«Fratello Peres», «Compagno Arafat» di Aldo Rizzo

L'incontro all'Internazionale socialista. Prodi accetta un invito nel quasi-Stato palestinese L'incontro all'Internazionale socialista. Prodi accetta un invito nel quasi-Stato palestinese «Fratello Peres», «Compagno Arafat» Abbraccio tra i leader a Roma ROMA. Romano Prodi andrà presto in Palestina, ospite di Yasser Arafat. Nella solita divisa militare verde e completa di kefiah, il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese arriva a Roma per il consiglio nazionale dell'Internazionale socialista di cui Al Fatali è membro da settembre, ma prima di ripartire incontra il capo del governo italiano. Parlano per un'ora dell'applicazione degli accordi di pace, il tema più urgente, della situazione di Gerusalemme, dello sviluppo economico della Palestina e del ruolo che potrà giocare l'Italia. E alla fine Arafat invita il capo del governo a visitare presto la sua terra, un invito che Prodi accetta con piacere. E' una giornata trionfale per il leader palestinese, vera e propria star dell'Internazionale socialista alla quale partecipa per la prima volta. Quando fa il suo ingresso all'hotel Sheraton, nella tarda mattina, la platea lo accoglie con un'ovazione. Shimon Peres, l'ex premier israeliano laborista, si alza, gli stringe la mano e lo abbraccia. E la ressa di fotografi e cineoperatori che accorrono intorno al palco a immortalare il gesto è tale che si trasforma subito in rissa, con i reporter spintonati brutalmente dal servizio di sicurezza di Arafat e del pds. Urla e grida da parte degli operatori, ci vogliono due minuti perché il delegato greco possa continuare il suo discorso. «Amico, partner e fratello», attacca in inglese il leader palestinese perché tutti possano capire le sue parole, prima di passare all'arabo. «Compagno Arafat», lo definisce poco dopo Peres. E Massimo D'Alema non potrà fare a meno di sottolineare «il grande evento» dell'incontro dei due protagonisti della pace, «che si sono parlati come compagni, partecipi della stessa sinistra democratica». «L'accordo di Hebron è stato finalmente raggiunto, però non basta, occorre andare avanti, accelerare i tempi: oggi ci sono le condizioni per passare a nuo¬ ve tappe», dice un Arafat sereno e ottimista. Che ricorda tutti i leader socialisti che si sono battuti per la pace in Medio Oriente, ringrazia Clinton e l'Unione Europea, Mubarak e re Hussein di Giordania per il loro contributo. Ma aggiunge anche che «la pace non sarà mai completa se continua il sostegno del governo israeliano agli insediamenti e la chiusura dei Territori». «Si è perso troppo tempo», concorda Peres, sottolineando che «non c'è alcuna alternativa alla pace», e che «la realtà è più forte dei governi». E scrosciano altri applausi, fra la soddisfa- zione dei delegati che al Medio Oriente hanno dedicato l'intera mattina. Altri argomenti cruciali sono i Paesi balcanici e l'area dei «grandi laghi» in Africa. Ma il tema più grosso all'ordine del giorno di oggi è il nuovo statuto e le nuove linee dell'Internazionale del 2000. C'è da stabilire chi farà parte della commissione di 14 membri, presieduta dal leader spagnolo Felipe Gonzàlez, che dovrà fare le proposte da presentare al congresso (ed è problematico decidere quali partiti, dei 190 aderenti in tutto il mondo, ne faranno parte: per l'Europa, solo la Francia e la Norvegia). E c'è da discutere la linea dell'Internazionale perché - come scrive Gonzàlez nel suo documento riservato «la globalizzazione dell'economia mondiale si trasformi in una nuova frontiera di sviluppo, di occupazione e di democrazia» dei popoli nel Nord come nel Sud del pianeta. «Castro e il Papa pongono delle domande e affermano dei principi - ha detto Gonzàlez alla cena preparatoria dell'altra sera - noi dobbiamo dare delle risposte». Maria Grazia Bruzzone L'ambasciatore d'Israele a Roma, Yehuda Millo Veniamo alla situazione in Medio Oriente. L'accordo su Hebron significa che, chiunque sia al potere in Israele, il processo di pace deve ormai continuare? «Ali, certamente. Si tratta ormai di un processo storico, irreversibile. L'accordo su Hebron è solo una tappa. Molto più importante è quanto potrà accadere dopo. Il primo ministro Netanyahu ha accettato le intese precedenti, ma anche scadenze nuove, da qui all'agosto del prossimo anno, che riguardano la maggior parte della West Bank. Ma a due condizioni: che la nostra sicurezza sia salvaguardata, e che anche i palestinesi tengano fede ai loro impegni». E' la fine del sogno di Eretz Israel? '<No, non vedrei la cosa in questi termini. Grande Israele, piccola Israele... Sono definizioni emotive. Il punto è che c'è un progetto di ridispiegamento delle nostre truppe, al termina del quale solo 50 mila palestinesi resteranno sotto il con- L'abbraccio tra Arafat e il «fratello» Peres all'Internazionale socialista a Roma trollo israeliano, mentre oltre due milioni godranno di piena autonomia. Questo avverrà col sostegno e la garanzia degli Stati Uniti, ma è importante anche la presenza europea,e non solo sul piano economico, che ò vitale, ma anche su quello politico». E Gerusalemme, e la richiesta di Arafat di uno Stato e non solo di un'entità autonoma? «Siamo d'accordo che il problema di Gerusalemme sarà discusso per ultimo, altrimenti, per la sua complessità, unica al mondo, potremmo bloccare l'intero processo negoziale. Non abbiamo tabù, ma Gerusalemme deve restare indivisa e capitale d'Israele. C'è margine per un qualche compromesso creativo. Lo Stato? E che Stato? Bisogna conciliare una piena autonomia palestinese con l'irrinunciabile sicurezza israeliana. Una proclamazione unilaterale sarebbe un gravissimo errore, metterebbe a repentaglio passato e futuro del processo di pace». Grazie, ambasciatore. «No, mi lasci aggiungere una cosa. Un saluto e un appello agli europei. Chiedo loro che non abbiano fretta nel giudicarci, che non ci assillino con quel che dobbiamo o non dobbiamo fare. Siamo entrati in una fase davvero cruciale, che richiede molta pazienza da parte di tutti». Aldo Rizzo