Chador libero, gli islamici cancellano Atatürk di Giuseppe Zaccaria

Il bando era il simbolo della modernizzazione del Paese, la revoca è segno delle sue contraddizioni Il bando era il simbolo della modernizzazione del Paese, la revoca è segno delle sue contraddizioni Chador libero, gli islamici cancellano Ataturk // governo di Ankara ha abolito il divieto di portare il velo Via libera al «chador», anzi al «turban», come il velo delle ortodosse islamiche si chiama in Turchia. L'intenzione resa pubblica ieri dal governo di Ankara è di quelle che paiono annunciare una svolta. Entro l'8 febbraio prossimo, data del «Bayram» (i festeggiamenti che seguono al lungo digiuno del Ramadan) il governo di coalizione presieduto dall'islamico Necmettin Erbakan intende abolire il divieto di usare il velo nei luoghi pubblici. Questo non significa certo che da quel momento ogni donna turca dovrà abbigliarsi in stile tradizionale: è una decisione in qualche modo liberale, che si limita a rimuovere un divieto, a consentire alle credenti di abbigliarsi come meglio credono. Eppure il gesto assume un forte valore simbolico: è come se d'un colpo il movimento che tutta l'Europa continua a temere facesse venir meno uno dei Fabio Squillante HITLER «Ci fanno la guerra sui fondi dell'Olocausto, facciamogliela anche noi» pilastri dello Stato moderno. Settantaquattro anni fa, grazie a Kemal Ataturk la Turchia scelse di costituirsi in repubblica, un anno dopo abolì i califfati e quasi nello stesso periodo stabilì alcune regole che avrebbero dovuto marcare la distin¬ coi piedi continua ad affondare nella mota del secolarismo. In realtà, considerata più attentamente, non fa che riflettere l'atteggiamento con cui il «Refah» ha intrapreso questa prima esperienza di governo a livello nazionale. Erbakan, un distinto signore settantenne, ha salde radici dell'Islam ma lunga consuetudine con la Germania, dove ha vissuto vent'anni. Il suo partito riflette esattamente la duplicità del capo: proselitismo, aiuti economici, sostegno ai più poveri in un'accezione islamica del credito e nello stesso tempo stazioni televisive, grandi mezzi e atteggiamenti che verso l'Europa vorrebbero essere rassicuranti. In pochi mesi di governo il «Refah» ha compiuto scelte importanti, e in apparenza realistiche. Definisce i soldati americani degli «occupanti» ma rinnova loro la concessione per le basi aeree in Turchia. Prolunga di quattro mesi la legge marziale contro i curdi del Sud-Est ma si augura «che termini presto». Impegna il suo presidente in spericolati «raids» tra i fratelli dell'Islam ma stringe accordi d'affari con l'Occidente, va avanti con le privatizzazioni e fa volare perfino la borsa di Istanbul grazie alla vendita della Turk Telekom. Un atteggiamento pragmatico che in termini di consenso popolare continua a dimostrarsi pagante. Nelle grandi città, le amministrazioni rette dagli islamici cominciano a funzionare, i servizi migliorano, le prospettive si fanno incoraggianti. Gli scandali in cui volta per volta vengono coinvolti esponenti del governo (l'ultimo, per le accuse di un giudice tedesco all'ex premier Tansu Ciller, oggi ministro degli Estari ed in questi giorni in visita a Roma) non fanno che sottolineare la «purezza» dei nuovi amministratori. E' in questa prospettiva, quella del medio periodo, che la decisione di abolire il divieto del «turban» potrà rivelarsi pagante. Anche per la moglie del premier: fino ad oggi la signora Erbakan, islamica convinta, non ha mai accompagnato il marito ad una cerimonia militare. Avrebbe dovuto fare a meno del «chador». Tre ragazze in un locale di Istanbul Presto per loro potrebbe tornare il «turban», il velo proibito da Ataturk, fondatore della Turchia laica zione tra religione e Stato. Una delle principali impediva, e impedisce ancora, a chi fa parte dell'esercito di recarsi in divisa alla preghiera del venerdì. Nelle caserme ancora oggi non possono sorgere moschee. Un'altra disposizione vietava alle donne l'uso del velo, anche se al di fuori delle grandi città la sua applicazione è stata sempre problematica. Soprattutto negli ultimi quindici anni, poi, la legge appariva superata dai fatti. L'enorme emigrazione interna, l'afflusso di masse rurali verso Istanbul ha già creato sulle rive del Bosforo ampie zone franche, in cui non solo il «chador» è tollerato ma farebbe scandalo la sua mancanza. A Sultabeyli, sobborgo grande quanto una città, le tradizioni dei contadini fuggiti dall'Anatolia si sono sposate ad una lunga leadership del «Refah», il partito islamico del benessere, per riprodurre costumi di un tradizionalismo assoluto. In altre zone dove gli islamici governano da poco l'uso del «turban» si è esteso senza però farsi prevalente. Nelle università sono molti i rettori che hanno consentito l'uso del velo alle studentesse. Il divieto per il momento resta fermo solo negli uffici pubblici. Nulla di apocalittico, dunque, non fosse per il fatto che con questa decisione Erbakan (leader del «Refah» oltre che del governo) sembra far cadere un altro, metaforico velo rispetto alle intenzioni del suo partito Nulla di nuovo: nelle elezioni dello scorso giugno, fra le tante promesse di ordine sociale gli islamici avevano inserito anche questa. Ed il «partito del benes sere» sta dimostrando di saper mantenere gli impegni. Vista da lontano una decisio ne simile può apparire ennesimo esempio delia schizofrenia di un Paese che con la testa continua a sentirsi in Europa e Trafugati da Vìchy Giuseppe Zaccaria

Persone citate: Bayram, Erbakan, Fabio Squillante, Kemal Ataturk, Necmettin Erbakan, Tansu Ciller, Turk