Una voce dall'Arkansas di Luigi Grassia
Una voce dall'Arkansas Una voce dall'Arkansas WASHINGTON. E' stato Miller Williams, un poeta «regionale» dell'Arkansas (la definizione è del New York Times), a comporre e declamare la poesia in onore di Clinton alla cerimonia dell'inaugurazione. 66 anni, maniere amabili da gentiluomo del Sud di cui ostenta anche i vizi («quando mi manca l'ispirazione artistica, cerco la mia musa in un bicchiere di whisky», dice compiaciuto), ha redatto un breve testo di una quarantina di linee appena, inteso a mettere in versi l'«idea americana». Ha conosciuto Bill e Hillary Clinton vent'anni fa quando entrambi i coniugi erano insegnanti di legge presso l'università dell'Arkansas, mentre lui dirigeva la casa editrice dell'ateneo. [e. st.] «No. Il filtro dei Grandi Elettori è stato concepito per il caso che il suffragio popolare esprima un vincitore estremista, un Adolf Hitler, o meglio, visto che parliamo di cose decise nel Settecento, di un aspirante re. Comunque un pericolo per le istituzioni democratiche. Allora i Grandi Elettori avrebbero un'estrema opportunità di sbarrargli il passo». Com'è successo che in certi casi chi ha preso più voti popolali non sia diventato Presidente pur non essendo un Adolf Hitler o un aspirante re? «Il fatto è che dentro ai confini di ogni Stato i voti elettorali vengono assegnati non su base proporzionale, ma con la regola "chi arriva primo vince tutto" (fanno eccezione solo il Maine e il Nebraska). Una sfortunata distribuzione dei suffragi popolari fra gli Stati può dunque dare al provvisorio vincitore meno voti elettorali (gli unici che contino veramente) di quelli che vanno al suo avversario». Quando questo è capitato, non si è poi sentita la necessità di cambiare procedura? «No. Quei due o tre episodi sono stati meccanismo elettorale che è stato studiato proprio per mettere un filtro alla volontà popolare». E perché la volontà popolare dovrebbe essere filtrata? «I nostri Padri Fondatori decisero che l'elezione diretta del Presidente non era desiderabile perché pur essendo dei democratici, credevano anche nell'indispensabile influenza positiva e moderatrice delle élite illuminate. Così crearono un corpo scelto col potere di dire l'ultima parola dopo che il popolo s'è espresso». Ma i Grandi Elettori non hanno un mandato imperativo? «Si suppone di sì. Ma in realtà la Costituzione tace su questo punto. E il mandato e stato violato, a volte. Non spesso. Ma è capitato». Anche di recente? «Si. Nel 1988 una Grande Elettrice democratica del West Virginia, non volendo votare (come avrebbe dovuto) per Dukakis presidente e Bentsen vice, violò il mandato e votò per Bentsen presidente e Dukakis vice». E sarebbe questa l'espressione della superiore saggezza delle élite? vissuti come incidenti di percorso, e comunque tutto era avvenuto secondo le regole. Ben altre distorsioni si sono viste nelle elezioni presidenziali. Per esempio nel 1960 Kennedy vinse di strettissima misura su Nixon con l'apporto decisivo di decine di migliaia di morti di Chicago. Il sindaco Daley iscrisse in massa i defunti nelle liste elettorali, e costoro votarono tutti democratico». Sarebbe possibile a un terzo incomodo alla Ross Perot diventare ago della bilancia nella gara presidenziale vendendo i «suoi» Grandi Elettori all'uno o all'altro candidato? «Sì, il caso si è già verificato, l'ultima volta nel 1824. Ma non è facile per una terza forza conquistare dei Grandi Elettori - e infatti Perot non ne ha avuto nessuno -: per cui un altro effetto di questo sistema elettorale è di consolidare il bipartitismo». Come giudica la vittoria di Clinton? «E' chiaramente il migliore: s'è laureato qui da noi alla Georgetown!». Luigi Grassia
Luoghi citati: Arkansas, Chicago, Maine, Nebraska, Washington, West Virginia
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