Buzzati, il deserto dei critici di Dino Buzzati

Moriva 25 anni fa. Perché la storia della letteratura l'ha dimenticato? Moriva 25 anni fa. Perché la storia della letteratura l'ha dimenticato? Buzzati, il deserto dei critici Amato dai lettori, snobbato dall'accademia P OCHI giorni fa, all'Associazione Dino Buzzati in Feltra, è arrivata una lettera da Brazzaville, capitale dell'ex Congo francese, con 70 firme. Erano 70 lettori congolesi dello scrittore veneto, che facevano domanda di potersi associare in gruppo. Informavano di aver già tenuto un'assemblea costituente e chiedevano istruzioni per lo statuto. A Feltre hanno soci da quasi tutta Europa, fino all'Estonia; dagli Stati Uniti, dal Giappone, dall'Australia. C'è una sostanziosa sezione francese, nata addirittura 12 anni prima di quella italiana, nel '76. Ma da Brazzaville non se li aspettavano proprio. «Buzzati è uno fra i nostri autori più tradotti e amati nel mondo - dice la italianista Nella Giannetto, docente all'Università di Feltre, che ha fondato l'associazione otto anni fa per raccogliere gli amici dello scrittore e tre anni dopo le ha affiancato un centro universitario, per favorirne lo studio -. Da un'indagine condotta nel 1988 sui livres de poche francesi risulta che sugli otto libri italiani più diffusi in Francia, cinque sono di Buzzati». Primo II deserto dei tartari, con 650 mila copie (oggi sicuramente aumentate), secondo 17 colombre. Eco è solo terzo, con II nome della rosa, seguito da altri due Buzzati, Un amore e Le notti difficili. «In Olanda è sempre in vetrina perfino il libro di Buzzati sul Giro d'Italia». Al centro di Feltre la Biblioteca Buzzati ha raccolto finora duecento traduzioni dei suoi libri, in trenta lingue: compreso l'ebraico, l'estone, il persiano; migliaia di articoli; decine di tesi di laurea, in progressione ogni anno. In compenso pochi volumi di guida alla lettura. Quasi nessuna monografia scienti¬ Per Guglielmi e Ferroni è un minore: ma ci sono suoi fan anche nel Congo Da sinistra, Gianfranco Contini e Giulio Ferroni; qui sotto, Dino Buzzati: lo scrittore morì il 28 gennaio di venticinque anni fa Molto provocatorio. Quanto le cifre di vendita sono alte, tanto la critica rimane avara nei suoi riguardi. Se si eccettuano le pagine di Cecchi e poi di Pampaloni nel Novecento di Garzanti, per molto tempo il solo nome di spicco nella bibliografia buzzatiana è stato Giacomo Debenedetti, con uno scritto assai cauto sui Sessanta racconti. Paolo Milano si scandalizzava perché in Polonia gli avevano citato Buzzati, un autore così basso. Contini lo escluse addirittura dalla sua Italia magica. Un poco di più lo amava Calvino, come dimostra uno scambio epistolare pubblicato dal centro di Feltre. Asor Rosa nella sua Letteratura italiana non lo nomina neppure. Le ultime storie letterarie sono meno ingiuste, ma spesso non meno riduttive. Nel Manuale di letteratura italiana, curato da Franco Brioschi e Costanzo Di Girolamo per Bollati Boringhieri, il saggio sul romanzo del Novecento è affidato a Guido Guglielmi, che a Buzzati dedica quattro righe, fra Bontempelli e Landolfi. Perché? «Perché, rispetto a quei due, Buzzati è un minore - rispon- fica. «Non esistono libri importanti su Buzzati in Italia. C'è una disattenzione assoluta da parte dell'accademia e dei critici che fanno opinione - lamenta la custode del sacrario -. Per gli intellettuali degli Anni 60 e 70, Buzzati è un autore borghese, fuori dalla storia. Preferibilmente non ne parlano. Fenomeno macroscopico è la sua assenza dai manuali scolastici. Buzzati non piace quando va di moda la letteratura dell'impegno, per la sua scelta di letteratura fantastica, volta a temi esistenziali. E quando va di moda lo sperimentalismo, perché non è abbastanza elaborato, si rifiuta di essere difficile». Eppure l'uomo di Belluno è uno degli scrittori più letti, anche in Italia. I suoi 19 titoli, nei soli Oscar, hanno venduto due milioni e 200 mila copie. In testa naturalmente II deserto dei tartari, con 800 mila copie, seguito da Un amore, con 660 mila. Per i lettori più esigenti, il Meridiano Mondadori, a cura di Giuliano Gramigna, ha già fatto sette edizioni, con 30 mila copie. A 25 anni dalla morte (28 gennaio 1972), Dino Buzzati continua a essere un rebus. Su Avvenire è partita una provocazione di Cesare Cavalieri, che rilancia il caso: di Moravia - sostiene - non parla più nessuno, sulle tombe di Vittorini e Pavese salgono le erbacce; solo la fama di Buzzati, fra gli scrittori dei suoi anni, continua a crescere. de il critico -. E' stato un ottimo giornalista, con un suo talento. Lo considero uno scrittore rispettabile, non di più». Guglielmi non accetta di farsi condizionare dalla fortuna dei suoi libri. «C'è una forte divaricazione fra il successo e il giudizio storico, che deve essere dato in sedi distaccate dagli interessi immediati». Diverso il peso di altri scrittori suoi contemporanei. «Pavese curiosamente resiste, pur non essendo un grande»; e di Moravia, per i primi libri, non si può fare a meno. «Buzzati è interessante, ma se non ci fosse, non cambierebbero le linee. Se invece si toglie Moravia, qualcosa cambia». Giulio Ferroni, nella sua Storia della letteratura italiana per Einaudi, ricorda in mezza pagina che Buzzati «fa opera di divulgazione e semplificazione sui temi dell'assurdo». Giudizio ben limitativo, per uno scrittore. «Non lo considero un vertice del Novecento - ci conferma lo studioso -. E' importante come mediatore di grossi temi della cultura europea. E' limitato per la mancanza di un impegno stilistico. In traduzione resiste meglio, e questo spiega la sua fortuna all'estero. Nell'originale, si avverte che la suggestione narrativa non si integra con la resa linguistica, rimasta opaca. E questa tiene lontana da lui la nostra critica». Secondo Ferroni, «merita di essere letto da un lettore di media cultura, non è un autore per raffinati». Più attento Giorgio Bàrberi Squarotti, che a Buzzati dà quattro grandi pagine della sua Storia della civiltà letteraria italiana uscita dalla Utet, e definisce II deserto dei tartari uno fra i romanzi fondamentali del secolo. Un grande, allora? «Uno scrittore che merita un'attenzione notevole, anche perché non appartiene a gruppi. Ma certe parti della sua opera sono sicuramente inferiori, rispondono a una sorta di autosfruttamento. Considerare lui il solo scrittore oggi vivo forse è troppo, soprattutto nei confronti di Vittorini. Non è il maggiore, assolutamente». E' vero, è vero. Eppure, quanti altri nostri scrittori sanno farsi ancora leggere come Buzzati? Giorgio Calcagno I