Nell'aula bunker di Rebibbia: il due per cento degli appalti mafiosi servivano per pagare i politici
Nell'aula bunker di Rebibbia: il due per cento degli appalti mafiosi servivano per pagare i politici Nell'aula bunker di Rebibbia: il due per cento degli appalti mafiosi servivano per pagare i politici Il «pentito» Brusca: controllavo i Salvo «Mi sentivo importante perché si poteva intervenire suAndreotti» processo Basile». Tra i suoi compiti, Brusca elenca anche quelli della «gestione degli appalti pubblici della Provincia e della Regione». «Per quanto riguarda il mio mandamento - specifica prendevamo i soldi e ci trattenevamo il 4,50% per i bisogni della famiglia, e il 2% per pagare i politici». E Giovanni si occupava anche della questione del carcere duro: «Si cercavano personaggi fuori da Cosa nostra per convincerli a denunciare abusi e violenze agli onorevoli Maiolo e Sgarbi, che così potevano intervenire contro il 41 bis». " LA DIFFIDENZA NEI SUOI CONFRONTI. Brusca sa che non tutti gli credono perché sin dall'inizio della sua collaborazione si è temuto che potesse essere un falso pentito. La sua autodifesa è semplice. Ammette di aver mentito, di aver tentato di «salvare» due persone, addossando a suo fratello Enzo le responsabilità di quelli su due omicidi. «Ma l'ho fatto perché mi sentivo responsabile di averli trascinati nella rovina, avendoli coinvolti nella mia latitanza». E la storia dell'incontro con il presidente Luciano Violante? «Quella io non l'ho mai raccontata, né agli investigatori né tantomeno " Pent'to Giovanni Brusca depone prot ett ai magistrati. Era un piano che avevo confidato al mio avvocato di allora, Vito Ganci. Poi gli avevo detto che "non se ne faceva niente". Quando sono stato arrestato, quel piano me lo sono ritrovato sui giornali, come se fossi stato io a dirlo per insinuare veleni». Attribuisce, dunque, all'avvocato Ganci la responsabilità del «depistaggio» su Violante. LA GRANDE DELUSIONE. E' il motivo della sua scelta di collaborare. Delusione, nausea e rabbia. Questi concetti, Brusca li ha illustrati benissimo: semplicemente raccontando il suo progressivo di¬ COSI' PARLO' L'EX BOSS o dal paravento nell'aula bunker di Rebibbia stacco dai cosiddetti «valori» di Cosa nostra. Una storia macabra, disseminata di cadaveri e di violenza, alla quale quasi non riusciva a sottrarsi. Andando avanti nel lungo racconto, Brusca non ha avuto timore di smentire altri pentiti e persino la deposizione di suo fratello Enzo, avvenuta non più tardi di venerdì scorso. Per esempio ha ammesso che l'altro suo fratello, Emanuele, è uomo d'onore. Enzo aveva detto che «Emanuele è fuori da tutto». Giovanni ieri ha puntualizzato che il padre, don Bernardo, non è mai stato messo in pensione da Cosa nostra. Anche questo in contrasto con la tesi di Enzo, che aveva detto: «Quando mio padre fu arrestato, nel 1985, divenne praticamente un pensionato». Giovanni, invece, sostiene che il vecchio boss ha dato una delega in bianco a Salvatore Riina, ma nessuno lo ha mai deposto dalla carica di capomandamento di San Giuseppe Jato. Perché la delusione? «Io, signor presidente, mi davo da fare per tutti. E ammazza questo, e fai quest'altro, andavo su e giù come una trottola. Poi chiedevo un favore per mio padre e nessuno mi dava conto. Anzi mi criticavano. E così io pensavo: ma chi
Persone citate: Brusca, Ganci, Giovanni Brusca, Luciano Violante, Salvatore Riina, Sgarbi, Vito Ganci
Luoghi citati: San Giuseppe Jato
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