«Con Bertinotti, patto di 6 mesi» di Alberto Rapisarda
«Con Bertinotti, patto di 6 mesi» «Con Bertinotti, patto di 6 mesi» Veltroni ha fiducia: all'orizzonte non si addensano nubi grigie ROMA. E' stata come una febbre violenta, ma breve, l'infezione da virus di «maggioranza variabile». Dopo aver contagiato anche il presidente del Consiglio, sabato scorso, ora è in via di remissione quasi per tutti. Rimangono infettati, per così dire, quelli del ecd, ma con il disagio di chi si sente un malato isolato in mezzo a tanti risanati. te socialista dell'Antimafia Ottaviano Del Turco - al pds restano vecchi vizi: la conferenza stampa di presentazione ufficiale se la sono fatta da soli e si sono "dimenticati" i socialisti. Come faceva Craxi con il psdi...». Fabio Martini fare le scarpe ai rispettivi leader. Con il che, nel 1992, Craxi e Occhetto, a Berlino, si misero finalmente d'accordo e il pds entrò nell'agognata Intemazionale. Un anno, e Occhetto pose la questione se Craxi, inquisito, potesse restare vicepresidente. Facile profeta, a quel punto, seduto mestamente al bar dell'hotel Scandinavian di Copenaghen, il povero Intini: «Abbiamo invitato un ospite che è diventato il padrone di casa». Il problema è che nel frattempo la casa in questione era divenuta abbandonata e anche un po' diroccata nella sua pratica inutilità, seppur sempre accogliente soprattutto con chi stava al governo. Dei socialdemocratici, oggi, non c'è quasi più traccia. Mesi fa, un impietoso dispaccio tramandava che il psdi era addirittura moroso con le quote. Pagano regolari, invece, i socialisti di Boselli e Del Turco. Quest'ultimo assai felice, ai tempi della segreteria, di aver ricevuto le congratulazioni del collega turco. In compenso oggi furoreggia D'Alema, promosso vicepresidente a New York e subito piuttosto deciso: «Delle nostre cose ai membri dell'Intemazionale non gliene potrebbe fregare di meno». Ma come in una replica della replica (della replica) già si parla di una possibile adesione di Rifondazione. Filippo Ceccarelli Tacciono ora il segretario del ppi, Marini, e Lamberto Dini, sospettati di essere i veri padri delle «maggioranze variabili». E tace Romano Prodi, che deve sentirsi alquanto solo. Perché dopo la sua improvvisa apertura ai voti del Polo per fare approvare i provvedimenti sgraditi a Rifondazione comunista, deve ora fare i conti con le reazioni di rigetto della sua maggioranza. Parla al posto suo, il vicepresidente del Consiglio Walter Veltroni, che tira le somme della discussione in corso nell'alleanza di governo e propone «im patto per i prossimi sei mesi» con Rifondazione comunista. «Se all'interno di questo patto dovessero rimanere dei punti di divergenza, verificheremo insieme le strade da percorrere. Ma non mi pare che si addensino nubi particolarmente grigie sul nostro orizzonte». Sulle privatizzazioni, «ci sono dei punti sui quali bisogna discutere con Rifondazione. Ma se non riusciremo a trovare l'accordo, abbiamo il dovere politico, direi addirittura morale, di andare avanti nell'interesse del Paese». Nella maggioranza di centro-sinistra, superata l'iniziale sorpresa per il blitz dei «centristi» dell'Ulivo favorevoli al raccordo col Polo, è scattata la controffensiva dell'ala di sinistra. Perché questa storia delle «maggioranze variabili» il pds non la digerisce affatto. Non piace per niente all'ala sinistra dei popolari e, ovviamente, viene vista come il diavolo da Fausto Bertinotti. Tutti convinti che il giochino delle maggioranze «a fisarmonica», che cambiano a seconda delle leggi in votazione, avrebbe come risultato sicuro quello di far saltare alla lunga l'attuale maggioranza di centro-sinistra. «Troppa grazia...», si son detti i dirigenti del pds, dopo aver visto con che sprint il neosegretario dei popolari, Franco Marini, ha cominciato a correre per incontrare gli ex de del Polo. E pensare che si vociferava che il pds era favorevole all'elezione di Marini, perché avrebbe avuto il polso sufficiente per contenere le pretese di Bertinotti. Ma con l'infatuazione per le «maggioranze variabili» si stava andando ben oltre. Così gli uomini di D'Alema ieri hanno cominciato a distribuire aspirine. «Il nostro assillo è far funzionare questa maggioranza. Credo che le maggioranze variabili non siano possibili. C'è una maggioranza che ha votato questo governo e noi dobbiamo lavorare con essa», diceva ieri il coordinatore dell'esecutivo del pds, Marco Minniti, implicitamente rivolto a Prodi. Ora, dietro le frasi ad effetto, Bertinotti fa trasparire la disponibilità a discutere. Per esempio, non dice «no» al decreto che dà incentivi per far vendere le auto, ma chiede a Prodi che i fondi vengano prelevati da quelli a disposizione della presidenza del Consiglio. Per Prodi il segretario di Rifondazione comunista ha riservato una predica ammonitrice: «Le "maggioranze variabili" sarebbero un abbraccio mortale per il centro-sinistra e per il governo». Anche nel partito di Marini si odono voci autorevoli che gli danno un chiaro altolà. Avvisa il presidente del ppi Giovanni Bianchi: «Se qualcuno coltivasse l'idea delle "maggioranze variabili" per aprire ai cosiddetti centristi del Polo in vista di nuove ipotesi di governo e della ricostruzione di un "grande centro", non potrebbe dire di farlo a nome del ppi». Di là, nel Polo, sono rimasti esposti in prima linea i ecd di Casini. Che non recedono, anche se cercano di non mostrarsi troppo entusiasti per le «maggioranze variabili». «Il continuo scollamento tra i quattro partiti del Polo ha superato il livello di guardia» denuncia Taradash, di Forza Italia. Alberto Rapisarda
Luoghi citati: Berlino, Copenaghen, New York, Roma
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