«Non c'è nulla da perdonare» Bompressi: per tornare libero non calpesto la mia dignità

«Non c'è nullo da perdonare» «Non c'è nullo da perdonare» Bompressi: per tornare libero non calpesto la mia dignità PISA DAL NOSTRO INVIATO «Dove andate?», chiede la guardia, sul portone de! vecchio carcere di via Don Bosco 43, a Ovidio Bompressi che è lì con il suo legale. «Sono venuto ad accompagnare lui», la un gesto, l'avvocato Ezio Menzione. E la guardia: «Lei chi è?». «Sono Bompressi, condannato per omicidio», risponde a quello che non sa nulla di nulla e che prende tempo: «Non mi risulta, vado a chiedere». C'è lo spazio per un ultimo abbraccio alla moglie Giuliana. E ad Elisabetta, sua figlia che ha 26 anni, che se lo stringe forte e che poi racconta in un sussurro: «Vede questo braccialetto, me lo ha regalato mio padre questa mattina. E' un regalo bellissùno». Alle 14 e 1 minuto è tutto finito. Meno di un'ora e mezzo dopo arriverà anche Adriano Sofri. E il portone verdino verniciato di fresco si chiuderà per la seconda volta dietro alle loro spalle, condannati a rimanere qui - conti della Cassazione alla mano - per 19 anni, 9 mesi e 8 giorni, fino alla fine di ottobre del 2016. «Sì, ma non si scrive qui la fine della loro storia, questo è solo mi capitelo drammatico. Ci sono da contare tutti i condoni, potrebbe arrivare una revisione del processo. Oppure la grazia», spera Ezio Menzione, l'avvocato di Bompressi, mentre a un metro, al telefonino, Luca Sofri dà l'annuncio a sua madre, ad Alessandra, che abita a cento metri da qui ma quei cento passi, ieri non li ha voluti fare. Arriva da Firenze Marco Boato, parlamentare dei verdi, mezza vita a fianco di Adriano Sofri. Entra in carcere e non è la prima volta che va a trovare Bompressi e Sofri, anche 8 anni fa, la prima volta. Quando nessuno poteva credere che sarebbe finita così, oro colato le parole di Leonardo Marmo, una montagna di menzogne - ha detto la Cassazione - tutte le altre. «Li ho trovati molto stanchi, frastornati. Forse Bompressi era il più turbato», dice poi Boato. E racconta dell'abbraccio, della sorpresa. Di Sofri che si arrabbia quando gli tolgono le sue due penne stilografiche solo perché - come recita il regolamento carcerario - hanno la punta in metallo e possono offendere. «E' mia cosa da pazzi», scuote la testa Sofri, golfino blu, camiciola beige, in piedi nella stanza del direttore, scrivania e foto di Oscar Luigi Scalfaro di prammatica. «E' una cosa da pazzi», ripete pensando a come sia finita la storia di Lotta Contmua. Dalle piazze del «movimento» alle carte bollate dei processi. Accanto a lui c'è Ovidio Bompressi, esecutore materiale dell'omicidio di Luigi Calabresi, secondo la Cassazione. Ripete quello che da due giorni sta dicendo, a tutti quelli che lo chiamano via cellulare: «Continuerò per tutta la vita a dire che sono innocente ma adesso non so proprio da che parte girarmi, ho paura». Se gli avvocati dicono che una delle strade possibili per uscire dal carcere ò la grazia, se anche la vedova Calabresi è disposta a perdonare, da loro arriva solo mi «no», irremovibile come un muro. Bompressi ci mette poche parole a spiegarlo: «Non c'è niente da ammettere, niente da perdonare. Non si può mettere tutto sullo stesso piano e calpestare la propria dignità, pur di uscire dal carcere». E allora per adesso rimangono i quattro muri beige mi po' scrostati, con il centro clinico migliore d'Italia, come dicono tutti, ma che per adesso ospita solo il Vanni, Mario Vaimi, il compagno di merende di Piero Pacciani. «Loro no. Vanno in cella singola, ne abbiamo liberate due appc sta», fa sapere il direttore, Vittorio Ceni, davanti a loro, prima della trafila di tutti quelli che entrano dentro: numero, matricola, impronte, foto, visita medica, vettovaglie. Si sa che sono celle piccoline, che il carcere non è tra i più moderni, ma dei 250 detenuti, alcune nella sezione femminile, altri nel reparto speciale 41/bis, nessuno si è mai lamentato piii di tanto. L'ora d'aria si fa in cortile tra muri di cemento ed è lì che oggi Sofri e Bompressi potranno stare di nuovo insieme. «E' im carcere vivibile», spiega l'avvocato Menzione. E poi toma in ufficio, a studiare la grazia riformata con la legge dell'89, quella che viene concessa anche autonomamente dal Capo dello Stato senza nessuna domanda, senza richieste, senza ammissioni. «Adriano mi ha raccontato le passeggiate che faceva attorno al carcere, ai tempi dell'università qui a Pisa. E adesso è lì dentro, gli hanno sequestrato pure le penne e non gli ho potuto dare nemmeno le mie», scuote la testa Boato. Che promette di tornare presto, che giura che non saranno lasciati soli, che già lunedì verrà il sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone. Per adesso rimangono davanti al carcere gli amici e i compagni di un tempo di Lotta Continua di Pisa. Dove Leonardo Marino giura di aver ricevuto l'orchne di uccidere da Sofri. Dove adesso Sofri e Bompressi sono tornati, sempre insieme ma non liberi. Fabio Potetti *

Luoghi citati: Firenze, Italia, Pisa