Il videogame assassino di Gabriele Romagnoli

UN MODELLO ELETTRONICO UN MODELLO ELETTRONICO Il videogame assassino Sul cavalcavia 7 ragazzi telecomandati Il gioco elettronico del Bowling di Tortona era la passione della banda dei sassi Paolo Furlan era il campione uno dei recordmen Ci sono tanti uomini (e qualche donna) che appaiono all'improvviso, dietro superfici di vetro. C'è pochissimo tempo a disposizione per colpirli. Una scritta luminosa incalza: HIT, colpisci. Se il tiratore fa centro si ode un frastuono, la «vittima» scompare e ne riappaiono altre. Alla fine, quando si sono abbattuti bersagli a sufficienza, si ode un suono gioioso. «Bingo!». Bisogna cominciare da qui, da questo videogame incastrato fra gli altri del Bowling club di Tortona, per ricostruire il gioco assassino della banda del cavalcavia. Perché per loro non c'era nessuna differenza tra lo schermo e l'autostrada, gli omini elettronici e quelli veri, i vivi e i morti. Era tutto un videogioco, si ride anche quando si perde, altro gettone e si ricomincia. L'ultima partita l'hanno fatta la sera del 27 dicembre. Comincia proprio da lì, da quella macchina automatica che suggerisce: «Hit», con Paolo Furlan che spara i suoi colpi, ascolta i vetri schiantarsi e guarda gli omini sparire nel nulla. In quel gioco è un campione, uno dei recordmen rimasti nella memoria elettronica del congegno. Si esercita in maniera ossessiva: anche la sera del collegamento con la trasmissione di Santoro, «Moby Dick», lui appare sullo sfondo, impegnato al videogame. «Hit» e lui colpisce l'omino dietro il vetro. Gioca pure il pomeriggio del *5 1 11115 *5 27 dicembre, sfidando suo fratello Sandro. Giocano, quel giorno, anche gli altri due fratelli Furlan, Gabriele e Franco. Giocano il cugino Paolo e il suo amico Robertino. Gioca Loredana, la fidanzata di Sandro. E' come fossero a loro volta le figurine elettroniche di un gioco che qualcun altro manovra. Omini senza ragione che si muovono lungo un percorso prestabilito. Qualcuno mette il gettone e loro («Hit») entrano in azione. Lo schermo s'illumina e mostra i quattro fratelli Furlan che camminano nel centro di Tortona, sotto i portici, facendo la spola tra il bar Milano e il Caffè Teatro. Avanti e indietro, in attesa di una mossa che sposti i loro destini. Dai lati affluiscono altre due figure: sono il cugino Paolo e Robertino. Anche loro appartengono al mondo degli omini senza ragione. Paolo è uno che ha perduto da piccolo il senso della realtà e della tragedia. Ride sempre, qualunque cosa accada. Suo cugino Paolo ha un grave incidente. Lui va in giro e racconta: «Ne ha per poco», sghignazzando felice. Poi l'altro si salva, ma per lui non fa differenza. Basta ridere. Della vita o della morte non ha importanza. Robertino è una «testa vuota», come dice il giudice che lo ha interrogato, ma ha un solo grande problema: coprirsi la testa perché è ormai calvo. Per questo colleziona berrettini da Molte persone hanno sostato a lungo davanti alla caserma dei carabinieri baseball con scritte americane. Anche la sera del 27 dicembre propone agli altri di andare al Mercatone Zeta per comprarsi un cappellino dell'Harley Davidson. I sei omini si spostano lungo il percorso. Fanno una sosta per aggregare al branco la figurina femminile. Lei si chiama Loredana. Lavora al centro commerciale Oasi, commessa in un negozio di calzature. E' figlia di un italiano e di un'eritrea. Il volto ha lineamenti africani. Abita in un palazzo Iacp grigio fumo dove la metà dei nomi sui campanelli fa rima con Abebe. La sua famiglia d'origine partì cercando lo storico «posto al sole» e le ha lasciato in eredità questo ritorno nell'ombra di una periferia di provincia. Loredana stacca dal lavoro, toglie la divisa del negozio (gilet e gonna pantalone verde, camicia grigia) e raggiunge gli amici. Abbraccia il fidanzato, Sandro Furlan. Stanno insieme da un anno, dicono in giro che si sposeranno presto. Su due auto raggiungono il Mercatone, comprano il cappellino, escono. A questo punto le figurine si chinano, raccolgono i sassiproiettili nel parcheggio, si spostano lungo la loro rotta prestabilita e raggiungono il cavalcavia. Immaginateli, sette piccoli omini in fila sul ponte, ciascuno con il suo compito: quelli che fanno il palo ai due lati della strada, quelli che preparano le munizioni, quelli che tirano. Due serie di colpi. Rimettendo il gettone per un altro gioco, si scambiano i ruoli. Per loro è tutto semplice, sono «teste vuote», no? Il mondo e un videogioco, si nasce (ON), si muore (GAME OVER). Le auto sono puntini luminosi che appaiono e scompaiono, le vite che si agitano dentro, parlando di un viaggio a Parigi, sono sussulti generati dall'elettricità. Possono esserci o sparire, dipende dalla corrente. Ma loro stessi, in questo stadio più avanzato del videogame, sono dentro allo schermo, non più fuori, mano sul pulsante. Dentro: figurine a gettone, esseri telecomandati che giocano perche qualcuno ha messo i soldi e vuole che questo accada. C'è una mano che infila la moneta, i sette della banda dei sassi ripetono, come ogni volta, il percorso obbligato di quel gioco dell'oca che è la loro esistenza (casa-lavoro-bar-giocopiazza-amici-cavalcavia-giococasa). Arrivano alla terzultima casella e una voce, alle loro spalle, dice: «Hit», colpite. Loro lo fanno. Non hanno né la forza né la volontà per comportarsi altrimenti. Lanciano il sasso. Sparano loro e spara il giocatore che hanno alle spalle. Questo videogame è una scatola cinese. Chiunque lo gioca è criminale due volte. Una sera, quella del ventisette dicembre, è come se saltasse la corrente, tutti gli omini elettronici e quelli veri, le «teste vuote» e quelle piene di follia, fossero scaraventate nella realtà da quel sacrificale corto circuito che è la morte di Maria Letizia Berdini. Lo schermo si rompe e nessuno lo riaggiusta più. Manda lampi e scariche. E' terribile a guardarsi, anche solo con gli occhi della mente. Tutti si fermano, fissano lo schermo di Tortona e chiedono: che cosa è successo lì dentro? E la risposta più giusta sembra essere: stavano facendo un gioco a premi, orrendo e primitivo, come quello che dovrebbe poter inventare soltanto una macchina, non qualche congegno dotato di anima che definiamo, con ostinazione, uomo. Gabriele Romagnoli

Persone citate: Furlan, Game Over, Harley Davidson, Maria Letizia Berdini, Paolo Furlan, Sandro Furlan, Santoro

Luoghi citati: Milano, Parigi