Il ppi mette in guardia il premier: le avances del centrodestra sono polpette avvelenate di Filippo Ceccarelli

Il ppi mette in guardia il premier: le avances del centrodestra sono polpette avvelenate Il ppi mette in guardia il premier: le avances del centrodestra sono polpette avvelenate «Le sirene del Polo tentano Prodi » / Verdi: meglio un patto serio con Rifondazione F Quando il coraggio diventa retorica ga al presidente del Consiglio il coordinatore dei Verdi, Luigi Manconi. «Proponga a Rifondazione comunista una intesa seria, un patto di "mezza legislatura", sulle questioni programmatiche più importanti. Se l'Ulivo si divide sull'apertura a Mastella e a Buttiglione, è la fine dell'Ulivo. Chi parla di "maggioranze variabili" vuole la fine del governo Prodi. Persino se a parlarne è lo stesso Prodi». E dietro l'apparente paradosso denunciato, traspare il sospetto dei Verdi (e anche di Bertinotti) che Prodi si stia preparando un avvenire diverso con una maggioranza diversa. Voci preoccupate, con avvertimenti per Prodi, vengono anche da settori del partito popolare. «Nessuno, nell'Ulivo, è autorizzato a svendere la cambiale AGGIORANZE variabilli, Bicamerale, rapporti interni al centro destra. Parla di questo ed altro, Gianfranco Fini. Per dire «sì» alle privatizzazioni e «no» alla politica dei due forni. Per sottolineare l'opportunità che la presidenza della commissione parlamentare per le riforme venga affidata ad un esponente dell'opposizione. E per proporre il progetto del «partitoPolo»: un modo per vincolare le forze politiche della sua coalizione ad un'unica linea politica. Onorevole Fini, come commenta l'apertura di Prodi nei vostri confronti? «Io ho l'impressione che il presidente del Consiglio abbia deciso di non sottostare più a tutti i ricatti di Bertinotti, anche perché l'elezione di Marini e il conseguente rafforzamento del centro dell'Ulivo lo portano ad avere le spalle più coperte». E così il Polo, dopo l'Aventino, adesso decide addirittura di appoggiare dei provvedimenti del governo. «Non è un mistero che il Polo ritiene di poter esercitare un ruolo sul tema delle privatizzazioni. E' un tema presente nel nostro pragramma e i nostri elettori non ci avrebbero capito se avessimo detto a Prodi: 'No, non se ne parla'. Tutto sta a vedere come poi effettivamente il governo intende procedere, perché se ricalca la strategia che c'era nel decreto bocciato, il Polo continuerà a votare contro: quelle più che privatizzazioni sono dismissioni». Insomma, inizia l'era delle maggioranze variabili. «Io non parlerei di maggioranze variabili. Se Prodi ad un certo momento decide di presentare una proposta che in qualche modo richiama la filosofia della legge Tremonti come fa il Polo a dire "non ci piace"? Noi abbiamo il dovere di votare quei provvedimenti che sono in sintonia con i nostri programmi. Per maggioranze variabili invece si intende che il governo possa andare avanti appoggiandosi ora all'uno ora all'altro. Quindi non c'è il rischio di una riedizione della politica andreottiana dei due forni». E potreste votare anche la manovra di primavera? «Non credo proprio che possano varare ima manovra che non ricalchi la filosofia della finanziaria». ROMA. «Puntiamo al premierato flessibile, non rigido nel senso che il primo ministro viene eletto e può in ogni momento, sotto la sua responsabilità, sciogliere il Parlamento», dice Antonio Soda, deputato pidiessino e gran tessitore della Bicamerale, in una lunga intervista sull'Urntò di ieri. «Le numerose esternazioni dell'on. Soda - ribatte l'ufficio stampa pds riflettono ipotesi e idee su cui si sta lavorando ma che tuttavia sono assai lontane dalle proposte definitive che spetterà ai gruppi parlamentari della Quercia presentare». In concreto, la «bozza Soda» prevede che sia designato premier «il candidato che ha ottenuto più consensi. Se però il rapporto fiduciario con le Camere vien meno, il premier può esser sostituito con una sfiducia costruttiva che provenga dalla sua maggioranza, una sola volta nella legislatura». [r. i.] ente anza nale nco Fini Il presidente di Alleanza nazionale Gianfranco Fini PREMIER FLESSIBILE di animo «moderato», pare dire la Bindi, ormai non li ferma nessuno. Pierferdinando Casini, segretario del ccd, ogni giorno fa un altro passo avanti per prendere le distanze dalla disciplina del Polo. «I parlamentari del ccd (e mi auguro del Polo) voteranno quei provvedimenti governativi ritenuti coerenti col programma politico da noi presentato», annuncia a Berlusconi e Fini. E poiché ha già annunciato voto a favore per parità scolastiche e privatizzazioni, Casini chiarisce che quelli sono solo esempi. Seguiranno altre disponibilità: «Ogniqualvolta riterremo opportuno farlo, lo faremo». Forza Italia trova difficile parlar di «maggioranze variabili» dopo che Berlusconi è stato il paladino delle maggioranze alternative. Così Pisanu promette appoggio «in casi di eccezionale gravità» ma nega che si possa parlare di nuove maggioranze. Intanto, fuori da queste discussioni, Umberto Bossi marcia verso la «secessione» e paragona la sua tattica ad un «missile a tre stadi». Dopo la marcia sul Po, ci saranno i referendum di aprile sulla «autoderminazione della Padania» e poi la costituzione del «governo provvisorio della Padania». Ir. r.J IL PALAZZO ROMA A h A che sono riusciti a farla, questa benedetta Bicamerale, forse varrà anche la pena di spendere due parolette su quel «coraggio» che così assiduamente, così variamente e così spudoratamente ne ha accompagnato la gestazione, e la laboriosa messa in opera. Perché a momenti è davvero sembrata una fiera del coraggio, la vita pubblica, e tanto i diversi leader hanno insistito da restare impressi nella memoria nell'atto di lodarsi, imbrodarsi, attaccarsi o rimproverarsi l'un l'altro sempre per via di questo invocatissimo coraggio, di cui peraltro pochi si erano finora accorti. Difficile dire chi abbia cominciato, e quando. E' probabile che la prova generale dell'ardimentosa rappresentazione si sia tenuta nei pressi del tentativo Maccanico. Fatto sta che un paio di settimane orsono, per smuovere il Polo sulle riforme, D'Alema ha decretato che Fini non aveva coraggio. «D'Alema gli ha però subito risposto il Foglio - predica per gli altri quel coraggio che non ha o non si vuole dare». Che rischi lui, piuttosto. Controreplica dalemiana: «Chi rischia di più è il sottoscritto». Quanto al resto, chi l'accusa pensa al «coraggio di essere fessi e irresponsabili». E già bastava, in fondo, questo scambio a confermare l'astrattezza totale e l'assoluta relatività dell'idea di coraggio, tanto più se misurata su temi non esattamente eroici come la Bicamerale o la tenuta della maggioranza. Ma ancora doveva intervenire Cossiga, a cui non è parso vero di poter attribuire «la tracotanza e le velleità» del centrodestra giustappunto alla sua mancanza di coraggio. Che Berlusconi, tuttavia, non solo negava alla radice, ma addirittura ribaltava, concedendosi un pubblico riconoscimento, non privo di qualche risentimento. «Me lo dovrebbero dire gli altri, ma non lo fanno - proclamava quindi il Cavaliere all'ultima riunione del gruppo parlamentare -. E allora me lo dico da solo: io sono stato coraggioso e coerente». p pme stato Papa Giovanni Paolo il conversione, ha aggiunto il Pontefice, tracciando però un bilancio orientato all'ottimismo: «Oggi le relazioni fra i cristiani sono di fatto più fraterne. Si constata una migliore reciproca conoscenza, un più attento rispetto ed anche una collaborazione crescente orientata a rinsaldare l'intesa nella fraternità. Permangono tuttavia - ha concluso - differenze dottrinali e pratiche che impediscono la piena comunione», augurandosi che il grande giubileo del Duemila trovi le Chiese cristiane ancora più vicine l'una all'altra. Marco Tosatti Nella sua straordinaria chiarificazione, questa specie di fai-da-te dell'audacia riassume una tendenza che sarebbe troppo facile liquidare sotto la voce «il coraggio dell'inciucio». Anche al di là della Bicamerale, in effetti, e a cominciare da Prodi che mesi fa democristianamente ricordava ad Agnelli come il coraggio «si misura con il tempo», fin troppo abbondano i richiami alla virtù delle virtù. Quella che di solito si riconosce solo ai grandi scomparsi: De Gasperi, Togliatti, Nenni. 0 che nelle parole dei democristiani di una volta addirittura sfumava nell'indistinto paradossale, essendo il coraggio, secondo una definizione di Fanfani, «il più raffinato esercizio di prudenza e di forza». E invece il guaio è che proprio l'intrepida ridondanza di oggi finisce per illuminare la debolezza della politica. Di qui la sensazione di incongruo, di fasullo, di spropositato, di ridicolo, anche, che ispira l'auto-certificazione di tanti improbabili capitani coraggiosi. E il sospetto è che tale scherzetto capita quando, pure in tempi che vorrebbero la vita pubblica dominata dalle più sofisticate strategie emotive e comunicative, si esagera con la vecchia retorica per i gonzi; quando l'artificio cambia traiettoria e si fa boomerang; quando la manipolazione e l'effettaccio si rivelano per quello che sono, finalmente. E dietro a tanti incompresi Giuli Cesari e Alessandri Magni, dietro a tutto quel coraggio super reclamizzato in confezione usa-e-getta, si arriva a scorgere l'ombra di una furba insicurezza. Filippo Ceccarelli 100 anni dalla nascita

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