Delitto Calabresi, 22 anni a Soffri di Gianni Vattimo
La Cassazione: stessa pena anche a Bompressi e Pietrostefani. Ora andranno in carcere La Cassazione: stessa pena anche a Bompressi e Pietrostefani. Ora andranno in carcere Delitto Calabresi, 22 anni a Soffri Condanna definitiva per l'ex leader di Lotta continua corte d'assise d'appello, Giangiacomo Della Torre, a sua volta si trova nei guai. E' stato denunciato da Sofri - e di conseguenza inquisito a Brescia - per aver fatto pressioni sui giudici popolari affinché pronunciassero una sentenza di condanna a prescindere dalle prove raccolte. Ebbene, i difensori di Sofri e degli altri hanno sostenuto in Cassazione che non si può arrivare a nessuna decisione prima di vedere le conclusioni di Brescia. Di qui la richiesta, ora bocciata, di sospensione. Una delle prime reazioni ieri sera è arrivata dall'avvocato di Sofri, Marcello Gentili: «Questa è una sentenza ingiusta che ha preferito dare spazio alla voce di un collaborante quando le prove storiche hanno ampiamente smentito le sue dichiarazioni». Il penalista ha poi aggiunto che per il suo assistito «si apriranno le porte del carcere. La mia speranza è che in futuro la procura di Brescia vada fino in fondo sull'indagine relativa alle presunte pressioni esercitate sulla giuria del processo d'appello. Per il presente c'è soltanto il carcere». L'avvocato Luigi Ligotti, difensore di parte civile della famiglia Calabresi, dal canto suo, ha parlato di «sentenza giusta che chiude una vicenda tormentata e velenosa. Alla certezza morale si aggiunge la certezza giuridica». «Quel poco di fiducia che mi era ri¬ masto nella giustizia - ha affermato il prof. Gaetano Pecorella, difensore di Ovidio Bompressi - è venuto meno dopo questa sentenza della Corte di Cassazione che ha smentito se stessa». Questo il commento di Marco Pannella presente al Palazzaccio di Piazza Cavour al momento della lettura del dispositivo: «E' stata una sentenza emessa in nome di Marino e non del popolo italiano». Luigi Calabresi era stato ucciso davanti a casa, il 17 maggio del '72. Due colpi di pistola sparati a bruciapelo con una Smith & Wesson calibro 38 special a canna corta. Per 16 anni sull'omicidio del commissario Calabresi si fanno mille ipotesi. Che sia opera della sinistra, di qualche gruppo extraparlamentare, è la tesi ricorrente: perché Calabresi era a capo dell'ufficio politico della Questura, perché era in via Fatebenefratelli quella notte del '69 quando l'anarchico Giuseppe Pinelli volò giù dal quarto piano. Ma poi c'è anche la pista nera, quella dell'estremismo di destra: quella che porta all'arresto di Gianni Nardi e della sua compagna, Gu- j drun Kiess. Sospettati. E poi prosciolti perché non ci sono prove, perché la storia della loro accusa non sta in piedi. Sedici anni dopo arriva l'affermazione di Leonardo Marino: «Io guidavo l'auto, Ovidio Bompressi sparava». Marino accu- i sa, come mandanti, Giorgio Pietro- 1 Stefani e Adriano Sofri. Gli arrestati smentiscono ogni accusa. Il processo di pruno grado si celebra nella primavera del '90. Il 2 maggio la sentenza: 22 anni di carcere a Sofri, Bompressi e Pietrostefani. Undici a Leonardo Marino. Il 12 luglio '91, la corte d'appdlo di Milano conferma il verdetto. Il 23 ottobre dell'anno successivo le sezioni unite della Cassazione danno torto a Leonardo Marino. Il processo deve essere rifatto. Il 21 dicembre '93 i giudici d'appello, sempre a Milano, ribaltano i due precedenti verdetti e assolvono tutti. Ma la Cassazione, il 27 ottobre del '94, annulla di nuovo e rinvia ad un'altra corte d'appello il processo. Si ricomincia nel novembre del '95. L' 11 arriva la nuova sentenza che divide la posizione degli imputati: Sofri, Pietrostefani e Bompressi vengono condannati a 22 anni, per Marino il reato è prescritto. In ultimo i ricorsi ora bocciati. E la storia sembrerebbe finita. [r. r.] «Marino? Non l'ho sentito e non mi interessa Per me, lui non ha nessuna importanza» VITTORIA DEI PENTITI a chi, riferendosi a vicende di pentiti che hanno ben altra attendibilità, spessore, e altri riscontri oggettivi, conduce oggi un'accanita campagna contro l'utilizzazione dei collaboratori di giustizia nella lotta alla criminalità. C'è dunque il rischio che Sofri e i suoi '•complici» siano srati sacrificati al proposito, comprensibile ma non tino a questo punto, di difendere l'uso processuale dei pentiti, anche a costi) di consacrare l'attendibilità assoluta di Marino che invece, da molti elementi della stessa sentenza del processo, risulta assai dubbia. L'altra ragione che forse spiega questa decisione della Cassazione è il clima di generale insofferenza e ostilità che si è (o è stato) diffuso di recente contro gli ex di Lotta continua e in genere contro i reduci della contestazione sessantottesca. E' questo clima, che circola almeno dall'ej state scorsa quando si è cominciato a parlare -anche li in I base a indizi molto dubbi - di una pista "interna" (si intende al gruppo degli ex) per l'assassinio di Mauro Ristagno, quello che, insieme alla preoccupazione di difendere il pentitismo, può aver ispirato la Cassazione nella conferma di una sentenza che contiene passaggi che fanno letteralmente rabbrividire per il carico di pregiudizi e anche di vere e proprie sciocchezze giuridiche di cui sono colmi. La magistratura ha Oggi più che mai bisogno della solidarietà dei cittadini nel condurre la sua sacrosanta battaglia per l'affermazione della legalità contro criminalità e corruzione; ebbene, con questa sentenza, temiamo tortemente che una tale solidarietà sia destinata perlomeno ad offuscarsi. Gianni Vattimo
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