Un Reagan che cita Joan Baez

Un Reagan che cita Joan Baez Un Reagan che cita Joan Baez Bill, giornata da Grande Comunicatore lo di battaglia di Joan Baez. E sotto questo profilo il Presidente giovane incarna il vero comune sentire del suo popolo che chiede una America giusta e materna, cavalleresca ma non spericolata, protesa verso l'eguaglianza interna e apertissima verso i mercati esterni, armata fino ai denti ma non minacciosa. La forza è sempre evocata con calma: in questo Clinton ricorda Reagan che ripeteva il vecchio detto della frontiera: voce bassa e mano sulla pistola. Ma la parte più palpitante del suo discorso riguarda la politica interna dell'eguaglianza, il costo dell'eguaglianza, il futuro del nuovo modo di governare nell'eguaglianza della grande società americana. Nuovo perché tutta l'impostazione ideale di quest'uomo consiste e insiste nel rinnovamento radicale. Prima di tutto del «government», che non è il governo ma la macchina statale e amministrativa, l'oggetto del contendere con i repubblicani i quali vorrebbero farla fuori e restituire al mitico cittadino solitario e forte la sua responsabilità. Ma ha vinto l'America che vuole il «government» e Clinton ha così risolto il problema: quel macchinario burocratico non è il problema e non è neppure la soluzione. La soluzione dice con enfasi che chiama l'applauso - siamo noi, ognuno di noi: è WWASHINGTON ILLIAM Jefferson Clinton, l'uomo del Sud povero e provinciale, invulnerabile agli scandali, ce l'ha fatta: si è presentato ieri come colui che possiede le chiavi per chiudere il ventesimo secolo e aprire la porta del nuovo millennio, così come si può dichiarare aperta un'Olimpiade. Era raggiante, calmo, allegro e rassicurante. Così come piace alla sua gente. Ieri (giornata freddina ma non polare come si temeva), il Presidente degli Stati Uniti d'America ha ricevuto infatti una gratificazione persino maggiore della cerimonia di insediamento: i sondaggi hanno ieri certificato che due americani su tre hanno fiducia in lui e nel suo governo. Non era mai accaduto. Ha battuto lo stesso Ronald Reagan, che arrivò nello stesso giorno della seconda incoronazione al 62%. Lui ha raggiunto il 66. E lo ha fatto, come Reagan, sposando in parte l'identità e la politica degli avversari: se «il grande comunicatore» repubblicano potè stravincere grazie ai voti dei «Reagan Democrats», oggi Clinton vince anche grazie ai «Clinton Republicans». Del resto, quanto a capacità di comunicare, giù il cappello: questo ex contestatore dell'Arkansas ormai sembra un attore consumato e un improvvisatore perfetto. Ma ieri non improvvisava: il discorso dell'insediamento è costato due settimane di fatica a un team di scrittori che hanno lavorato con il Presidente e ne è uscito un testo solido, semplice, comprensibile, alla portata di ogni cittadino, pronunciato con forza, emozione, convinzione. I contenuti sono chiari e semplici, ma non banali perché coinvolgono e sfidano l'intero pianeta: l'America constata di aver vinto le sfide del XX secolo, di aver abbattuto o contribuito ad abbattere tutte le dittature, in particolare quelle spurgate dalle sanguinarie follie europee vincendo due guerre mondiali e una guerra fredda: «E il risultato è questo: mai prima d'ora il numero degli esseri umani che vivono in democrazia supera quello di coloro che vivono sotto una dittatura». Né Clinton ha provato complessi o imbarazzi sostenendo che gli Stati Uniti hanno prodotto durante questo secolo tutte le invenzioni che hanno cambiato in meglio il corso del genere umano producendo salute, libertà, ricchezza e permettendo di progettare (e ritiene che sia il suo compito) una nuova era pacifica e globale dominata dall'informazione figlia dei computer, a loro volta inventati dagli americani. L'America, ha detto, non rinuncerà alla sua forza militare, non diminuirà la sua potenza e seguiterà a combattere i fanatismi ideologici, etnici e religiosi: «We shall overcome them, and we shall replace them», ha detto richiamando alla memoria la canzone che fu il caval¬ ABOCA COLTIVA ERB NATURA MIX Energia naturale al 100% per la tua giornata A sinistra l'attrice nera Whoopi Goldberg e Kevin Costner fra le grandi attrazioni della festa per Clinton Qui sopra il giuramento di Al Gore LA QUALITÀ' IN ERBORISTER a tutti questi party, fosse pure per una mezz'oretta, perché era l'unico modo di incoraggiare i partecipanti a pagare i salati biglietti. Bisognava recuperare i circa 30 milioni di dollari che è costato il desiderio di Clinton di battere Ronald Reagan, che di feste ne organizzò soltanto 10. Ma non c'erano solo quelle a sottolineare «l'ultima inaugurazione del secolo». In tutta la città le feste non ufficiab ma che in qualche modo hanno avuto la «benedizione» della Casa Bianca sono state decine. La più affollata era sicuramente la «Under 21 », vale a dire quella dei ragazzi, dove si beveva solo Coca-Cola, si pagava poco e si poteva sperare nell'arrivo di Chelsea Clinton. La più clandestina quella dei gay, che comunque era in grado di esibire un «messaggio di ringraziamento» di Clinton. C'erano anche gli anti-abortisti, ma loro non festeggiavano. Si sono piazzati sotto il Washington Monument a distribuire volantini ai turisti. un appello all'individualismo e alla responsabilità, che piace a tutti perché mette insieme responsabilità individuale e il welfare, come dire destra e sinistra. E' stato cauto sulla spesa pubblica: la sua amministrazione stara attenta al budget, ma dando sempre la precedenza ai bisogni delle persone e in particolare puntando sulla scuola per tutti e la difesa strenua delle pari opportunità: opportunità senza garanzie, perché questo è il sogno americano, che ognuno possa fare quel che sa fare, senza privilegi e senza svantaggi di partenza. E quanto all'American Dream, Clinton ha radicato tutto il suo impianto della difesa e sviluppo < dei diritti civili sulla figura di Martin Luther King. Luther King è diventato ufficialmente il simbolo dell'America del XX secolo, protesa verso il XXI. E scegliere King significa non soltanto sceglierò il campo dei diritti civili per i neri, ma per tutte le minoranze. Oltre Luther King, ha citato anche il cardinale cattolico di Chicago Bernardin, scomparso da pochi mesi, il quale disse: «Non è sensato sprecare tempo per distruggere, quando c'è tanto da costruire». E Clinton e costruttivista II suo «ponte verso il XXI secolo» è una costruzione. L'idea del muro dei desideri e delle volontà è una costruzione. Anche il suo American Dream è una costruzione: passa attraverso traguardi concreti fra i quali cita quartieri sicuri, niente più droghe ai nostri ragazzi, niente più paura nelle strade. E' ciò che sta accadendo a New York, dove Clinton ha stabilito una «alliance sacrée» con il conservatore Rudolph Giuliani. L'America dunque, dice Clinton, è più che mai la terra promessa, ma anche la terra di nuove promesse. Cosa che il Presidente j ha spiegato meglio più tardi, al bau- I chetto ufficiale, parlando a braccio j da un podio tappezzato di fiori ! sgargianti: «Il fatto è che io credo veramente. Non lo dico per dire. Io credo nella possibilità di immaginare il futuro. Questo non era accaduto mai prima, nell'intera storia del mondo. Noi possiamo determinare il futuro. Nessuno ha avuto questa opportunità. Noi l'abbiamo. Io ce l'ho. E l'America e la terra più buena, più grande, più sana, più ricca di ideali, valori, risorse intellettuali e morali che abbia il mondo». E quindi, nessuna meraviglia se la visione del mondo che consegue da questa fiducia, e definita così: «La più grande democrazia del mondo, guiderà l'intero mondo della democrazia». Discorso planetario, senza fare nomi di nazioni. Forse Clinton li avrebbe anche fatti, se uno dei suoi più delicati progetti non fosse quello di aprire sempre più alla Cina abbassando il tono della protesta per i diritti civili e per piazza Tienanmen. RBE E SALUTE RIA E IN FARMACIA w AMICI E La Albright Hillary Clinton. Ferita nel suo amor proprio durante lì primo mandato del marito, inseguita dal caso Whitewater che potrebbe condurla in tribunale, la first-lady non ha l'intenzione di fare tappezzeria fino al 2000. A 49 anni, i suoi progetti restano un mistero. Lei dice: «Ho l'intenzione di esprimermi». Al Gore. Da quello che chiamano con ironia lo «studio quadrato», il luogotenente di Bill Clinton, incaricato di dossier caldi, interlocutore privilegiato del Cremlino, non è l'ultima ruota del carro della politica americana. Figlio di un senatore, eletto in Tennessee a 36 anni, Al Gore conosce a fondo Washington. In poie position per la successione nel 2001. Unico neo: gli si rimprovera di aver corteggiato una setta buddista per alimentare le casse del partito democratico. E quattro anni sono tanti. Madeleine Albright. L'arrivo di una donna alla guida del Dipartimento di Stato ò il frutto dei voti delle americane, che hanno sostenuto in massa Bill Clinton. Ma, come sa bene Boutros Ghali, non c'è da attendersi molta dolcezza da questa signora, che Saddam Hussein chiama «il serpente». Newt Gingrich. Saint-Just della rivoluzione conservatrice, il rieletto speaker della Camera è capace di scendere agli inferi con la stessa velocita con cui è salito all'empireo. E' accusato di aver frodato il fisco e di aver mentito ai suoi colleghi deputati. Anche tra le file repubblicane non è molto amato. Potrebbe essere il primo speaker a essere condannato a un'ammenda da un voto della Camera. Kenneth Starr. Il «piccolo giudice» venuto dal Texas è l'uomo più pericoloso per la Casa Bianca. Partita dallo scandalo immobiliare Whitewater, la sua inchiesta è approdata al misterioso suicidio di un amico dei Clinton e ai dossier Fbi, e pende come una spada di Damocle sul secondo mandato del Presidente. Newt Gingrich