«Medici, dite tutto ai pazienti»

L'obbligo vale soprattutto per le operazioni complesse, dove i rischi sono più numerosi L'obbligo vale soprattutto per le operazioni complesse, dove i rischi sono più numerosi «Medici, dite tutto ai pazienti» La Cassazione: è un dovere professionale ROMA. Finiti i tempi in cui il medico, con una bonaria pacca sulla spalla del paziente, liquidava le sue timide domande con la frase di rito: «Stia tranquillo, andrà tutto bene». Non deve accadere più che qualcuno sappia di dover subire un intervento chirurgico, ma non sia adeguatamente informato sui rischi ai quali va incontro. Lo ha messo per scritto la Cassazione. Una donna, che aveva subito gravi menomazioni in seguito a un'anestesia, in primo e in secondo grado non si è vista riconoscere le proprie ragioni e alla Suprema Corte ha spiegato che, sebbene nel suo caso fosse necessaria l'anestesia, non si poteva dire altrettanto del metodo scelto dai medici: oltre all'epidurale, che le fu praticata, l'anestesista avrebbe potuto infatti scegliere altre due strade. Ma a lei questo non era stato detto. I giudizi della Corte di Cassazione pretendono ora dai medici un'informazione a tutto tondo. «E' noto - si legge nella sentenza - che interventi particolarmente complessi, specie nel lavoro in équipe, ormai normale negli interventi chirurgici, presentino, nelle varie fasi, rischi specifici e distinti. Allorché tali fasi assumano una propria autonomia gestionale e diano luogo, esse stesse, a scelte operative diversificate, ognuna delle quali presenti rischi diversi, l'obbligo di informazione si estende anche alle singole fasi ed ai rispettivi rischi». «Sono perfettamente d'accordo, anche se bisogna fare alcune osservazioni», dice il cardiochirurgo Michele Di Summa. Nei casi di interventi programmati, è bene che i pazienti sappiano con assoluta chiarezza a che cosa vanno incontro, anche se si tratta di situazioni gravi. «E' ovvio - continua il chirurgo - che, durante l'operazione, possono intervenire emergenze che il medico ge¬ che non vogliono assolutamente sapere nulla e che investono il chirurgo di onnipotenza, affidandosi ciecamente a lui». Ma è giusto o non è giusto dire tutto? «In linea di massima è giusto - risponde Morelli -. Il chirurgo dovrà però fare attenzione a distinguere tra le ossessive domande sul proprio corpo di pazienti ipocondriaci, il disagio dei quali si trova, invece, nella psiche. Dovrà, comunque, mantenersi aperto alle domande di chi vuol sapere che cosa accadrà in sala operatoria». Ma il discorso abbraccia un stirà secondo la propria coscienza, magari cambiando il programma fatto in precedenza». Quali vantaggi offre parlare a chi deve affrontare la sala operatoria? «Intanto, il vantaggio dell'onestà. Inoltre, spesso il paziente dopo si sente più tranquillo e, a dir la verità, si sente più tranquillo anche il chirurgo». Già, ma non tutti i chirurghi sono uguali. «In molti casi - osserva lo psicoterapeuta Raffaele Morelli - il medico non è preparato a colloqui di quel genere. Così come ci sono pazienti

Persone citate: Michele Di Summa, Morelli, Raffaele Morelli

Luoghi citati: Roma