Casanova, l'Iliade in veneziano di Sergio Trombetta
il caso. Pubblicato un prezioso inedito, oggi la presentazione a New York il caso. Pubblicato un prezioso inedito, oggi la presentazione a New York Casanova, l'Iliade in veneziano Otto canti negli anni dell'esilio LljHO scritta in veneziano / perché essendo io Veneziano, mi costa assai meno fatica che se avessi dovuto Iscriverla in idioma Toscano, che se so, so a stento perché non l'ebbi dalla natura, ma procurai di acquistarlo con lo studio». Con questa dichiarazione di intenti, che potrebbe piacere anche a Bossi, Giacomo Casanova spiega, con falsa modestia, perché ha deciso di tradurre Vlliade in veneto. Tradurre l'Iliade? In veneto? Si sapeva che il grande seduttore aveva reso in italiano 18 canti dell'Iliade: li ha ripubblicali l'editore 900 di Palermo pochi anni fa, e suona quindi falsamente modesta la dichiarazione di conoscere poco l'idioma Toscano. Soltanto gli studiosi sapevano invece dell'esistenza di otto canti, sinora inediti, che il viaggiatore libertino aveva tradotto in veneziano. Ora finalmente possiamo leggerli. Il primo, quello che si apre con «l'ira funesta del l'elide Achille» e che qui diventa «la còlerà rovinosa del gran fio del Peléo» vede la luce. Il volume, che riproduce il manoscritto casanoviano e il testo a stampa, viene oggi presentato all'Istituto Italiano di Cultura di New York dall'editore veneziano che lo lia realizzato, Albert Gardin. In tutto 150 pagine che oltre ai versi resi nel dialetto lagunare contengono la complessa storia di questo amore omerico di Casanova. Albert Gardin, da anni appassionato studioso della vita e degli scritti del grande veneziano, racconta: «Casanova affronta l'Iliade dopo il 1756, cioè dopo la fuga dai Piombi e prosegue nelle traduzioni, in italiano e in veneto, nei lunghi anni di esilio». E' a Parigi, Pietroburgo, Madrid, Mosca che Casanova si immerge in questa occupazione. La versione italiana esce fra 0 1775 e il 1778 in tre volumi che contengono i primi 17 canti, mentre il quarto tomo che dovrebbe contenere i canti 18-24 e di cui Casanova assicura ai lettori l'uscita, non vedrà mai la luce (ma Gardin è convinto che il manoscritto esista da qualche parte). Della versione veneta invece si Tortona, né assassina né forcatola Considerandomi un «giudicato» come i miei concittadini in merito alla triste vicenda dei sassi dal cavalcavia, non posso fare a meno di osservare come sia curiosa la sorte di un'intera comunità che per qualche giorno viene accusata di volersi fare giustizia da sé, mentre poche ore dopo di essa quasi si dice che sta dalla parte dei colpevoli, cioè esattamente il contrario. Siccome una cosa necessariamente esclude l'altra e visto che le critiche sono venute o riportate dai media, forse è il caso di fare... una media fra i due estremi giudizi che sono stati dati, cosicché Tortona ne possa uscire non peggio di qualsiasi altra città ove si fosse verificato un fatto simile. E infatti la stupidità, che in questi casi addolora e disorienta pili che non la malvagità pura, siccome abita da sempre il mondo intero, esplode a caso - ma non per caso - ovunque, senza badare a latitudine o punti cardinali. G. Robbiana, Tortona La vera bestialità è quella degli uomini Abbiamo letto nella stampa di questi giorni alcuni brani della lettera di Maria Rosa Berdini, sorella di Maria Letizia morta in seguito ad un atto criminale. Siamo d'accordo con tali affermazioni nel loro complesso ed esprimiamo alla signora Berdini tutta la nostra solidarietà, ma su un punto vorremmo che la medesima riflettesse pur nell'estremo dolore di questi momenti. Dove la signora Berdini rivolgendosi agli assassini li chiama «bestie senza cuore», è vittima anche lei di un purtroppo diffuso pregiudizio di carattere antropo centrico, che attribuisce agli animali la quintessenza del male morale, nel senso di ferocia, istinti incontrollabili e simili. Gli animali, invece, non arrivano mai ai livelli di crudeltà degli aveva notizia soltanto da un cenno in una lettera dello scrittore. Poi silenzio sino al 1905 E' in quell'anno che un archivista, il boemo Mahler, registra l'esistenza di un manoscritto di Casanova con l'Iliade in veneziano negli archivi del castello di Dux, in Boemia, dove lo scrittore, avanti in età, fu bibliotecario del conte di Waldstein. E subito si infiammò un dibattito accademico sulla verosimiglianza di quella scoperta. Emilio Teza, docente padovano, non ci credeva e per avvalorare la sua tesi spedì a Dux un proprio allievo, Aldo Rava. Il quale però, nel 1910, tornò da Dux con la notizia contraria: di quella Iliade esistevano veramente otto canti (compresi fra il primo e il quattordicesimo), e ne aveva anche trascritto i primi versi. Dal 1910 ai giorni nostri. Gardin, ottenuta di recente l'autorizzazione dagli Archivi Centrali di Praga, dove si trova ora il manoscritto, ha lavorato con un gruppo di studiosi (Federico Boschetti, Nicolino Tesani, Severino Bacchili, Dario Soranzo) ed il primo canto vede la luce. I successivi sette canti usciranno con cadenza trimestrale e saranno oggetto di incontri e convegni a Parigi e Praga. Sergio Trombetta LETTERE AL GIORN A lato un'incisione tratta da un'antica edizione dell'Iliade. A destra Giacomo Casanova, che si confrontò con Omero (nell'immagine in basso, da un affresco del Palazzo Ducale di Urbino) sia in italiano sia in veneziano
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