«Uccisero Pi Matteo» di Gio. Bia.

«Uccisero Pi Matteo» «Uccisero Pi Matteo» Chiesto il processo ai fratelli Brusca REGGIO CALABRIA. Un proiettile sparato con un fucile di precisione o la più tradizionale «rosa» di pallettoni? 0 forse un ordigno esplosivo collocato sotto il palco? Non si saprà mai come un gruppo di mafiosi siciliani volesse uccidere Umberto Bossi, in occasione di un comizio che il carismatico capo della Lega doveva tenere a Catania, nell'ormai lontano settembre del 1991. E certo Bossi non saprà mai chi dover «ringraziare» per quel progetto abortito sul nascere per l'opposizione della «cupola nazionale», dei capi dei capi della mafia, cioè di quella «supercommissione» che coordinerebbe le attività di Cosa nostra, 'ndrangheta e camorra, pianificandola ed evitando così contrasti da dirimere, poi, nel sangue. Leonardo Messina, uno dei pentiti storici della mafia siciliana, l'ha buttata lì nel corso della deposizione che ieri, in videoconferenza, ha reso ai giudici della Corte d'Assise di Reggio Calabria, che stanno celebrando il secondo processo per l'assassinio del magistrato Antonino Scopelliti, ucciso nel '91 in un agguato di mafia. La morte di Bossi sarebbe stata pensata dallo stesso Messina non per motivazioni politiche, ma solo per «odio» per chi forse odiava il Meridione. La morte di Bossi fu evitata perché, ha detto lo stesso collaboratore di giustizia, avrebbe fermato un progetto politico più ampio che doveva portare alla creazione di tre macroregioni, con quella più meridionale in mano a Cosa nostra grazie agli uomini che avrebbe collocato nei posti di comando, [d. m.] PALERMO. L'inchiesta giudiziaria sul rapimento e l'uccisione del bambino Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santo, uno degli ùnputati della strage di Capaci, è a mia svolta decisiva. La procura di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio di 30 persone. Tra loro sono Giovanni Brusca e il fratello Enzo, che si è pentito insieme con altri due «soldati» della cosca di San Giuseppe Jato, Giuseppe Monticciolo e Vincenzo Chiodo. La procura ha contestualmente invitato il giudice delle indagini preliminari a rinviare a giudizio per associazione mafiosa altre 22 persone, fra le quali Giovanni Riina, 20 aimi, uno dei quattro figli del padrino di Cosa nostra. Il giovane è dall'amio scorso in carcere per associazione mafiosa e per complicità nell'assassinio del presunto boss agrigentino Vincenzo Di Caro. Giuseppe Di Matteo (aveva 13 anni quando fu strangolato e sciolto nell'acido) era stato sequestrato nel tentativo di convincere il padre a ritrattare le sue accuse. [a. r.] tità e altre concessioni, oltre naturalmente alla libertà - sarà deciso dalla commissione ministeriale che si occupa dei pentiti, e dai tribunali che ancora devono giudicare l'ex-mafioso per fatti (compresi alcuni omicidi) commessi quando era un affiliato a Cosa Nostra. «Per il momento non ci è stato comunicato nulla», dice l'avvocato Li Gotti, il quale ricorda che negli Usa il 17 per cento dei collaboratori pagati dallo Stato toma a commettere reati, mentre in Italia la percentuale è molto minore. Sul fronte politico, mentre il pidiessino Folena sottolinea «la correttezza in cui operano i magistrati anche in presenza di un pentito, Tiziana Parenti, di Forza Italia, ribatte: «L'arresto di Contorno dimostra che i pentiti andrebbero controllati prima di farli diventare degli eroi. Spesso certi personaggi credono di mantenere l'impunità solo perché pentiti. E mi sembra poco credibile che uno come Contorno, che dice di temere di essere ammazzato, si metta a trafficare in stupefacenti. Dovremmo interrogarci di più e vigilare con maggiore attenzione sul passato e le amicizie di questi pentiti». [gio. bia.]

Luoghi citati: Capaci, Catania, Italia, Messina, Palermo, Reggio Calabria, San Giuseppe Jato, Usa