Sharansky
Sharansky Sharansky Alla Lubianka «da vincitore» Mi «Guardate, qui a sinistra c'è piazza Majakovskij dove facevamo le manifestazioni. E questo, accanto alla sede del municipio, è il palazzo dove abitavo e dove mi hanno arrestato». Natan Sharansky, eccitato, gira la testa con la «shapka» nera, un colbacco di pelliccia di animale ignoto, che rende la sua figura tozza ancora più sgraziata. Però dice che ci tiene: «Me l'ha regalata il Kgb quando mi ha sbattuto fuori dal Paese, il primo copricapo civile dopo il carcere». Aveva lasciato Mosca nel 1977 in manette, arrestato e condannato a 13 anni di prigione per «propaganda ostile» e «spionaggio a favore degli Usa». Dopo otto anni e una campagna per la sua liberazione in tutto il mondo è stato scambiato con una spia sovietica su un ponte che divideva le due Berlino. Ora gira per la capitale russa con un corteo di macchine precedute dalla polizia e viene ricevuto al Cremlino. Senza cravatta e con il colletto sbottonato, come al solito: «Per chi si è fatto il gulag la cravatta non è d'obbligo». Per l'ex dissidente sovietico e ora ministro del Commercio israeliano questo ritorno a Mosca in veste ufficiale (per preparare il terreno alla visita di Netanyahu) è una sorta di trionfo sul destino e vuole viverlo in pubblico, tanto che rinuncia alla Volvo fornitagli dalle autorità russe e sale nel pullman dei giornalisti, facendo da cicerone in una sorta di tour guidato della storia del dissenso sovietico. Ma il suo non è un pellegrinaggio nostalgico, non è turbato né commosso. I suoi occhi azzurri scrutano la Mosca che ha lasciato vent'anni fa con curiosità e sfida. Questa città nuova gli piace: «E' la stessa di prima. Ma è la gente che è cambiata. Ora non ha più paura, non controlla ogni istante le cose da dire e da non dire, è libera di godersi la vita». E' il primo a saltar giù quando si arriva alla sinagoga, in via Arkhipova, a due passi dal Cremlino e dalla Lubianka. Si guarda intorno ed esclama: «Non è cambiato proprio niente». La stessa neve profonda, gli stessi palazzi ottocenteschi cadenti attorno, la stessa atmosfera di abbandono che c'era vent'anni fa quando Sharansky conobbe qui sua moglie Avital che ora sorride dolcemente e sembra più emozionata del marito. Manca solo l'agente del Kgb che mi pedina, ridacchia l'ex dissidente. Ma manca anche un'altra cosa: la piccola folla di otkaznik, di ebrei a cui era stato negato U diritto di emigrare in Israele, e che si raccoglievano qui davanti a scambiarsi notizie, consigli, a prestare manuali di ebraico, il cui insegnamento all'epoca era proibito. Ora l'unico reduce di quel piccolo esercito che aveva messo in agitazione mezzo mondo aspetta sui gradini il suo comandante. Lev Michkin, 74 anni, aspetta il suo idolo dalle nove del mattino. Sharansky lo abraccia, gli racconta di un amico comune che ora riposa in pace sul Monte degli Ulivi, ma il suo sguardo va oltre il vecchio. L'ultimo grande dissidente dell'era brezneviana a essere tornato in patria non vive del passato. «L'unica volta che ho desiderato venire a Mosca - dice - è stato quando è morto Sakharov». Ma era ancora considerato una spia - l'assurda accusa è stata cancellata solo nel '92 - e non lo fecero entrare. La tomba del leader del dissenso è stata la prima tappa della sua gita per Mosca. Gli è stata negata invece la visita nel lager Perm-35, in Siberia, dove dice di aver passato i giorni più interessanti della sua vita. Ma la vera rivincita Sharansky se la godrà a Lefortovo, nel supercarcere del Kgb. A chi gli chiede se si sta gustando la sua vendetta risponde però: «Non voglio vendicarmi, perché sono stato io a vincere, non loro», [a. z.] MOSCA NOSTRO SERVIZIO
Persone citate: Avital, Natan Sharansky, Netanyahu, Sakharov, Sharansky
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