Uno dei giudici: darei la grazia a Sofri di R. I.

L'ex leader di Le colto da malore. I detenuti ricevono la visita dei figli e degli educatori carcerari L'ex leader di Le colto da malore. I detenuti ricevono la visita dei figli e degli educatori carcerari Uno dei giudici: darei la grazia a Sofri «E' un caso particolare, va inquadrato storicamente» stato neppure accompagnato al centro clinico restando nella cella insieme a Bompressi. Ieri non è stata, se non nei loro sentimenti, una giornata particolare. Ad eccezione di una cosa: entrambi hanno potuto ricevere la visita dei rispettivi figli, circostanza abbastanza insolita al primo giorno di reclusione. Ma che si tratti di due detenuti eccellenti almeno per ora - appare evidente. In questa chiave qualcuno ha anche interpretato la sede della detenzione, giacché quello di Pisa è un carcere circondariale, teoricamente non attrezzato ad ospitare detenuti con sentenze definitive. In realtà il Don Bosco dispone di una speciale sezione esattamente come Rebibbia. Già ieri Sofri e Bompressi hanno ricevuto anche la visita degli educatori che hanno proposto ciò che offre il carcere: dai corsi di computer ai vari tipi di lavoro. Alle 9 c'era stato anche il colloquio con il direttore Cerri e il comandante degli agenti penitenziari Abruzzese. L'esposizione delle «regole» è SGARBI be essere, a parte gli sconti di pena per buona condotta, la semilibertà con il ritorno in cella alla sera. Ma soltanto dopo che sarà scontata metà della pena. Il ritorno a Pisa, dopo tanti anni, non può essere stato per Adriano Sofri privo di forti emozioni. Qui fu fra gli animatori del movimento, organizzatore, secondo le forze dell'ordine dell'epoca, anche di gravi disordini che bloccarono la stazione di Pisa nel pomeriggio del 14 marzo del '68. Per quei disordini Sofri fu raggiunto da un ordine di cattura. Fra i nomi dei denunciati, anche quello di un altro normalista, Massimo D'Alema, già comparso un mese prima in un elenco di studenti convocati in procura per l'occupazione del palazzo della Sapienza. Trent'anni dopo, uno oggi è in carcere, l'altro è U capo (in pectore) del governo. Destini. stato probabilmente il tema dell'incontro. Entrambi i detenuti hanno poi letto i quotidiani; Sofri ha portato con sé il libro che stava leggendo al momento dell'arresto («Dombey e il figlio» di Dickens) oltre a scritti e memorie personali. Gli sono state tolte le penne stilografiche (considerate oggetti a rischio) ma l'amministrazione gli ha concesso una biro. Per il resto, tutto secondo copione: maglione e pantaloni del magazzino del carcere, il pasto previsto dal menu giornaliero. Fuori dal carcere, qualche fotografo che coglie l'arrivo dei figli, vecchi militanti di Lotta Continua, ormai con i capelli grigi, a stigmatizzare la vicenda che ha portato i due ex compagni in carcere. Anche qualche giovane avvocato che ne sapeva di più ad indicare le molte strade che ora attendono Sofri, Bompressi e Pietrostefani. E cioè, grazia o revisione del processo nel caso che l'inchiesta di Brescia vada avanti sulla ricusazione del giudice. Altrimenti la via della libera uscita potreb¬ Renzo Castelli zio, professionisti di livello che hanno fatto un grave errore, un infortunio che non deve ripetersi». «Non ho espresso alcun giudizio sul caso Sofri, ho solo ricordato, in un programma sugli Anni 70, le ferite di una generazione», si giustifica oggi Fazio. Lo appoggia il direttore di Studio Aperto Paolo Liguori, ma ex di Lotta continua, «scandalizzato dalle polemiche sollevate contro un gesto spontaneo e personale del conduttore». Il suo ex amico Manconi se la prende invece con De Mita che aveva criticato la difesa di Sofri, e ironizza: «Taci fellone. Con tutto quello che è successo in Italia, con tutto quel che De Mita ha combinato in Italia, ora tocca anche sorbirci le lezioni morali di De Mita e di Gasparri, di Servello e di Selva». dosi assediato da fax di protesta, smorza stranamente i toni. Racconta di aver manifestato le sue «perplessità» al direttore di Raidue, cui manifesta però la sua stima. «Rispetto il lavoro di Freccerò e di Fa- Maria Grazia Bruzzone Cacciari CACCIARI: CAPISCO SOFRI. «Credo che sia comprensibile come da parte di Sofri e degli altri non si intenda chiedere la grazia: in base a quei riscontri processuali neanche io l'avrei chiesta». Così il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, commenta la sentenza della Cassazione che ha riportato in carcere Adriano Sofri e Ovidio Bompressi per l'omicidio Calabresi. Cacciari che si era interessato molto al caso ancora nell'88 quando scoppiò la vicenda, aggiunge che, per quanto riguarda l'ipotesi della grazia concessa dal Presidente della Repubblica senza l'iniziativa dei diretti interessati, sarà, in sostanza, frutto di «una decisione politica». «Si deve . determinare - spiega un certo clima nel Paese; un clima generale perché un'azione di grazia di questo genere, ma non solo e anche nei confronti dei cosiddetti esuli, il cui ddl giace da qualche parte e che io mi sono permesso di sollecitare qualche mese fa al ministro Flick, venga approvata». C0RU0NE: GIUSTIZIA DA RIVEDERE. «Anche questo caso ha messo in evidenza che bisogna rivedere molto nell'esercizio della giustizia nel nostro Paese. E' vero che nel nuovo codice esiste la possibilità di una concessione autonoma della grazia: dipende dal Presidente della Repubblica e dal ministro di Grazia e Giustizia. Ritengo giusta la scelta di Adriano Sofri di non richiedere personalmente la grazia». Lo ha dichiarato il sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone a Voghera, dove ha visitato il carcere. Corleone ha elogiato la situazione del penitenziario della città e ha illustrato la sua proposta di legge sulla depenalizzazione dell'uso delle droghe leggere. [Ansa] PALERMO: I PENTITI, UN PERICOLO. «Con i criteri seguiti dalla Cassazione nella vicenda Calabresi, i collaboratori di giustizia siciliani potrebbero diventare dei killer pericolosissimi». Lo ha detto l'ex giudice Carlo Palermo, commentando il caso SofriCalabresi nel corso di un dibattito sulla giustizia nell'ambito del convegno di Pisa: «Dare voce al silenzio degli innocenti». «Se per ogni pentito - ha spiegato Palermo, che oggi fa l'avvocato - ci dovesse essere una condanna, la possibilità di difendersi per il cittadino diverrebbe problematica». Per Palermo, «il caso Sofri è l'ultimo episodio di una lunga serie di fatti che fanno meditare». _ . PlCorleone FLASH _ . Palermo VIGNA: PERCHE' MARINO NON HA PARLATO PRIMA? «Un pentito che parìa dopo sedici anni mi lascia dei dubbi. Mi dovrebbe spiegare perché non ha parlato prima». Il procuratore nazionale antimafia, Piero Luigi Vigna, a margine di un convegno sulla giustizia a Bologna, ha espresso così le sue perplessità sulla sentenza contro Sofri, Bompressi e PietroStefani per l'omicidio del commissario Calabresi. «Nella legge sui pentiti che stiamo preparando - ha aggiunto Vigna sarà forse previsto un termine ampio entro il quale il collaborante dovrà raccontare i fatti indimenticabili». Se racconterà «qualcosa sempre di indimenticabile dopo la scadenza del termine, dovrà spiegarne i motivi». Vigna ha ricordato inoltre che la legge «imponeva un termine entro il quale dissociarsi», [r. i.]