Il pericolo come compagno di Francesco La Licata

Il pericolo come compagno Il pericolo come compagno Una vita blindata sempre più rigida ,„., , . .. . „ ,„,u,i va dire che bisognava ucciderli». Ma non è questo, il racconto che può impressionare Caselli. Basti pensare a quanto si è saputo sul tentativo di neutralizzare i servizi di sicurezza del Palazzo di Giustizia utilizzando un'ambulanza-bomba. O, ancora, alle rivelazioni di un ex fedelisssimo di Leoluca Bagarella che parlò di un bazooka pronto per abbattere l'elicottero adibito agli spostamenti rapidi del procuratore. Sorrisero in molti, in questa città di scettici, che piange solo davanti ai morti e se rimani vivo ti uccide col sospetto. Eppure quei sorrisetti rimasero stereotipati sulle loro facce ammiccanti, quando si aprirono le porte dell'armeria della cosca di San Giuseppe Jato e, sotto un telo, comparve la bocca vorace di un bazooka pronto per l'uso. E lui, «il torinese», oppure «il biancone» per via della criniera d'argento, ogni volta si concentra e cambia qualche «abitudine» della sua sua vita. ... u, ~—i— ... Convinto che solo la ripetitività dei movimenti può essergli fatale. L'esistenza blindata, la riservatezza assoluta sui suoi progetti, la rudezza con cui la scorta trutta gli estranei, sono la polizza sulla vita di Giancarlo Caselli. Una esperienza che il giudice condivide con diversi suoi colleghi palermitani, una esperienza destinata a diventare sempre più rigida per non vanificare il margine di sicurezza che rende difficili i progetti del nemico. La vita blindata non è piacevole. C'è chi la considera quasi uno status-symbol appetibile, ma non è il caso dei magistrati esposti nella lotta contro la mafia. La storia recente insegna quanto sia seria la «sentenza di morte» emessa dalla cupola di Cosa nostra. Quella contro Giovanni Falcone fu eseguita quando ormai il condannato sembrava fuori pericolo, lontano dal groviglio palermitano. Leonardo Vitale, capostipite dei pentiti, fu giustiziato a 14 anni dallo «sgarro». w««v::\: La ripetitività dei movimenti gli può essere fatale Poco al cinema e quasi mai a Palermo Il tribunale di Palermo. A sinistra, il superboss Totò Riina, catturato nel giorno dell'insediamento di Caselli a Palermo Per questo bisogna rassegnarsi e piegarsi docilmente alle aberrazioni della scorta. Giancarlo Caselli ha abitato per anni nel complesso detto delle «Tre Torri»: tre palazzoni trasformati nel quartier generale della Dia di Palermo. Oggi non sta più lì. «Cambiare, cambiare spesso per non dare il tempo di essere posti sotto osservazione», spiegano gli esperti della sicurezza. Ristoranti? Certo, sarebbe meglio evitare. E comunque mai prenotare. Neppure sotto falso nome, visto che ò accaduto pure che i telefoni degli investigatori fossero intercettati. Non parliamo di cinema. Giovanni Falcone non ci pensava più, a disagio nel dover stare seduto da solo, tra due file di sedie vuote. Caselli va poco al cinema, quasi mai in orari canonici (magari a metà spettacolo) e quasi mai a Palermo: per lui videocassette scelte dal figlio. I palermitani hanno imparato a pensare che dove c'è un elicottero c'è Caselli. Qualche volta è vero, spesso no. E lo stesso vale por le due auto di scorta e la «blindata» sulla quale si sposta. I vetri scuri non lasciano vedere chi c'è dentro. Se è vuota, nessuno lo sa, tranne quegli armadi semoventi (gente che vive come sterilizzata all'interno della città) che organizzano il turbillon ogni volta che il procuratore lascia gli uffici del Palazzo di Giustizia. «Pure nell'autobus, i Nocs se 10 sono portati»: così dicono di Caselli, nelle intercettazioni telefoniche, i mafiosi che cercavano spazio per l'attentato. E spiega l'autista giudiziario «contattato» dai boss: «Tutti gli altri scendono con un altro... chi lo va a pensare che questo oggi si prende l'autobus... o lo mettono sulla motoape a tre ruote...». Già, mai la stessa strada. Mai lo stesso percorso. Mai stare per molto tempo nello stesso luogo. Quante volte «il torinese» - e non solo a Palermo - ha dovuto abbandonare una cena, ha preferito non presentarsi ad un appuntamento, oppure al contrario si è materializzato dopo aver disdetto? Non è mai solo, Giancarlo Caselli. E i boss lo sanno. Cosi imprecano, parlando tra di loro: «Ma questo Caselli neanche per andare a pisciare è solo?». Desiderio di normalità? Certo, tantissimo. Ma «penna bianca» non è tipo da lasciare 11 lavoro a metà. E' giustamente convinto che ancora c'è da fare. Quando è arrivato a Palermo, il 15 gennaio del 1993, di fronte a Totò Riina fresco di manette, disse qualcosa come: «Si comincia a lavorare». Oggi ripete: «Si continua». Francesco La Licata

Luoghi citati: Palermo, San Giuseppe Jato