La sporca guerra delle soldatesse

La sporca guerra delle soldatesse La sporca guerra delle soldatesse Obiettivo: salvarsi dai nemici-commilitoni commilitoni maschi. Su mezzo milione di soldati in armi, il 13 per cento sono donne, ma finora la loro carriera è stata limitata al grado di generale di divisione (a due stelle), sicché è facile prevedere che anche al vertice della piramide le cose sono destinate a cambiare. L'unico limite d'impiego ancora in vigore è la prima linea in zona di combattimento. Ma le donne americane hanno presto capito che il nemico contro cui dovranno combattere accanitamente non sarà quello che veste un'altra uniforme. Una vignetta del «New York Post» illustra così la situazione: una soldatessa armata fino ai denti sta nel fango di una trincea dicendo a se stessa: sono qui per difendere la mia patria da qualsiasi nemico. Alle sue spallo si vede piombare con espressione da predatore un commilitone in mutande. Del resto è rischioso di questi tempi fare dello spirito da caserma su ciò che accade in caserma: la politica ufficiale e la cultura che la rappresenta crea una ostilità puritana contro le battutacce e le osservazioni più ovvie in territorio maschile. Nessuno si azzarderebbe a ridacchiare o ammiccare a queste faccende in un ufficio o sull'autobus: la società clintoniana è molto ferrea, poco spiritosa e spasmodicamente tesa verso l'applicazione rigorosa dei diritti civili e prima di tutto della parità sessuale. La promiscuità nelle caserme e nei campi di addestramento è infatti frutto di una scelta dell'am- BALTIMORA litico: il deputato Steve Buyer dell'Indiana, unico membro del Congresso che indossi l'uniforme di ufficiale della riserva, gridò nella commissione per la Sicurezza nazionale che la patria era palesemente in pericolo. Lo scandalo di Abardeen si ridimensionò, ma altre vicende cominciarono a saltar fuori perfino dalle Accademie. Proprio ieri la più famosa accademia, quella di West Point, è tornata agli onori della cronaca per la sentenza su un caso di stupro emessa nientemeno che dalla Corte Marziale che non si occupava di queste faccende dal 1976. I latti sui quali la Corte è stata chiamata a giudicare non si erano svolti in accademia, ma nella villetta privata in New Jersey di un cadetto, durante un festino finito in ammucchiata di ubriachi maschi e femmine. Dopo cinque ore di camera di consiglio la Corte Marziale ha assolto l'imputato maschio rispedendo a casa, fra le lacrime e le recriminazioni della madre («Non c'era da aspettarsi altro da un mondo dominato dagli uomini»), la querelante femmina. Potrà sembrare strano, ma la sentenza è considerata assolutamente anticonformista perché la pressione psicologica del «politically correct» applicata a tutti i settori in cui si registrano conflitti fra sessi e razze impone che si dia per principio ragione al rappresentante del gruppo storicamente subalterno. L'imputato di questo processo era il cadetto James P. Engelbrecht, 22 anni, caduto addormen¬ Londra, grazie alla fecondazione artificiale

Persone citate: Steve Buyer

Luoghi citati: Baltimora, Indiana, Londra, New Jersey