PER AUGUSTO POLLICE VERSO di Antonio SpinosaAngelo D'orsi
PER AUGUSTO POLLICE VERSO PER AUGUSTO POLLICE VERSO L'Imperatore visto da Spinosa AUGUSTO IL GRANDE BARO Antonio Spinosa Mondadori pp. 220 L. 30.000 OMA, estate 1939. Il regime fascista compie l'ultimo, tragico passo verso la guerra. Ed ecco che un grande storico dell'antichità destinato all'esilio, Arnaldo Momigliano, esce dalla sua tradizionale riservatezza per ricordare agli italiani che la dittatura sotto cui vivono ha un drammatico precedente: quello di Augusto. V'era stata una «marcia su Roma», insomma, duemila anni prima di quella che il fascismo esaltava; e dall'una e dall'altra era scaturito uno Stato totalitario, aperto a ogni avventura. Paradossalmente, il paragone non dispiaceva al duce del fascismo, anche se in tutt'altro senso, s'inten- AUGUSTO IL GRANDE BARO Antonio Spinosa Mondadori pp. 220 L. 30.000 de, da quello voluto dal grande storico: come celebrazione di una nuova potenza, di una nuova gloria sotto i colli fatali di Roma. Per questo volle un'architettura monumentale che esaltasse i rinnovati fasti imperiali; e s'ispirò alla Roma di Augusto, come all'immagine di lui ispirò per vari aspetti la propria. A visitare la nuova Roma di marmo (ma con qualche scenario di cartone) venne nel 1938 l'altro grande dittatore del tempo; e il poeta Trilussa, con l'arguzia tradizionale romana che era impossibile spegnere, commentò: «Roma de travertino, / rifatta de cartone, / saluta l'imbianchino, / suo prossimo padrone». Orbene, a contestare l'immagine tradizionale di Augusto, a evidenziare quante lagrime e quanto sangue scorressero sotto i ponti di una città proclamata eterna, soprattutto a mostrare l'astuzia e la mancanza di scrupoli che concorsero a formare quell'immagine, Antonio Spinosa dedica ora una biografia il cui titolo è già un programma: «Augusto il grande baro». E alla luce di questo giudizio (si direbbe meglio: alla sua ombra) ripercorre la carriera del fondatore di Roma imperiale. Utilizzando con abile cinismo la finzione repubblicana e al contempo svuotando il passato sistema politico di ogni contenuto effettivo, argomenta Spinosa, Augusto si fa nominare console a poco più di vent'anni, tribuno della plebe a quaranta, pontefice massimo e censore a cinquantuno. Così, grazie all'accumulo delle cariche, di- L'Imperatore A usto viene il padrone assoluto di un vasto impero, che riesce a rendere ereditario. Chi volesse sapere in quale preciso momento nacque la dittatura, potrebbe trovarsi nell'imbarazzo proprio a causa di questa evoluzione strisciante; ma sul fatto che la dittatura nascesse, non v'è dubbio alcuno. Mediocre condottiero in proprio, Augusto si servì ad Azio di Agrippa e ai confini europei di Tiberio. Ma il caso più tipico è quello della Britannia, con cui Augusto predicava la pace (anche perché, aggiungeva, la gente era lì tanto brutta che non v'era nulla da temerne). Il commento più acuto e drammatico venne da un re britannico, come ci riferisce Tacito. I Romani, egli disse, sono predatori del mondo intero, chiamano impero il trucidare, il rubare: «Dove passano fanno il deserto; e parlano di pace!». Senza dubbio, questo di Antonio Spinosa è un libro a tesi: evidenzia tutto quello che v'è di negativo nella personalità di Augusto, ne traccia un ritratto impietoso in cui i tratti di umanità (che pure esistevano nella sua figura) vengono minimizzati, taluni aspetti di genialità (e anche di equilibrio politico) vengono crudamente smontati nell'immagine del «grande baro». Ma il libro vuol essere questo, di-'chiaratamente; e dopo tante oleografie, un'immagine «contro» è benvenuta per ristabilire l'equilibrio della storia. L'Imperatore Augusto Sabatino Moscati L'esame comparato delle due forze dì massa tra il '43 e i primi anni della nostra Repubblica lavorano soprattutto nell'ambito sovrastrutturale (cultura e ideologia), i democristiani puntano sulla concretezza del quotidiano, sui bisogni primari, sollecitando e promettendo, ma, soprattutto, ponendo sul piatto della bilancia non soltanto il mito americano ma gli aiuti concreti che l'interessatissimo Zio Sam offriva. Uno degli errori più nefasti della sinistra italiana fu di attaccare il Piano Marshall, opponendo ai dollari, e al loro tangibile profumo, gli astratti e a loro modo eroici discorsi sulle realizzazioni dell'Unione Sovietica, lo «Stato che aveva soppresso ogni inuguaglianza nella sesta parte del mondo». Il risultato della lotta fu una riprova non solo della persistenza e della diffusione del timore dei «rossi» nella società italiana, ma anche della forza irresistibile delle cose davanti a quella ben più resistibile dell'ideologia. mente lasciate cadere da parroci, vescovi e alti prelati, fino a Pio XII. Anche nelle forme della propaganda, tuttavia, le distanze tra de e pei sono relative: in fondo entrambi, che pure sperimentano una vasta gamma di azioni comunicative (dal giro d'Italia in bicicletta ai giornali murali, dai comizi volanti ai teatrini di campagna, dalla radio alle scritte sui muri), privilegiano il contatto diretto con il singolo cittadino-elettorale, in una estenuante caccia all'ultimo voto. La differenza è però che mentre i comunisti puntano sulle grandi opzioni ideali, e Angelo d'Orsi
Persone citate: Antonio Spinosa, Arnaldo Momigliano, Augusto Pollice, Pio Xii, Sabatino Moscati, Spinosa, Spinosa Augusto, Tacito
Luoghi citati: Azio Di Agrippa, Italia, Roma, Unione Sovietica
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