«Non siamo i killer, mandateci a casa»

Oggi la decisione del gip sui Furlan. Il fratello: «Presero i sassi dal greto del fiume e li misero nel bagagliaio» Oggi la decisione del gip sui Furlan. Il fratello: «Presero i sassi dal greto del fiume e li misero nel bagagliaio» «Non siamo i killer, mandateci a casa» Tortona, ma il procuratore insiste: le accuse reggono andiamo avanti», ha dichiarato in serata. E ha aggiunto: «D'ora in poi non parlerò più». La lunga giornata dei Furlan è iniziata presto, alle 8, nel carcere di Voghera. Sveglia, colazione, colloquio con i rispettivi avvocati. Poi l'arrivo del giudice, e via con gli interrogatori. Il primo è stato Sergio, che ha appena 18 anni ed è difeso dall'avvocato Massimo Bianchi. Tranquillo, ha ribadito che la sera dell'omicidio lui è stato a casa sua, a guardare la televisione «assieme a mia madre». Tre ore più tardi, la verbalizzazione dell'interrogatorio, e il ritorno in cella. Stanco, stanchissimo, in testa solo la voglia di tornare a casa. Poi è toccato a Sandro. E' entrato nella saletta dove lo aspettava il giudice alle 14,30, ne è uscito due ore dopo. Il suo avvocato, Roberto Tava, non nasconde la sua soddisfazione: «Confessare? Sandro non ha ammesso un bel niente. Anzi, afferma con sempre maggiore forza la sua estraneità. Non ha avuto nessun cedimento». Ma le accuse... «Sono tutte da verificare, bisogna vedere se hanno un riscontro oggettivo». L'alibi? «Ho cenato con la «Ma quand'è che ci mandate a casa?». Ecco, alla fine della seconda giornata di carcere, dicono così i tre fratelli Furlan, sospettati di essere gli autori dell'omicidio di Maria Letizia Berdini, uccisa il 27 dicembre sulla Torino-Piacenza, la testa sfondata da un sasso lanciato dal cavalcavia della Cavallosa. Sono stanchi e spaventati dal carcere, ma respingono le accuse: «Non siamo stati noi», «Con quella storia non c'entriamo», «Qualcuno ci vuole male e ci accusa falsamente». Ieri tutti hanno affrontato una giornata di interrogatori condotti dal giudice per le indagini preliminari Massimo Gullino, il magistrato che oggi - entro le 17 - deve decidere se tenerli in cella o lasciarli liberi, se gli indizi contro di loro sono sufficienti o no. Aldo Cuva, procuratore di Tortona, ieri ha chiesto al giudice che i tre fratelli, Sandro, Sergio e Paolo, restino detenuti: «La tesi dell'accusa regge, STORTONA EDUTO al tavolo della cucina, con le maniche del maglione rimboccate e davanti un piatto di maccheroni al sugo, e un bicchiere di vino rosso. Dice a bocca piena «mi scusi, neh, ma è mezzogiorno, e io devo pure mangiare». Dario Tasca, 36 anni, operaio (in cassa integrazione) alla Filatura Pontecurone, teste d'accusa contro i fratelli Furlan assieme alla sua fidanzata, Elena. Insieme hanno raccontato ai magistrati di averli sentiti pronunciare una frase terribile: «Siamo stati noi». Praticamente, una confessione. Allora, partiamo da quel giorno, 1 gennaio, vero? «Sì, era il primo giorno dell'anno, io ed Elena siamo andati dai Furlan a fare gli auguri di buon anno». Siete molto amici, voi e i Furlan? «Ci conosciamo da tanti anni. Sei anni, forse anche di più. La storia è complicata, perché anni fa io e Elena stavamo già insieme, ma poi Paolo Furlan me l'ha portata via. Io ci sono restato malissimo. Scusi, continuo a mangiare, altrimenti la pasta si raffredda». Mangi pure tranquillo. Ma poi vi siete rimessi assieme, no? «Sì, è successo il 10 ottobre, me 10 ricordo benissimo. Io avevo capito che questo Paolo non aveva intenzioni serie con Elena, e a me dispiaceva. Questo ragazzo era sempre in giro, io lo vedevo, che praticamente non lavorava. Ma Elena, che ò una ragazza un po' ingenua, era sicura del suo amore. E visto che eravamo rimasti amici, e ogni tanto lei si confidava con me, mi spiaceva sentirla dire che si sarebbero sposati. Io mi dicevo: ma con quali soldi, se lui non lavora mai?». E poi? «Poi un giorno ho incontrato Paolo al bar, e l'ho sentito dire che appena trovava un'altra, lui Elena la lasciava. Allora ho fatto una cosa: sono andato a casa di Elena, ho parlato con i suoi. Eravamo seduti in cucina, io ho detto: a Elena voglio bene, ma lei con Paolo non ha futuro. Hanno capito, e noi due abbiamo ricominciato a uscire insieme». E poi è successa la storia dei sassi, l'omicidio. «Sì. Che brutto affare. Ma io non 11 accuso, i fratelli Furlan. Però hanno detto quella roba...». Ecco, arriviamo a questa frase che avete sentito. Ma mi spieghi: siete andati a fare gli auguri in casa Furlan, quindi non c'erano rancori, tra voi... «Ma no, anche se io non dimenticavo che Paolo mi aveva portato via la donna, neh... quelle sono cose che fanno male. Era di pomeriggio, siamo entrati. La casa è piccola, stretta, e loro stanno sempre al buio. In cucina c'era seduto il padre, in una poltrona, perché anni fa ha avuto un incidente. Un incidente, in moto però, l'ho avuto anche io nel 1983. Trauma cranico, sono anche andato in coma. Sono ancora in cura adesso, prendo un sacco di medicine». Va bene, e poi? I fratelli dov'erano? mia fidanzata, che si chiama Manuela, poi sono tornato a casa alle 23». Ecco, le accuse. In quelle stesse ore un altro Furlan, Gabriele, entrava nella caserma della Polstrada per rendere testimonianza, ne usciva dopo un paio di ore, poi andava in procura per un nuovo incontro con i magistrati. Gabriele Furlan è il punto forte dell'accusa. Lui ha dichiarato al procuratore Cuva di aver sentito i suoi fratelli mentre parlavano del lancio di sassi, e poi «hanno concordato una specie di alibi, in modo da stare tranquilli, se qualcuno li avesse interrogati». Ha detto di sapere che i suoi fratelli si erano procurati dei sassi, prendendoli dal greto del fiume «poi li hanno caricati nel bagagliaio della Tipo di Sandro». Testimonianze concordanti con quelle di due altri testi d'accusa: Elena, ex fidanzata di Paolo Furlan, e Dario Tasca, 36 anni, operaio, attuale fidanzato della ragazza. La coppia racconta di aver sentito i tre fratelli Furlan - il pomeriggio del 1° gennaio - mentre dicevano «siamo stati noi», a proposito dell'omicidio di Maria Letizia Berdini. Elena però aggiunge - e lo ha ribadito ieri pomeriggio in un altro incontro con i magistrati - anche qualcos'altro, e cioè di averli sentiti parlare della storia dei sassi anche l'8 gennaio. I fratelli Furlan tornavano dal supermercato, e avrebbero detto Sotto il cavalcavia della morte e a destra uno dei giovani all'uscita dalla Procura «Dobbiamo parlare a Paolo Bertocco», che ó un loro cugino, sospettato anche lui di essere tra gli autori del lancio dei sassi, poi rilasciato. Bertocco è anche l'autore di una telefonata intercettata e registrata che è un ulteriore elemento di accusa: «Sanno tutto i Furlan». Le cinque del pomeriggio, e tocca a Paolo Furlan. La sua posizione era resa più difficile da due alibi diversi forniti in due precedenti interrogatori. Il primo: «Sono stato tutto il giorno in palestra assieme al mio socio di lavoro». Il secondo: «Quel pomeriggio sono stato con il mio socio a lavorare, in un alloggio che dovevamo tinteggiare. Poi siamo andati insieme al bar Ambra, poi abbiamo fatto un salto al Bowling Club, e a sera siamo andati a farci una pastasciutta in un locale di San Giuliano». Ieri ha riconfermato questa seconda versione, e ha spiegato: «Ho l'alto confusione tra giornate diverse, ma giuro che è andata così». [bru. gio.l

Luoghi citati: Piacenza, Pontecurone, Voghera