La morte rapina i sogni di Cavallero di Ezio Mascarino

Stroncato da un enfisema a 68 anni: in cella si era convertito, lavorava per il Sermig di Torino Stroncato da un enfisema a 68 anni: in cella si era convertito, lavorava per il Sermig di Torino La morte rapina i sogni di Cavallero Con la sua banda terrorizzò il Nord negli Anni Sessanta fatta di lavoro, sacrifici e pochi quattrini. Le serate a bere e fare progetti nei fumosi caffè del quartiere si trasformarono ben presto in realtà. Era facile, allora, rapinare una banca. I vetri non erano blindati, scarsa la vigilanza, assenti telecamere ed altri congegni elettronici. E le cronache dei giornali erano zeppe di assalti, mitra e morti ammazzati. Ma Cavallero non era un bandito come gli altri. Lui le banche le sceglieva d'angolo, perché dagli incroci era più fa¬ DAGLI ASSALTI alla conversione li RAPINE. L'8 aprile del '63 Pietro Cavallero compie la prima di 18 rapine; nel gennaio del '67 il primo di 5 omicidi. L'episodio più sanguinoso a Milano, il 25 settembre '67: per aprirsi una via di fuga la banda uccide 4 persone LA CATTURA. Cavallero viene arrestato il 3 ottobre '67 in un casello ferroviario abbandonato vicino ad Alessandria. Processato e condannato all'ergastolo accoglie la lettura della sentenza col pugno alzato e cantando l'Internazionale IL RISCATTO. Uscito dal carcere nell'88 in regime di semilibertà e dal '92 in libertà condizionale entra nel Sermig di Torino di Ernesto Olivero (a destra nella foto), dove assiste malati di Aids ed emarginati beffe di gazzelle e volanti. Non gli bastavano i quattrini, giunse al punto di ricattare le banche minacciandole di colpirle a ripetizione se non si fossero piegate ai ricatti dell'«Anonima rapinatori». Anonimi lo erano davvero i cile fuggire. Anzi, se possibile ne rapinava due e addirittura tre a distanza di pochi isolati: «La polizia si concentrerà sulla prima, e noi avremo mani libere». La fuga? Inutile verso i posti di blocco delle periferie, meglio dirigersi in centro e farsi tre gangsters. Notarnicola faceva il rappresentante, Cavallero e Rovoletto avevano messo su un ufficio (a pochi metri dalla questura) e assunto una segretaria pagata per non lavorare. Il quarto complice (e fornitore di armi), Danilo Crepaldi, era impresario in Valle d'Aosta: quando morì in una disgrazia del cielo nessuno immaginò la sua vera professione. Diciotto rapine, 98 milioni il bottino finale. La prima a Torino, l'8 aprile 1963; l'ultima a Milano, largo Zandonai, 25 settembre 1967, quella che più d'ogni altra ispirò il film «Banditi a Milano» diretto da Lizzani e interpretato da Gian Maria Volontà. Per quel giorno Cavallero aveva ingaggiato una giovane promessa del football, Donato Lopez. Aveva 17 anni e L'ultimo suo colpo a Milano nel '67 Intercettati dalla polizia i gangster spararono all'impazzata facendo quattro morti e venti feriti Pietro Cavallero il bandito che terrorizzò il Nord Italia negli Anni Sessanta tanta voglia di far carriera all'ombra del capo. Intercettati dalla polizia, i gangster sparararono all'impazzata per aprirsi la strada. Bilancio: 4 morti e 20 feriti, che si aggiunsero alla scia di sangue seminata per anni. Quella volta la fuga non riuscì. Rovoletto fu preso subito, Lopez a Torino, Notarnicola e Cavallero si arresero dopo una gigantesca caccia all'uomo conclusa in un casello abbandonato nel Casalese. Al processo, gli imputati intonarono l'Internazionale, tentando di accreditarsi come combattenti per la libertà (e Notarnicola, che ci credeva sul serio, sposò il terrorismo in carcere). Soltanto Lopez scampò l'ergastolo. In prigione, il «ribelle» Cavallero si trasformò in detenuto modello. Collaborò a una rivista per detenuti, contribuì a sedare una rivolta. Usci nel 1988, e al Servizio missionario giovanile di Torino iniziò un'altra vita. Un libro, la passione per la pittura, una donna. Concedeva rare interviste, alle sue vittime, in particolare a quelle di Milano, aveva chiesto perdono in una lettera inviata al cardinal Martini: E ai pochi amici ripeteva con la voce sempre più flebile: «E' finita, ora vorrei soltanto essere dimenticato». Giampiero Pavido C'è il pentimento, ma è tutto interiore. C'è un eventuale perdono sofferto, che richiede soltanto silenzio. Per questo, per favore, non parlarmi ancora di quel sangue. Aiutami a trovare le cose buone che ho tentato di fare». All'Asinara hai imparato a dipingere. Molti compagni di quei giorni, ho incontrato uno di loro sul portone di questo ospedale, dicono che aiutavi a scrivere lettere ai parenti, a preparare le richieste di colloquio. E' così? «Il carcere ti uccide. Giorni tutti uguali. La cella. Le pareti. La finestra con le sbarre. La sala mensa. Il tavolone. Le panche. L'ora d'aria. Il cortile. La tv. E poi ancora da capo. Puoi davvero impazzire. Chi sbaglia deve pagare, nessuno chiede sconti. Ma far pagare non significa torturare. Occorrono occasioni di lavoro, di studio, di riabilitazione. Ho imparato a disegnare per sfuggire alla folìia. I miei quadri sono paesaggi, prati, fiori, soli in cieli azzurri». La libertà... «No. Ho trovato la vera libertà al Sermig, parlando con tanti amici, che condividono sofferenze e disagi con cb: fa fatica a vivere. Lavorando per loro, cercando di aiutarli. All'Arsenale della Pace, ho avuto la sensazione di sentirmi davvero utile. Una sensazione che ho respirato ogni giorno». Nella prefazione di un libro che deve uscire hai scritto: «Sono stufo, stufo perché mi ricordano sempre di quegli anni di sangue e nessuno sa fermarsi sulle poche cose buone che ho tentato di fare al Sermig, con Olivero». Pietro, non è facile dimenticare per chi ha avuto morti e feriti... «Ricordare è come uccidermi, cancellare gli sforzi che ho fatto per costruire qualcosa di buono. Al Sermig ho abbracciato bimbi pieni di paura, ho stretto le mani di tanti poveri, derelitti e diseredati. Non voglio raccontarti le loro storie: qualcuno ha sbagliato, ma tanti hanno sofferto colpe non loro. Le loro storie sono miei segreti. Non sapevano del mio passato: io li ho fatti sorridere, ho dato loro un aiuto. Così, almeno, credo. Ti prego, lasciami questa speranza». Ezio Mascarino