BOCCA VIAGGIATORE Al CAFFÉ «Dieci anni di solitudine a Torino amata-odiata guida di noi provinciali» di Cesare Martinetti

BOCCA, VIAGGIATORE Al CAFFÉ' BOCCA, VIAGGIATORE Al CAFFÉ' «Dieci anni di solitudine a Torino amata-odiata guida di noi provinciali» Per i Caffè Letterari, dell'Unione Industriale di via Fanti 17, lunedì 3 febbraio, alle 15, Giorgio Bocca presenta il suo libro «Il viaggiatore spaesato» edito da Mondadori. I biglietti ad invito sono esauriti. ARRIVA a Torino Giorgio Bocca per presentare il suo ultimo libro ed è forse ora di chiarire per bene una questione irrisolta: Bocca ama o odia i torinesi? Nel «viaggiatore» c'è per l'appunto un paragrafo intitolato «i torinesi», cinque paginette dove si snoda questo sentimento contradditorio: «Torino - scrive - è una città seria nella sue virtù come nei suoi vizi...». Dunque, con tutta la serietà adeguata alla circostanza, abbiamo provato a insistere per chiarire davvero la questione: caro Bocca, lei ama o odia i torinesi? Dalla sua nuova casa di Milano, l'aspro cuneese ci risponde subito con un'espressione che attraverso il filo del telefono ci sembra un ironico sorriso. «La verità - dice Bocca - è che da provinciale subalterno quale io ero e sono, al cospetto di Torino e dei torinesi, ho sempre provato un senso di inferiorità. D'altra parte Torino ha fatto pesare la sua superiorità nel corso della storia su tutto il Piemonte e persino sulla Liguria: in ogni città c'è una piazza con i portici copiata da piazza Vittorio. Torino, insomma, per noi piemontesi, era la città-guida». Ma non lo è anche Milano per la Lombardia e forse anche di più? «No, il rapporto tra Milano e, per esempio, Bergamo o Brescia à ben diverso. Nessuno si sente inferiore». E quali sentimenti le ha generato questa subalternità provinciale? «Contrastanti: a Torino c'erano delle élite culturali, religiose, intellettuali che mi affascinavano, ma erano dei circoli chiusi. Dall'altra parte ho sempre avuto un culto militaresco per la Fiat». E quindi? «Di conseguenza il mio rapporto con la città è stato molto scisso, anche perché io sono sempre stato anticomunista e non avevo appoggi di nessun tipo. Le élite intellettuali mi respingevano; l'establishment della Fiat, invece, per me era inarrivabile». E' per questo che ce l'ha con i torinesi? «Il dottor Romiti ogni volta che mi vede mi chiede questa stessa cosa: perché ce l'ha con i torinesi? Ma non è così. Certo che a Torino, ho vissuto una decina d'anni di solitudine. Stavo quasi per chiedere una stanza dove dormire alla Gazzetta del Popolo, l'unico luogo dove avevo dei rapporti. Nessun rappresentante della borghesia professionale, per dire, mi ha mai invitato a casa sua. Ogni tanto mi invitavano degli aristocratici con i quali avevo fatto la Resistenza, ma con loro c'era un altro rapporto». E a Milano? «Dopo una settimana che abitavo a Milano, ricevevo un invito ogni sera». Bocca, torniamo al punto di partenza: lei ama o odia i torinesi? Sul suo libro si legge che Torino «alleva uomini onesti fino alla morte e ruffiani e ipocriti superlativi». Dunque, per lei, non ci sono proprio altri aggettivi per definire i torinesi? «Sono anche intelligenti ed efficienti». Grazie. Ma perché non l'ha scritto? Cesare Martinetti

Persone citate: Bocca, Giorgio Bocca, Romiti