimo della forza. E dà un forte senso d'identità comune a coloro che la usano, come ha ricordato Giscard d'Estaing. Certo, anche negli Stati nazionali, il potere delle Banche centrali, anche sommamente indipendenti come in Germa- zion cent indi] zionacentrindipzion I cent I indi] anno alzato i prezzi, continuano cortei e arresti nia, si colloca in un contesto politico-istituzionale più ampio, ha dei contropoteri, e insomma può condizionare ma non determinare le politiche di bilancio e la strategia dello sviluppo. Lo ha ricordato efficacemente Luigi Spaventa, lamentando che un tale contesto in Europa non ci sia. E quindi il pericolo di una deriva tecnocratica (l'Europa dei banchieri). Ma la soluzione non può essere in un qualche organismo politico di controllo della Banca europea, senza la cui indipendenza la Germania non marcia, e allora parliamo d'altro. Può essere semmai in un organismo politico «complementare» e non egemonizzante. Più concretamente, può essere nella nascita di una vera autorità politica europea accanto a quella economico-monetaria, in modo da dar vita al sistema politico-istituzionale più ampio. E siamo al punto. Perché non c'è quest'autorità politica, e perché nemmeno si prefigura nella revisione di Maastricht? Beh, non per colpa dell'Italia (che di colpe ne ha, ma di altro genere) e neppure della Germania. La revisione di Maastricht (per la parte politico-istituzionale) è bloccata da una serie di no della Gran Bretagna, con seguito di Danimarca e Svezia. E quindi è lì che bisogna rivolgersi, senza svalutare l'Uem, che resta oggi la prospettiva fondamentale (che l'Italia ce la faccia o no ad entrarvi subito). Oppure... Oppure c'è l'esempio di francesi e tedeschi, del loro recentissimo accordo di cooperazione militare, che non esclude l'arma nucleare e prefigura un sistema strategico europeo, dentro una Nato rinnovata. Se gli altri vorranno seguire... Questa però si chiama «flessibilità», cioè «doppia velocità», espressioni anch'esse controverse, pur essendo, a me pare, la chiave del problema. zzo :zoJ Aldo Rizzo :zoJ