SANGUINETI: GIOCANDO VI ROVESCIO IL MONDO di Bruno Quaranta
SANGUINETI: GIOCANDO VI ROVESCIO IL MONDO SANGUINETI: GIOCANDO VI ROVESCIO IL MONDO Corollario», quattro anni di versi civili all'insegna delfou rire « della scrittura. Lo ritrovo in alcune tele di Carol Rama: covano e saettano il ghigno». Due le poesie (cartoline?) spedite alla signora che sorseggia la notte, le nostre tenebre, con le Parche: «... le liquide losanghe le latrine / avide ammusano, annusano, artigliano, / con crapule credibili che cigliano / hibrid'hunc hominem hydropemqu'hypocritam...». Carol Rama, un nome apparso non a caso. E' una figura del liquido amniotico di Sanguineti, Torino, la capitale che lo accolse - lui di natali genovesi bambino, ospitandolo sino al Sessantotto. Sotto la Mole, fra «savoiardi equestri che rampantemente, monumentalmente, mi sciabolano e mi zoccolano», ha inanellato le stagioni della formazione e dell'autoformazione. Il liceo D'Azeglio (con professori maiuscoli: Luigi Vigliani - latino e greco -, Albino Galvano - GENOVA una maschera, Edoardo Sanguineti. Uno di quei visi che accendevano o addirittura incendiavano la Commedia dell'Arte. E il naso ciraneggia: una prua, una forma barocca, il promontorio dove potrebbe annidarsi la saga di Gulliver. Una Genova levantinamente indaffarata ronza intorno all'Università dove insegna Letteratura italiana, spalancato (è o non è sinonimo di «neoavanguardia», da I Novissimi al Gruppo '63?) agli inchiostri diversi, irregolari, capricciosi (si intitola o non si intitola Capriccio italiano il suo romanzo sperimentale?): «Con gli studenti non mi limito a visitare i classici. L'anno scorso, ad esempio, ho ospitato lo Scarpa della Graticola, il Caliceti della Fonderia Italghisa, il Culicchia di Tutti giù per terra». L'ultima schiatta frangiflutti, i franti che frangono (o ambiscono frangere) le arcaiche, ossidate gabbie. La scommessa di far nascere l'aquila dal topo, come auspicava Montale, tra le figure di Corollario, la raccolta poetica di Sanguineti appena uscita: «Te, non ti ho conosciuto, si può dire: (ma ti ho ascoltato sbuffante, bofonchiante, come un trenino meccanico a vapore, alle tue prime alla Scala): ho incontrato Esterina, però, vecchia, una volta (crocifissa al suo tuffo, disgraziata)...». «Certo, Montale di vascelli se ne lasciò alle spalle, ne bruciò. Anche se non lo animava un'ansia rivoluzionaria. Io piuttosto fui attratto dall'espressionismo, dal surrealismo, dal dadaismo». Prima ancora - restiamo nel Novecento - brillò come guastatore Gozzano, a cui Sanguineti ha dedicato indagini e letture salvifiche, capaci di strapparlo alla deriva canforata (mentre fra i due secoli innalza come «sabotatore» lo scapigliato Gian Pietro Lucini). «Sì, i crepuscolari, e quindi Gozzano, hanno celebrato la rottura con il mondo di ieri, con la tradizione ottocentesca, con il culto del Vate. E' egualmente vero che in tal senso una maggiore consapevolezza, un programma, sorreggerà i futuristi». Gozzano dove pulsa nel Corollario? Forse nelle «fotografie superstiti (piene di tempo, popolate di morti / noti e ignoti)» riecheggianti «i dagherrotipi: figure sognanti in perplessità» del salotto di Nonna Speranza. Di sicuro lo si riconosce nella vis ironica che zampilla copiosa: «Attizzata, irrorata, rinverdita per contrasto - spiega Sanguineti dall'atmosfera rappresa di fine secolo, fine epoca, fine millennio, E, più in generale, sollecitata dall'idiosincrasia verso il patetico, il pietoso, il lacrimevole». Ironia. E oltre. Nitido è il pigmento osceno: «"Non ho amato l'amore, ma l'osceno" confessai in una passata raccolta. Non esito a encomiarlo perché scardina il languore, l'autentica lue». E intenso è il colore comico: «Vi ricorro per rendere evidenti gli aspetti tragici. E' un fou rire, un riso nevrotico, quasi involontario. Dovrebbe essere l'aspirazione COROLLARIO Edoardo Sanguineti Feltrinelli pp. 87 L. 20.000 filosofia -, la «Mascalchi» di matematica) e l'Università, nel segno di Getto. Fuori le mura istituzionali, la non meno nutriente bohème: «Gli scrittori, i musicisti, gli inclassificabili (da Guido Seborga a Vincenzo Ciaffi, l'ambasciatore in Italia del Woyzek di Bùchner), senza dubbio. Ma a calamitarmi erano soprattutto gli artisti, nei loro studi soffiava uno spirito libero, anarchico, tante comuni (il gemellaggio con Parigi rinfocolato di giorno in giorno), tanti vaccini contro i vecchi merletti». Da un atelier sortì «Il Quarto Stato», il vessillo antiborghese sulla tolda di Sanguineti, già parlamentare comunista, ancorché indipendente. «Caro compagno proletario - non si illude, non illude -, lo so che il Quarto Stato si è perduta, [strada facendo, quasi, la sua coscienza di classe, da un po' di tempo in qua (anche se non [per sempre spero...». Non si nasconde che la sfida è erculea: «Perché il borghese è il borghese, con [mente fortemente consapevole, ancora: e il capitalismo è il capitalismo: (è il sovrano [- il supremo): (e non ci sta una grande voglia di comunismo, così, adesso, in giro...». E' una ininterrotta espressione (ma difettano le parentesi graffe) la poesia giocosamente civile, militante di Edoardo Sanguineti. E «dinamitarda», come esplosivo la lingua, che ieri, gozzanianamente (riecco il Bel Guido), metteva a soqquadro «certi salotti beoti assai, pettegoli, bigotti» rimando Nietzsche e camicie e oggi mira a divellere «questo nostro bordellesco paese berluscato, la serva Italia forzitalienata». Il sigaro spento e pendulo, gli occhi efferatamente innocenti, Sanguineti avanza e avanza ancora nel nostrano Laborintus. Luciferinamente serafico. «Ahiohimemì» è una cantilena che gli è estranea («Conobbi un dì chi si lagnò così»). Sa che l'opera è per definizione aperta. Se proprio deve imbastire un «corollario», un epitaffio, un punto fermo, non dubita: «Me la sono goduta, io, la mia vita». Bruno Quaranta
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