Tedeschi, tutti antisemiti? di Gian Enrico Rusconi
Tedeschi, tutti antisemiti? Tedeschi, tutti antisemiti? // rischio di «generalizzare la colpa» decenni. Per Goldhagen non c'ò niente da capire oltre alla continuità fra la potenziale volontà eliminazionista dell'antisemitismo storico e quella effettiva della macchina dello sterminio. Di fronte a questa posizione si è registrato in Germania un fatto singolare: una straordinaria attenzione presso il grande pubblico e un'accoglienza fredda anzi negativa da parte della stragrande maggioranza degli storici professionali. Si badi: la reazione negativa non è venuta dagli storici «revisionisti», ma al contrario proprio dagli stessi storici (di sinistra) antirevisionisti che sostengono la «originalità» e «originarietà» dello sterminio nazista rispetto ad altre forme di crimini collettivi di matrice bolscevica. Colpisce ora vedere i Mommsen e i Wehler, che da anni conducono la loro battaglia antirevisionista contro i Nolte e soci, rovesciare il fronte della loro polemica contro Goidhagen - anche se ovviamente gli argomenti e gli obiettivi sono diversi. Al libro, che si presenta come lettere AL GIORNALE precedente totale identificazione ideologica antisemita, allo storico non resta che mostrare il più ampiamente possibile come e quanto questa volontà si sia espressa. Da qui i capitoli centrali dedicati ai battaglioni di polizia («Tedeschi comuni, volontari assassini») impiegati nella ricerca e nella eliminazione degli ebrei in Polonia e altrove, i documenti sull'uso dei campi di «lavoro» ai fini dell'annientamento e le «marce della morte» nelle ultime settimane della guerra. Questi capitoli, pur raccontando vicende già note, mirano a illustrare il quadro motivazionale di soggetti pienamente responsabili e quindi in grado di decidere. Rispetto a questo intento centrale, le considerazioni sul contesto o sulle concause politiche scatenanti l'Olocausto - cause interne ed esterne con effetti di condizionamento non tanto sui carnefici quanto sulla popolazione resa passiva e complice indiretta appaiono quisquilie. Questo è il punto cruciale per capire da un lato Goldhagen e dall'altro la freddezza della storiografia professionale. Quest'ultima infatti mette in conto accanto all'antisemitismo altri fattori di spiegazione che rimandano al sistema politico autoritario sino al terrorismo, all'esasperazione nazionalistica e alla mobilitazione totale in una guerra totale. Non si tratta affatto di trasformare i carnefici in «vittime del sistema» o di assolvere un popolo dalla sua responsabilità, ma di capire come nel suo seno potessero coesistere forme diversificate di comportamento. Non è un punto di piccolo peso perché porta al senso stesso di fare storia e al dilemma che l'accompagna sempre: se e quanto la spiegazione di un fenomeno si esaurisce nelle motivazioni e nelle intenzioni (criminali e non) di alcuni suoi protagonisti. 0 non richieda uno sforzo di comprensione (non di giustificazione) più ampio, soprattutto quando assume le dimensioni e la qualità dell'Olocausto. un'interpretazione originale dell'Olocausto, è stato obiettato di non dire nulla di originale, ma di riportare il dibattito indietro di decenni, evocando la «colpa collettiva», e di sostenere una spiegazione monocausale e ideologica dello sterminio («L'antisemitismo eliminazionista»). Ignora quindi lo sforzo di quanti (ebrei compresi) hanno tentato di dare spiegazioni meno semplici dell'Olocausto. Nessuno nega i fatti, tantomeno quelli documentati da Goldhagen, o le dimensioni del coinvolgimento della popolazione, ma le generalizzazioni sulla «volontà annientatrice dei tedeschi comuni» non appaiono convincenti. In effetti il libro presenta una sproporzione tra la semplicità della tesi centrale e la mole dei documenti accuratamente illustrati e spiegati a senso unico. Altri studiosi hanno tratto altre conclusioni inquadrando in modo diverso gli stessi documenti. Ma se Goldhagen parte dall'assunto della partecipazione volontaria degli esecutori-carnefici, sulla base di una Gian Enrico Rusconi
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