LE FOGLIE D'ERBA PRIMA MANIERA di Ruggero Bianchi

Walt lì hi/man Walt lì hi/man LE FOGLIE D'ERBA PRIMA MANIERA FOGLIE D'ERBA I85S Walt Whitman Trad. di Mario Corona Morsi/io pp. 426. L 40.000 mj|EL 1855 Walt Whitman, I che fino a quel momento 1 s'era fatto conoscere sol1 tanto per Franklin Evans jL-U(un romanzo sui mali e sui problemi dell'alcolismo uscito nel 1842), per il «Brooklyn Freeman» (un giornale antischiavista da lui t'ondato nel 1848) e per la sua attività giornalistica, metteva a soqquadro il mondo culturale di New York e della Nuova Inghilterra con un volumetto di dodici poesie, Leaves of Grass («Foglie d'erba»), precedute da una prefazione in prosa e da un proprio ritratto, che lo proponevano come «Walt Whitman, americano, uno dei duri»: un'immagine eccentrica e ben poco convenzionale, in netta polemica con l'ambiente laccato degli intellettuali e dei poeti dell'epoca, i trascendentalisti e i cosiddetti «bramini». Su Foglie d'erba Whitman avrebbe poi lavorato per tutta la vita, riscrivendolo, aggiornandolo e ampliandolo di continuo, fino alla cosiddetta deathbed edition (l'edizione da lui messa a punto nel 1891, l'anno stesso della sua morte), proposta in Italia da Einaudi negli Anni Cinquanta con straordinario successo nella traduzione di Enzo Giachino. Ma l'edizione del 1855 rimase, a modo suo, un evento unico e irripetibile. I componimenti, pubblicati l'uno dietro l'altro senza titoli ne altre suddivisioni nette, destavano l'impressione di volersi proporre come canti di un unico poema. In essi la vena dell'autore fluiva naturalmente, senza compromessi linguistici, espressivi o ritmici, offrendo l'immagine di un poeta nuovo, estraneo a ogni schema o tendenza tradizionale e, soprattutto, a ogni tentazione di accademia. Questa prima edizione viene oggi riproposta da Mario Corona, a distanza di quarant'anni dalla fatica di Enzo Giachino, in una nuova versione felicemente aggressiva, frutto di un lavoro di anni, nella quale il grande poeta americano appare ancora esente da quell'ansia di esplicitazione che inquinerà a tratti i suoi componimenti successivi e le sue stesse riscritture, e dunque meno lontano da quella Emily Dickinson che (soprattutto in anni recenti) molti critici hanno a lui preferito. Il suo comporre più istintivo e selvaggio, attento ai moti dell'anima ma anche e soprattutto alle tensioni e ai sussulti del corpo, fa emergere un'immagine quasi sconosciuta (meno epica e più grezza, forse, ma senz'altro più forte di quella che traspare dalla classica traduzione einaudiana) di un artista che non è ancora il celebratore ufficiale dell'America, il suo bardo riconosciuto e idealmente il suo primo «poeta laureato». Merito anche della recente critica femminista e gay alla quale il traduttore, curatore si è dichiaratamente ispirato. Alla lettura, almeno a prima vista, il Whitman di Corona, al di là della tematica di fondo, si rivela assai diverso da quello di Giachino: fluido, capace di giocare su immagini vigorose e associazioni sorprendenti, giovanile ma raffinato, colto ma impetuoso, non ancora «torrenziale» e tuttavia maggiormente a proprio agio nella dimensione lunga, quasi che la sua vocazione segreta sia proprio quella del poema, pur essendo al contempo più lirica che epica. Un'autentica sorpresa che può sfociare in un'autentica riscoperta di Foglie d'erba, inducendo i lettori a ritrovarne il senso più segreto e a scoprirne l'intensa e appassionata modernità. Ruggero Bianchi

Luoghi citati: America, Italia, New York, Nuova Inghilterra