Occupazione, Prodi corre ai ripari

Nel '96 le retribuzioni salgono del 4,1%. Cipolletta: i veri senza lavoro sono solo 175 mila Nel '96 le retribuzioni salgono del 4,1%. Cipolletta: i veri senza lavoro sono solo 175 mila Occupazione, Prodi corre ai ripari Via alla «task force» e ai contratti d'area J^j^ ^^^^^^^ ^^^^^^^^^^^^^^B "1 Nella crisi del Giorno un'anomalia italiana ROMA. Dopo gli incentivi per il mercato dell'auto e l'edilizia, 0 governo punta all'attuazione del provvedimento che agevola investimenti per 40 mila miliardi nella piccola e media industria, è pronto a facilitare la realizzazione dei contratti di area, spinge verso forme di flessibilità specie nelle regioni meridionali e sta definendo una serie di altre iniziative per rilanciare lo sviluppo, ma soprattutto per creare nuovi posti di lavoro. E' questo il risultato di un «vertice» svoltosi ieri a Palazzo Chigi sotto la presidenza di Prodi e con la partecipazione del vicepresidente del Consiglio Veltroni, dei ministri dell'Industria Bersani, delle Finanze Visco, del Lavoro Treu, del sottosegretario alla Presidenza Micheli, dei sottosegretari al Tesoro Macciotta e ai Lavori pubblici Borgone. Il tema all'ordine del giorno era la lotta alla disoccupazione, e il «vertice» interministeriale lo ha ampiamente trattato sotto la pressione degli ultimi dati allarmanti resi noti dall'Istat, ma nelld stesso tempo si è soffermato su altri problemi che rendono complessivamente esplosiva la situazione nel mondo del lavoro. Mentre nell'ottobre '96 si è registrato nell'industria un calo dell'occupazione del 3,5% su base annua, il ricorso alla cassa integrazione è aumentato nell'intero anno del 7,4%, le ore di lavoro perse a causa di conflitti sono passate dai 6 milioni del 1995 ai 7,9 milioni del '96 con un aumento del 31,7%. Sempre lo scorso anno le retribuzioni hanno segnato un incremento medio del 4,1% con punte massime del 6% nel credito e nelle assicurazioni e del 6,1% nella pubblica amministrazione, e punte minime in agricoltura ( 1 %) e nel settore dei trasporti-comunicazioni (1,5%). Priorità assoluta, dunque, all'emergenza-occupazione, ma massima urgenza anche per i rinnovi dei contratti di lavoro, a cominciare da quello dei metalmeccanici, e l'eliminazione di una serie di mine vaganti che continuano a turbare le relazioni sindacali. ((Abbiamo coordinato con i vari ministri - commenta il presidente del Consiglio al termine della riunione - il futuro della lotta alla disoccupazione, soprattutto per dare attuazione rapida alle misure già prese. Si è dato il via ad una "task force" che dovrà coordinare l'applicazione dei provvedimenti legislativi, finanziari ed amministrativi, e segnalare gli ostacoli che si frappongono all'adozione di solleci- IL LEADER DI RIFONDAZIONE ON è una cosa seria», dice Fausto Bertinotti e _ così risponde al direttore della Confidustria e alle parole con cui ieri ha affermato che i disoccupati «veri», quelli disposti ad accettare qualsiasi lavoro a qualsiasi remunerazione, sono solo 175 mila. «E' la disoccupazione secondo Cipoletta», assicura, non quella vera. Qual è la differenza? «Apprendiamo oggi che esiste una disoccupazione misurata secondo dei sistemi scientifici ormai consolidati, e ne esiste un'altra secondo il direttore della Confindustria. Io vorrei dire a Cipolletta che se applicassimo i suoi criteri alla fame nel mondo, scomparirebbero i morti di fame: basterebbe dire che non ci sono morti di fame in senso stretto, perché se invece di lamentarsi tanto andassero a cercarsi le erbe in qualunque parte del mondo, con qualunque mezzo a loro disposizione e te misure a sostegno dell'occupazione». Bersani precisa: «Dopo l'accordo per i metalmeccanici, il governo riprenderà il confronto con i sindacati sul patto per il lavoro. Credo, comunque, che ci siano le condizioni perché in aree determinate, dove sono previsti incentivi, le forze sociali possano sperimentare forme di flessibilità». I sindacati, comunque, non sono soddisfatti ed accusano il governo di non avere una strategia efficace. «A questo punto - suggerisce il segretario confederale della Uil Musi - sarebbe giusto intervenire con decreti leggi per agevolare le piccole e medie imprese per il credito bancario». Il direttore generale della Confindustria Cipolletta cerca di ridimensionare l'emergenza-occupazione: «I veri disoccupati italiani sono solo 175 mila, cioè quelli che non trovano lavoro pur essendo disponibili a possibili adattamenti. Tutti gli altri sono «inoccupati intenzionali che respingono la via della mobilità e della flessibilità». Gian Carlo Fossi Gennaio Gennaio-Febbraio Gennaio-Marzo Gennaio-Aprile Gennaio-Maggio Gennaio-Giugno Gennaio-Luglio Gennaio-Agosto Gennaio-Settembre Gennaio-Ottobre Gennaio-Novembre TOTALE ANNO 383 1193 1443 2034 2410 2750 3076 3142 4613 19.452 23.529 23.618 N | Bersani: in alcune zone ci sono le condizioni | per forme di flessibilità Innocenzo Cipolletta, direttore Confindustria, e nella foto a destra Il ministro del Lavoro Tiziano Treu NOMI E COGNOMI AGONIA di un'azienda è sempre penosa. Tanto più quando questa azienda produce idee, informazione, cultura. Tanto più quando questa azienda - nel male (essendo il frutto anomalo e alla fin fine avvelenato dell'economia mista) ma anche nel bene (avendo molto innovato nei «modi della produzione» propri del settore in cui opera) - rappresenta comunque un pezzo di storia di un Paese. «Il Giorno» è tutto questo questo. Ed è quindi molto difficile e triste, avvicinarsi e giudicare della crisi strutturale di un giornale che ha avuto il solo torto, nella sua genesi e poi nel suo sviluppo iniziale, di essere uno dei tanti «taxi» dei quali il suo fondatore Enrico Mattei si servì per coltivare i sogni di potere dell'Eni nella seconda metà degli Anni '50. Dopo tentò in mille modi di mondarsi di quel «peccato originale», il quotidiano milanese. Ci riuscì in una breve e intensa stagione, sforndando direttori e cronisti che hanno fatto la storia del giornalismo italiano, da Italo Pietra a Gianni Rocca, da Giorgio Bocca a Giampaolo Pausa. Ma ci piaccia o no, i bilanci societari non vivono di ricordi, per quanto nobili siano. E oggi fa male dirlo, ma purtroppo «Il Giorno» è solo un'azienda in agonia. Lo è non per l'edictum prìncipis di un manager insensibile e malvagio, ma perché lo ha decretato la dura legge dell'edicola, cioè il mercato. E allora, nella settimana decisiva per le sorti di questo glorioso giornale e per i suoi bri.vi ma sfortunati lavoratori, non sarebbe male riflettere sulle reazioni scatenate dalla scelta dell'amministratore delegato dell'Eni Franco Bernabè, propenso a mettere in liquidazione il quotidiano. Con l'avvertenza che si tratta di modeste riflessioni, non di giudizi. Di interrogativi, non di risposte. In Italia, ormai, dilaga il dibattito sull'economia di mercato e sulle privatizzazioni. Tutti vi contribuiscono, a chiacchiere: dagli ex comunisti dalemiani ai neoliberisti berlusconiani. Ora, benché il processo non sia ancora ultimato, l'Eni è appunto un gruppo ormai semi-privato, quotato in Borsa a Milano e a Wall Street. E' esecrabile un manager che - in ossequio ai principi dell'economicità e del profitto, sul quale poi gli stessi azionisti privati contano nel dare fiducia e comprare i titoli di quel gruppo decide di chiudere un'attività in I perdita strutturale? E' poi daweI ro cinico un amministratore se accettare una offerta inferiore alle 200 mila lire», per rintuzzare quelle voci che davano appunto la Cisl e Firn in prima linea nella ricerca di una soluzione anche inferiore alla proposta di 200 mila lire avanzata da Treu e respinta dagli industriali. «Non è questo il punto - ha precisato D'Antoni - Bisogna fare il contratto e si devono trovare le soluzioni per farlo». Anche a costo di «un altro passaggio dal governo, perchè è probabile che faccia una nuova proposta» per superare l'impasse. Nemmeno per sogno, ribatte il leader della Cgil, Sergio Cofferati: «Credo che la soluzione debba essere cercata in sede sindacale. C'è la proposta del governo, che abbiamo giudicato un punto di riferimento importante. £ non vedo la ragione per modificarla. Se non fosse più valida è il governo che deve dirlo, non io. Poi, c'è la proposta di Federmeccanica, che non ci va bene perchè non tutela adeguatamente il potere d'acquisto dei salari. Ora si tratta di arrivare a una soluzione che abbia i crismi dell'accordo del luglio '93». E su questo punto, Cofferati non intende cedere d'un pollice: «La CgD non darà mai il suo consenso - scandisce con gli occhi che si chiudono a fessura nei monmenti di durezza ad una soluzione che non abbia esplicitamemte al suo interno il rispetto dell'accordo del '93». Tirando le somme con i cronisti, in tarda serata, il padron di casa, Pietro Larizza si è limitato a dire: «Abbiamo discusso a lungo i vari scenari per proseguire la trattativa e abbiamo sollecitato le categorie a riprendere da oggi il comfronto con Federmeccanica». Resta da vedere se hanno anche trovato un «minimo comun denominatore» per chiudere. Il ministro dell'Industria, Bersani, ora ammette che «è poco probabile, la chiusura del contratto nelle prossime ore». E il direttore generale di Confindustria, Cipolletta, alludendo alle trattative fra sindacati e imprenditori ha invitato: «Non li disturbiamo». Non escludendo, però, se fosse necessario, un allargamento del tavolo anche a Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. decide di liquidare un giornale che - come ricordava la scorsa settimana sul Soìe-24 Ore Gianni I.ocatelli, capofila di una delle due cordate in lizza per l'acquisto - «mentre noi parliamo continua a perdere 100 milioni al giorno»? Ma ragioniamo ancora per un attimo in una logica «pubblicistica», cioè come se l'Eni fosse ancora la vecchia ed esecrata «mangiatoia» socialista, quella guidata per conto di Craxi dal povero Gabriele Cagliari. C'è bisogno di rievocare le lezioni di un cattolico solidarista ma non demagogico, come Don Sturzo, per ricordarsi quanto sia discutibile «moralmente», prima ancora che economicamente, l'attività produttiva che genera solo perdite, e che sta in piedi solo perché ne scarica i costi su altri? Sarebbe questa la funzione dello Stato nell'economia? Non è su immoralità come queste, su concetti come quello propugnato da Gronchi, secondo cui le aziende pubbliche non dovevano fare profitti, che l'Italia ha costruito i suoi tragici dissesti? E bastano l'affetto e la memoria per una testata storica, a renderne doverosa, comunque, la sopravvivenza? Per fare un parallelo se si vuole irriguardoso, ma calzante: era bello mangiare scatolette di tonno Alco. Peccato che le produceva, insieme ai cannoni e ai fanghi termali, un gruppo in rosso fisso come l'Efim, che è costato al contribuente 15 mila miliardi di lire. Da ultimo. In una situazione di crisi produttiva diffusa come quella italiana, nella quale le aziende in difficolta sono tantissime, e «Il Giorno» è solo una delle tante, è educativo che per quest'ultima si mobilitino parlamentari, segreterie di partito, presidenti di Camera o Senato? Speriamo di tutto cuore che per l'agonia di quel giornale ci sia ancora un'estrema soluzione, che non sia la morte. Resta il fatto che l'Italia è davvero uno strano Paese: vuole guarire, ma sempre a patto che la medicina non sia mai troppo amara.

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