la sinistra abbraccia Soros di Enzo Bettiza

Intorno Domenica 2 Febbraio 1997 LA STAMPA LA GRAZIA DEL MESSIA e da Roma dove, quasi in simultanea, si sono svolti due convegni di riflessione sulle incognite di Maastricht. Perfino un manager competente come Cesare Romiti, che in genere concede poco all'eloquio poetico, messo alle corde dalle diatribe roventi in corso, s'è visto costretto a esprimersi con immagini alte e forti sull'enigma dell'appuntamento italiano con la problematica unione monetaria. Sostenendo, come in parte è vero, che la politica oggi è latitante in tutta Europa, non soltanto in Italia, egli ha alzato tono e tiro con l'esortazione: «E' tempo che le forze politiche europee si mettano insieme e ci ridiano un'anima, una speranza, dato che il traguardo Maastricht ora come ora somiglia più a una punizione che a una redenzione». Il problema dell'anima che manca all'Europa è ovviamente una metafora, una perifrasi, per dire con altre parole che all'Europa dei Quindici oggi mancano soprattutto la politica, la volontà politica, l'antidoto politico quale correttivo degli abusi e soprusi che all'Unione infligge l'egemonia usurpatoria dei banchieri e dei tecnocrati monetari. Dopo le indiscrezioni filtrate dal convegno di Davos, concernenti un possibile ritardo italiano all'incontro con l'Euro, la risposta e il messaggio lanciati dal convegno di Roma sono stati pressoché univoci. Da Romiti a D'Alema, da Segni a Cossiga, da La Malfa a Marini, da Ciampi ad Amato, tutti hanno criticato la prevaricazione della dimensione bancaria su quella politica, dei «numeretti» sulle idee, dei «parametri» e dei «criteri» sulla vocazione storica all'integrazione condivisa dalla maggioranza dei Quindici: anche e soprattutto da quelli, come italiani e spagnoli, che non hanno i conti in regola per superare l'esame d'ammissione. Qui però va onestamente detto che la posizione dell'Italia, rispetto all'ignota realtà futura e al robusto mito attuale di Maastricht, è delle più singolari e paradossali che si possano immaginare. La scommessa europea è stata mio dei più alti investimenti anche morali della politica estera italiana. Si pensi soltanto al sodalizio storico di De Gasperi con Adenauer e Schumann, si ricordi il preludio di Messina promosso dal ministro degli Esteri Martino, si torni con la mente al primo trattato comunitario firmato e decollato da Roma, si rifaccia il computo dei primi sei fondatori del Mercato Comune: Italia, Francia, Germania, più i tre del Benelux Si ripensi a tutto questo e lo si commisuri oggi alla voce, purtroppo insistente, che esclude l'Italia dal gruppo di testa dei Paesi idonei all'abilitazione di Maastricht e mette al suo posto l'Austria, ultima arrivata, accanto agli altri cinque con cui cominciammo per primi a costruire l'Europa. Da quella nobile e promettente sestina d'avanguardia siamo stati retrocessi, per decisione dei banchieri tedeschi, ma anche per colpa nostra, alle file di retroguardia. Dico per colpa nostra perché proprio il trattato di Maastricht, che naturalmente abbiamo voluto firmare nel 1992, ha subito messo in luce che l'Italia, fra i maggiori fondatori dell'Unione, era diventata nel frattempo uno dei maggiori trasgressori delle regole del trattato stesso. Con il buco cronico del disavanzo pubblico, che l'ultima Finanziaria lia sanato di pc-o. ci siamo allontanati ancor più da quei parametri di buoi: governo che l'unione monetaria esige. Come ha notato Sergio Romano, i tre negoziatori italiani, Andreotti, Carli, De Michelis, erano perfettamente consapevoli che l'Italia, nei 12 anni precedenti il '92, aveva accumulato un debito pubblico pari al doppio di quello considerato accettabile dall'accordo su cui stavano mettendo le loro firme. Avevano accolto alla leggera le condizioni di un testo da cui eravamo macroscopicamente lontani. Maastricht fu insomma per l'Italia, a parole sempre europeista, una vittoria simbolica in cui si celava il deficit di un ritardo reale. Ora si pianga pure sul latte versato. S'incolpi pure la Bundesbank di egoismo egemonico, si denuncino pure le manovre sottobanco della Francia. Ma, alla fin fine, l'Italia si guardi allo specchio e si veda quale in realtà è: fisco alto, spesa pubblica sempre altissima, privatizzazioni inquinate, maggioritario insidiato dal proporzionalismo di ritorno, istituzioni e Costituzione che la Bicamerale ritoccherà qua e là senza riformarle alla radice. L'Inghilterra, che dopo avere smantellato il suo Stato sociale ha il passaporto in regola per Maastricht, non vuole entrarci. Noi, che abbiamo sempre in piedi lo Stato assistenziale e siamo quindi privi di passaporto, vorremmo invece entrarci ad ogni costo. Dubito che la grazia del Messia monetario potrà posarsi il 10 gennaio 1999 sul capo dell'Italia e degli italiani. Enzo Bettiza Tj Intorno la sinistra abbraccia Soros