«Senza figli, non battiamo il Nord-Est» di Cesare Martinetti

I giovani imprenditori: abbiamo più tecnologia, ma invidiamo l'entusiasmo del Veneto I giovani imprenditori: abbiamo più tecnologia, ma invidiamo l'entusiasmo del Veneto «Senza figli, non battiamo il Nord-Est» Torino, il calo demografico diventa emergenza industriale Diverse aziende nate intorno alla Fiat sono diventate leader mondiali nelle forniture dell'auto A Torino vengono a rifornirsi non solo tedeschi e francesi ma anche i giapponesi si». Cresce il «piccolo», soprattutto nel settore dei servizi alle imprese. Il presidente degli industriali torinesi, Devalle, nei giorni scorsi ha rilevato che lo sviluppo delle imprese ha raggiunto nel '96 l'I,5 per cento con una crescita di oltre 2 mila imprese. Attraverso il vecchio Piemonte vaga però uno spettro a cui non può rimediare nemmeno la più efficace delle politiche economiche: il calo demografico. Nel 1980, per ogni anziano con più di 64 anni, vi erano due giovani con meno di 14; oggi il raffronto è uno a uno. Gli esperti della Federpiemonte ne parlano come di un «disastro» prossimo venturo: la situazione è molto grave, mai sperimentata nella storia dell'economia dalla rivoluzione industriale in poi. C'è bisogno di giovani, di nuova immigrazione e si guarda esplicitamente all'Africa. Già ora tra gli occupati regolari in regione vi è un 5-6 per cento di extracomunitari. La Federpiemonte, con il ministero del Lavoro, ha organizzato un super-corso di formazione per venticinque stranieri (in gran Da sinistra: Bruno Rambaudi presidente degli industriali piemontesi e il segretario della Cgil torinese Pietro Marcenaro non solo dentro il «sistema auto», ma nel «sistema Fiat», secondo una logica che il segretario della Cgil Pietro Marcenaro ci spiega così: «E' attraverso la grande impresa che il piccolo imprenditore riesce a comunicare con il mondo». Dunque, detto in poche parole, qui a Torino è accaduto che molte imprese nate come un'esigenza della Fiat e spesso con una partecipazione della Fiat, hanno elaborato una loro autonomia che le ha fatte diventare leader mondiali nella forniture dell'auto Qui - oggi - vengono a rifornirsi non solo i giapponesi, ma anche i tedeschi e i francesi. Tanto per fare qualche esempio, i fratelli Stola fanno i prototipi di carrozzerie meglio di chiunque altro al mondo. «Battilastra» dal mestiere antico lavorano accanto ai «cad» più sofisticati. Il risultato è che anche i giapponesi vengono a farsi fare qui il prototipo delle vetture nuove, poi lo portano a casa e ne ricavano gli stampi. Alla Stola, intanto, tutto questo fa scuola, perché ogni anno vengono «formati» al'interno dell'azienda almeno una quindicina di nuovi lavoratori superspecializzati. Alla Pininfarina si farà la produzione completa del nuovo coupé Peugeot (10 mila vetture l'anno). Alla Simpro di San Mauro si producono le macchine di prova dei motori per i produttori di tutto il mondo. Alla Lear di corso Allamano si fanno gli interni per le auto francesi, americane e giapponesi. E se vogliamo uscire dall'auto, l'azienda di Bruno Rambaudi, presidente degli industriali piemontesi, ha da poco trovato il modo di produrre le macchine che faranno gli stampi dei piccolissimi mattoncini della Lego. La riconversione è sottile, dicono gli uomini dell'ufficio studi della FederPiemonte, costa cara, è impegnativa, perché qui si tratta di innovare dentro un sistema industriale che ha già saputo coniugare meccanica ed elettronica al massimo della sofisticazione. Innovare significa investire molto, per questo il sistema torinese è più esposto de¬ gli altri alle crisi. Il professor Gian Maria Gros Pietro, studioso di piccola e media impresa, dice che il vantaggio preso dal Nord-Est sul Nord-Ovest negli ultimi anni, non è «fragile». Il N-O, spiega, «può contare su un tasso di tecnologia molto più elevato; ma il N-E ha dalla sua una maggiore vivacità imprenditoriale e la capacità di innovare il prodotto. E questo conta di più: un prodotto nuovo si vende bene; uno ad alta tecnologia ma vecchio, no». Gros Pietro ritiene che il Piemonte non abbia più quell'aria «afflosciata» di qualche tempo fa: «Come torinese ho sempre patito la diffusa mentalità impiegatizia. Ora finalmente qualcosa si muove e anche all'università tra i miei studenti vedo un entusiasmo nuovo, tuttavia non mi pare che ci siano ancora iniziative capaci per quantità di far fronte alle situazioni di cri¬ L'economista Deaglio «Gli altri investono sulle università qui il Politecnico riceve solo 4 miliardi» parte africani, ma c'è anche un cinese) scelti tra 400. Ottocento ore di lezioni e altrettante di stages in aziende. Sono destinati a diventare agenti monomandatari nei loro Paesi per conto di aziende o gruppi di aziende. Rappresentanti del Piemonte nei loro mondi. Pare che il corso vada molto bene, c'è anche una principessa centrafricana che sa sette lingue. Siamo pronti a una trasfusione di sangue e di entusiasmo dal Terzo Mondo, e questa volta gli industriali del Nord (come non fecero con i meridionali negli Anni 60) chiedono allo Stato per gli immigrati case, servizi, sanità. E inoltre, dice il presidente Rambaudi, grandi investimenti di infrastrutture sull'asse Est-Ovest: «Dobbiamo attrarre nuove iniziative e giovani per scongiurare il gravissimo rischio di un declino irreversibile». Il pericolo c'è. Deaglio disegna per il Piemonte scenari simili alle Midlands inglesi o alla «East coast» degli Stati Uniti: «Crisi da cui si è usciti attraverso alti costi sociali, ma avendo il coraggio di ricominciare e di investire sugli uomini: istruzione, università, formazione. Quello che non possiamo fare, è andare avanti così». Pietro Marcenaro pensa addirittura che Torino sia l'ultima grande metropoli operaia d'Europa, che contiene quasi simbolicamente la rassegna di tutti i disagi sociali metropolitani da fine periodo, una «città povera, dove la possibilità di affrontare la questione sociale coincide con la ripresa economica». Sul futuro anche Marcenaro per quella cultura industrialista che a Torino unisce sindacato e imprenditori - pensa che debba affidarsi all'automobile: «Negli anni passati la Fiat ha tirato il collo al sistema industriale delle componenti: ha selezionato i fornitori, li ha messi in comunicazione con il mondo, li ha resi competitivi». E' stata dura, ma il risultato è che oggi, secondo 1' uomo della Cgil, «a Torino e dintorni c'è il primo e più completo sistema industriale del mondo nel settore auto». E allora, che bisogna fare? «Dirlo, rivendicarlo, farlo sapere: siamo la città che sa fare le automobili meglio di chiunque altro. Dobbiamo far sì che il sistema si rafforzi». Crederci. E ci vorrebbe davvero un po' dell'entusiasmo del Nord-Est. Cesare Martinetti (4-fine)