Clinton, caffé col mafioso di Franco Pantarelli

Il presidente fa immediata autocritica: «Non era la persona più adatta da invitare alla Casa Bianca» Il presidente fa immediata autocritica: «Non era la persona più adatta da invitare alla Casa Bianca» Clinton, caffé col mafioso Lo rivela il cronista del Watergate ■■■■■W SENATO USA Un mafioso alla casa Bianca! Non bastavano i mercanti cinesi di armi come Wang Jung, i ricercati dall'Interpol come il libanese Roger Tamraz e i tanti personaggi poco raccomandabili che negli anni scorsi hanno varcato i sacri cancelli della Pennsylvania Avenue per pernottare nella stanza di Abramo Lincoln o semplicemente per prendere un caffé con Bill Clinton (e poi passare alla cassa del partito democratico per uno «spontaneo contributo!: ora si scopre che fra quei signori c'è stato anche uno coinvolto con Cosa Nostra. Il suo nome è Eric Wynn, di mestiere fa (ovviamente) il finanziere e fra i «beneficiati» delle sue attività speculative ci sono stati i familiari di Frank Coppa, indicato dall'Fbi come un «capitano» della famiglia Bonanno, una delle cinque che «governano» New York. La rivelazione è apparsa ieri sul «Washington Post» e poiché portava la firma di Bob Woodward, quello del Watergate, ed era documentatissima, la Casa Bianca non ha nemmeno tentato di smentire. Ha preso Lanny Davis, il suo portavoce «in seconda» (il titolare Mike McCurry l'ha scampata perché era sabato) e lo ha spedito in sala stampa a pronunciare un imbarazzato mea culpa. «In base ai NEW YORK NOSTRO SERVIZIO LA TRATTA DELLE BRANCHE KOPLIK (Albania) DAL NOSTRO INVIATO <iJam une», disse. E pareva la cosa più normale del mondo. «Jam une», «Sono io». Non aggiunse neppure il nome perché sapeva che lo avrebbero riconosciuto. Erano mesi che Dode non telefonava a casa e nessuno l'aveva cercato, perché doveva fare giustizia, doveva ammazzare tre persone, là in Italia: suo cognato, che è un giovanotto bello e senza cuore, un suo amico, che non è neppure bello, e un italiano. Glielo imponevano il codice e un furore smisurato.. «Ancora niente, non li ho trovati», disse. Dall'altra parte, a Theth, che sono poche case in una gola stretta e senza fine nel mezzo alle montagne del Nord, suo padre sospirò: «Continua». Era notte quando Dode Shestani s'era imbarcato a Durazzo. In tasca aveva tutto il patrimonio di famiglia, poche centinaia di dollari. Era slato il padre e consegnarglielo. «Ti servirà». Sì, quei soldi gli sarebbero stati utili per la vendetta. Cerche quei tre avevano deciso che il destino di sua sorella Raimonda sarebbe stato ugualmente orrendo a quello di tante altre ragazze raccolte in Albania e portate in Italia, in Grecia, in Germania. Anche con Raimonda è andata così, è scritto nelle 23 pagine del dossier numero quattordici della polizia di Scutari, gennaio 1996. Anche lei, per sua sfortuna, è stata scelta da un ragazzo che doveva aver valutato quanto avrebbe potuto rendere. Lei, quel giorno, 18 anni, carina, capelli biondi e ricciuti, gli ocelli profondi e chiari, il sorriso timido. Lui ha l'aria spavalda e vissuta: lo sa che non guasta. E poi, abiti eleganti, l'auto, denaro nelle tasche. E, dice, un mestiere. «Vivo da quattro anni in Italia, lavoro in una fabbrica di imballaggi, nei dintorni di una città su nel Nord», le dice. Si chiama Fran, Raimonda la conosceva di vista, avvicinarla non era stato un problema. E poi, aggiunse, lui non era uno di quei bellimbusti che perdono tempo nei bar a bere e a giocare a tavell: lui aveva intenzioni serie. Non si scoraggiò neppure quando lei gli rispose di non averne affatto, di intenzioni. Del resto, anche se lei non lo sapeva, lui e i suoi amici nel business avevano già investito denaro e non ce l'avrebbero certo rimesso, soltanto perché la ragazza non gradiva le attenzioni. E poi, tante altre volte era andata liscia come l'olio, era bastato presentarsi e sventolare il miraggio di una vita diversa, A destra: il presidente Bill Clinton A sinistra: il giornalista del Washington Post, Bob Woodward, autore del celebre scoop sul «Watergate» dicato come vicino alla famiglia Lucchese), nella raccolta di fondi per la grande festa al Radio City di New York per il cinquantesimo compleanno di Clinton, in cui furono raccolti 11 milioni di dollari. Quanto a cosa cercava in cambio, prima di queste rivelazioni Wynn andava in giro dicendo di avere in piedi una richiesta di «perdono giudiziario» per le sue malefatte finanziarie. Chissà. Franco Pantarelli PAGINA