Scontro tra il Premier e il Polo sui quesiti delle Regioni. Palazzo Chigi precisa: nessuna interferenza di Massimo Giannini

Scontro tra il Premier e il Polo sui quesiti delle Regioni. Palazzo Chigi precisa: nessuna interferenza Scontro tra il Premier e il Polo sui quesiti delle Regioni. Palazzo Chigi precisa: nessuna interferenza «Referendum, che sbaglio» Prodi: rompono, non costruiscono nulla Laggiù nel Nord-Est o quaggiù nel Nord-Ovest, a questo punto, il made in Itaiy, l'imprenditoria diffusa, il lavoro-lavoro-lavoro non è più un fenomeno da baraccone, ne i suoi imprenditori - piccoli, piccolissimi e geniali - degli esseri da guardare come extraterrestri consultando le cifre delle performances aziendali o strabiliando davanti ai dati dell'export. E' ora che tutto questo si traduca in sistema e persino in «politica». Enrico Botto Poala, per esempio, giovane (47 anni) presidente degli industriali di Biella, si definisce egli stesso un «missionario» di una nuova politica industriale che parta «dal basso» e cioè da Biella, Novara, Prato, Belluno, Lecco, Como, Carrara, Carpi e luoghi simili radunabili dentro la categoria di «distretti» per l'omogeneità delle produzioni e il carattere degli imprenditori. Certo continua a fare notizia il l'atto che da queste parti, per esempio, siano riusciti a lavorare la lana e il cachemire in modo tale da rivenderli ai produttori australiani e cinesi (che e un po' come piazzare i gelati tra gli esquimesi); ma davvero il inondi; dei «distretti», adesso vuole di più. E a questo punto del nostro itinerario attraverso il Nord-Ovest ci imbattiamo per la prima volta in una domanda politica, che non ha niente a che vedere con la secessione e nemmeno con le primordiali rivolte anti-fisco. Nasce qui, nel ricco e antico Biellese. la rivoluzione dei distretti che ha per destinatario diretto il professor Romano Prodi, un tempo studioso e teorico degli originali modelli produttivi italiani, ora capo del governo: «Non posso nascondere1 un po' di delusione - dice Enrico Botto - , Capisco che il professor Prodi abbia avuto finora molte altre gatte da pelare, ma a noi non è ancora arrivato un segno». Che vuole questo giovane imprenditore coi baffi, rampollo di una dinastia tessile, uno che è laureato in Economia ma che non esita a raccontare che alla storia della sua educazione imprenditoriale appartiene anche la familiarità con l'«odore di sterco e di urina» che si libera nel lavaggio delle lane? Qui sono fatti così, anche quelli della terza generazione sanno quel che dicono. Li incontri, ti danno la mano e poi ti guardano la giacca e ti mettono in imbarazzo: «Questa stoffa...». Dunque, il presidente Botto, a nome delle piccole Italie che producono ricchezza, a dispetto degli euroburocrati di Bruxelles e i soliti di Roma, chiede un riconoscimento politico dei «sistemi locali», dei distretti che si sono riuniti in un club che vale 60 mila imprese, 600 mila addetti, 120 mila miliardi di fatturato annuo, praticamente un decimo del prodotto nazionale. Modelli da moltiplicare. Ecco il punto, presidente Botto, in sostanza voi dite che l'Italia del lavoro non ha affatto perso i suoi modelli, ma anzi - se possibile l'esplosione del Nord-Est e la riscoperta di un Nord-Ovest altrettanto ricco di ingegno e di lavoro, stanno contrapponendo dei sistemi produttivi veri ai soliti blabla italiani sull'economia e l'occupazione. Dunque, cosa volete? «Noi - ROMA. Romano Prodi non ha dubbi: «I referendum non sono la via giusta per dare più autonomia alle Regioni - dichiara alla tv, riferendosi ai quesiti proposti dalle Regioni -. Sono l'atti per rompere, abolire, mentre qui si tratta di costruire il nuovo». Ma, sulle sue dichiarazioni, e subito bufera, al punto da convincere Palazzo Chigi alla puntualizzazione: «11 Presidente del Consiglio non ha fatto nessuna valutazione sull'ammissibilità costituzionale dei referendum e non ha dunque voluto esercitare pressioni sulla Consulta». LA DIFESA. Con Prodi si schiera Rinnovamento italiano, che - attraverso il portavoce Ernesto Stajano - BIELLA DAL NOSTRO INVIATO °wj. "vistosi dice Botto - siamo convinti che il tessuto industriale italiano sia troppo articolata e variegato per costituire oggetto di interventi di carattere generale». E allora, cosa si dovrebbe fare? «Portare il livello delle decisioni di politica industriale il più vicino possibile ai problemi. Dunque intervenire; per distretti per favorire la riproducibilità degli elementi di successo delle imprese in quelle particolari zone, la creazione e lo sviluppo di nuovi fattori di successi;, valorizzare i punti di forza locali come l'imprenditorialità diffusa e la presenza di capitale umano qualificato». In poche parole si tratta della richiesta di una politica economica non più pensata a Roma, ma progettata e realizzata «in loco». Per non finire nelle secche delle astrattezze, è bene fare una passeggiata lungo via Italia e prendere un aperitivo da Magnino dove può capitare di sentir parlare solo in inglese o di trovarsi spalla a spalla con giovani manager appena rientrati da New York, Tokyo, Honolulu (sissignori, anche là), Hong Kong. Girate il mappamondo e mettete il dito in un posto a caso: difficile che non ci sia stato almeno un biellese a comprare lana già pensando poi di venderci le sue stoffe. Uno appena tornato da Pechino ci racconta che uscito dal- appoggia la posizione del Presidente del Consiglio nel merito («1 referendum hanno la sola capacità di abolire un testo, ma non risolvono i problemi, il Parlamento devo intervenire in ogni caso in seconda battuta») e nel metodo. Anche Rifondazione sta con Prodi, ma - aggiunge Giordano - «nei suoi panni non avrei fatto questa sortita esterna». IL POLO. Di diverso avviso, l'opposizione. «Una palese, plateale e inammissibile ingerenza del governo», taglia corto Rocco Buttiglione, leader del cdu. Più morbido è il ecd Pierferdinando Casini: «Intervento inappropriato - sostiene -. Interferenza istituzionale e politica, spero dovuta ad ima distrazione e non a ym «a. L'EX VICE DI CRAXI ROMA OAI L progetto c'è, la tentazione ss anche, ma per ora lui nega, fortissimamente nega. Claudio Martelli candidato a sindaco di Milano alla guida di un cartello laico-socialista? «Se ci sono voci che mi riguardano, scoraggiatele», diceva ieri sera Claudio Martelli al residence Ripetta, pochi attimi dopo la conclusione del discorso di Felipe Gonzàlez al consiglio nazionale del Si. E poi, in serata, ha voluto rincarare la dose: «Scoraggio i socialisti dall'idea sia perché sto facendo altre cose, sia perché non desidero altri incarichi istituzionali». Claudio Martelli, fresco di- l'albergo ha incontrato per strada un ragazzo cinese con una T-shirt bianca con su scritto; «Fila, viale Battisti, Biella». Gli è sembrato di non essere nemmeno partito. Eppure non molti anni fa sembrava che le campane cominciassero a suonare anche per Biella, la crisi delle filature pareva devastante, la ristrutturazione una strada incerta e obbligata, l'esplosione dei produttori del Terzo Mondo (India, Cina) una concorrenza di prezzi e di sistemi irresistibile. E invece Biella è ancora qua, più bella e più forte di prima. Marisa Lucano, segretaria della Camera del lavoro e per anni sindacalista dei tessili, spiega che; la svalutazione della lira nel '92 ha aiutato, «ma il sistema biellese non si reggeva su quello. Qui c'è la qualità ed è una specializzazione difficile da portare via». Per lei che è arrivata qui a 13 anni, ma è di origine calabrese, non ci sono dubbi: «I biellesi non sono imprenditori improvvisati: hanno la capacità di modificare e di guardare lontano, sono tosti, meno provinciali di quelli del Nord-Est, per niente improvvisati». Sembrerà un luogo comune il richiamo alle origini piemontarde e montanare, ma uno come Luciano Donatelli, amministratore delegato degli accessori e dell'informale della «Ermenegildo Zegna», uno un calcolo politico». Ma, nel merito, Casini riconosce che «a colpi di referendim è difficile fare riforme equilibrate. Oggi, la rivoluzione vera va fatta all'interno deUe istituzioni, se ne siamo capaci». Senza appello, invece, le reazioni di An e di altri esponenti del Polo: «Inaudito», punta il dito Ignazio La Russa, per il partito di Fini. «Dichiarazioni scorrette», incalzano altri deputati di An. «Ha perso una ennesima, buona occasione per tacere», aggiimge l'Azzurro Ernesto Caccavale. E Marco Taradash (Forza Italia) grida all'«abuso di potere»: «Como i peggiori capi del governo democristiani, Prodi non riesce a sottrarsi all'abuso di potere partitocratico per spegnere sul na¬ scere l'incendio referendario». UE REGIONI. «Ma il governo non aveva assunto l'impegno di mantenere una posizione di neutralità di fronte ai referendum? - si chiede Roberto Formigoni, presidente della giunta regionale lombarda -. Non posso non notare che l'intervento si configura come una pressione del tutto indebita sulla Corte Costituzionale, un tentativo di influenzarla». «Dichiaraziom inopportune, ragionamenti contraddittori, affermazioni sorprendenti», aggiunge il collega veneto Giancarlo Galan. Improntata al dialogo, invece, la posizione del piemontese Enzo Ghigo: «I dodici quesiti referendari, proposti dalle Regioni non sono Il presidente degli industriali «La politica economica non deve essere pensata a Roma ma progettata qui dove si conoscono i veri problemi» Industria tessile del Biellese fatti per disgregare o per rompere come sostiene il presidente Prodi. Ritengo, anzi, che essi rappresentino uno straordinario strumento di aggregazione popolare, senza contrapposizioni tra Nord e Sud, tra ) '1 UNA CITTA''IN Nel Biellese vi sono 1800 aziende lessili con 28 mila addetti; nel '94 il fatturato è stalo di 6500 miliardi di cui un terzo di export. L'industria meccar.otessile (che produce macchine per la produzione tessile) ha 2500 addetti. Popolazione attiva BIELLA 45,3% ITALIA 42,3% Classifica città italiane secondo il reddito TRIESTE 42,70 BOLOGNA 41,13 Nord-Est e Nord-Ovest». LA TOSCANA DELL'ULIVO. Interlocutoria, ma ferma, è infine la replica di Vannino Cinti, presidente della Regione Toscana, l'unica governata N CIFRE Disoccupati BIELLA PIEMONTE ITALIA prò capite (in milioni di lire) MILANO 40,29 BIELLA 30,25 la «resa» finale - necessaria e priva di alternative, se non quella della chiusura della società - di una battaglia già persa da anni, sotto i colpi della globalizzazione. Per reggere la violenta competizione indotta dalle ristrutturazioni informatiche americane, la devastante forza d'urto dei mercati emergenti del Sud-Est, il ruggito delle Tigri asiatiche di cui oggi avvertiamo un'eco negli scontri sociali in Sud Corea, non ci sarebbero voluti i molti errori manageriali, l'assoluta carenza di una politica industriale e di un progetto-Paese, il provincialismo politico delle classi dirigenti. E invece questo per l'Italia è stato pane quotidiano, in questi anni di carestia per l'informatica mondiale, che hanno visto crollare ovunque prezzi e margini. In questi anni che hanno visto l'«M24 New», proprio l'erede di oggi di quel pionieristico «M20», deprezzarsi di quasi otto volte rispetto al valore dell'84 del suo «antesignano». Non poteva farcela, il gruppo di Ivrea. L'errore dell'Ingegnere è stato quello di non dirlo per tempo. Di non riconoscere subito che per un gruppo ormai lanciato nelle telecomunicazioni e senza la «massa critica» necessaria, l'informatica era ormai una commodity troppo costosa. Di rinviare di 4 o 5 anni (da quando cioè il settore «Pc» ha iniziato a generare perdite crescenti) il momento della «resa». L'errore delle classi dirigenti è stato quello di non comprendere qui come nell'alimentare, il ferroviario, l'aeronautico, la chimica - l'importanza di un forte presidio tecnologico dell'Italia nell'informatica: forse una fusione tra la pubblica Finsiel e la privata Olivetti avrebbe rappresentato una solida base, almeno nei primi Anni 90. Ma oggi è inutile recriminare. Più utile è invece guardare al futuro, purtroppo ancora incerto. Non tanto per il gruppo Olivetti, che dalla cessione dei «Pc» ottiene grandi vantaggi: va incontro alla Borsa, chiude definitivamente un rubinetto di perdita industriale, e incassa qualche centinaio di miliardi. L'incertezza resta per gli addetti dei «Pc», che passeranno nelle mani di soci stranieri di cui, al momento, si sa ancora assai poco. Non c'è da dubitare sulla serietà delle intenzioni di Gianmario Rossignolo, né delle indubbie e taumaturgiche doti di Gottesman. Ma con tutto il rispetto, il mercato dei computer è una cosa, quello delle brocche di porcellana e delle mountain-bike un'altra. E' probabile che - per effetto della globalizzazione forsennata o di una nuova alleanza internazionale - tra Scampagno e Ivrea saranno necessari altri sacrifici occupazionali. L'importante è che dopo tante promesse mancate ai lavoratori, colletti bianchi e blu, si dica tutta la verità. Se lo meritano, visto che nonostante tutto la vecchia Olivetti, con circa 200 mila «pezzi» venduti nel '96, resta leader sui «Pc» in Italia. Non ci sarà più l'Ingegnere, non ci sarà più il leggendario «M20»; ma quest'azienda può avere ancora un domani. Il presidente del Consiglio Romano Prodi dal centro-sinistra che ha aggiunto la sua firma alla richiesta referendaria promossa dalle altre sei Regioni: «I referendum sono uno strumento democratico di spinta e sollecitazione dal basso, uno strumento istituzionale legittimo per offrire un riferimento allo scontento dei cittadini. L'esperienza dimostra che i governi, da soli, non riescono a vincere le resistenze centralistiche e burocratiche al cambiamento dello Stato. Mi ara sembrato di capire che questa fosse anche la preoccupazione del governo. In ogni caso, Prodi ha la possibilità di risolvere positivamente i problemi posti dai referendum: può evitare il loro svolgimento, aprendo un confronto serio con le Regioni», [m. tor.] FINE DI UN SOGNO Massimo Giannini