A Grozny il voto delle macerie
Tutto è raso a zero dalle granate, Maskhadov il favorito fra i candidati Tutto è raso a zero dalle granate, Maskhadov il favorito fra i candidati A Grozny il voto delle macerie Un presidente per il Paese che non c'è più I ribelli islamici vincitori dei russi si accampano nelle tende rizzate fra le voragini delle bombe vinti che stanno ceiebrando la loro vittoria indipendentista. E quando a Mosca apparirà, in tutta la sua lampante evidenza, questa semplice verità, allora si imporrà la scelta che per adesso nessuno vuole fare: accettare le cose come stanno, oppure opporsi. E opporsi vuol dire di nuovo guerra. E tanto sangue. Qua e là qualche facciata è in via di rifacimento, qualcuno ha riempito i buchi dei proiettili, le occhiaie vuote delle cannonate. Uno striscione verde pallido è steso tra due finestre rare con i vetri nuovi. E' Aslan Maskhadov che promette «stabilità» ai suoi elettori. A occhio e croce è il meglio piazzato per la vittoria. Era il capo dello Stato Maggiore delle forze ribelli di Dzokhar Dudaev e fu lui a trattare la pace con il generale Lebed. Per meglio dire fu lui a dettare le condizioni della disfatta russa. Forse è per questo che vincerà, se vincerà. Movladi Udugov, il ministro dell'Informazione di Dudaev, è riuscito a far dipingere sui pochi muri che restano in piedi, sulle staccionate sbilenche e sforacchiate, il suo unico slogan: «Ordine islamico». Che personalmente applica con rigore, avendo due mogli e quattro figli. L'ultimo veramente in corsa, dei sedici candidati ufficiali, è Zelimkhan Jandarbiev, fino a ieri facente funzione di presidente dalla morte di Dudaev. Qui accanto la preghiera islamica dei fedeli a Grozny e a sinistra un miliziano che affigge un cartello elettorale col volto di Maskhadov usando come martello il mitragliatore [foto ansa] Le sue chances di vittoria sono poche, quelle poche furono ridotte ulteriormente dalle catastrofiche immagini televisive del suo incontro con Eltsin in piena campagna elettorale presidenziale russa. Per un ceceno farsi umiliare è peggio che morire. Sull'aereo c'è anche Serghej Kovaliov, l'ex plenipotenziario di Eltsin per i diritti umani, licenziato per aver denunciato le atrocità russe della guerra cecena. E' preoccupato perché non vede una via d'uscita. «La Cecenia sarà indipendente - dice senza entusiasmo, come enunciando una legge di natura - e la Russia farà bene a prenderne atto al più presto». Ma non c'è il rischio che la perdita della Cecenia sia il segnale del «liberi tutti» per l'intero Caucaso del Nord? «Forse, non so. Ma i guai sono già stati fatti e non riparabili. E' essenziale non farne altri. Bisogna proporre a questi popoli un modello di consenso civile e attenervisi abbandonando ogni atteggiamento imperiale». Kovaliov non è un politico in senso stretto. Forse è per questo che non vede il resto, che seguirebbe il suo discorso: che quel modello civile a Mosca non ce l'ha nessuno; che, se ci fosse, non basterebbe per trattenere questi popoli; che solo una Russia ricca e stabile potrebbe attirare di nuovo nella sua orbita le schegge in fuga. Ma la Russia, oggi, non è né ricca, né saggia abbastanza. Giulietta Chiesa
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