Gelli in manette, ma per sbaglio

«Ha un residuo di pena da scontare», poi le scuse della magistratura «Ha un residuo di pena da scontare», poi le scuse della magistratura Pelli in manette, ma per sbaglio Arrestato per un reato non perseguibile AREZZO. Alle 9 è uscito da Villa Wanda tra due agenti della Digos arrivati appositamente da Roma per arrestarlo. Poco meno di tre ore dopo gli stessi agenti lo hanno riaccompagnato a casa con tante scuse. E' durato lo spazio di una mattinata l'ennesimo giallo che ha visto per involontario e infastidito protagonista Lido Gelli, il fondatore della Loggia P2, coinvolto negli ultimi 15 anni in alcune fra le inchieste più scottanti sui misteri d'Italia (dalla strage di Bologna alle vicende di Sindona e del Banco Ambrosiano di Calvi). L'arresto del Venerabile, questa volta, è stato un clamoroso infortunio del sostituto procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Saieva. Secondo l'ordine di arresto, Gelli avrebbe dovuto tornare in carcere per scontare un residuo di pena. Il 20 novembre scorso, infatti, la Cassazione lo aveva condannato definitivamente a otto anni di reclusione per il reato di procacciamento di notizie riservate in relazione all'archivio che l'ex capo della P2 aveva nella sua residenza a Montevideo, in Uruguay. Cinque anni risultavano condonati, i restanti tre, con la sentenza passata in giudicato, ancora da scontare. Il magistrato romano, però, non si era evidentemente accorto che questo reato non era compreso fra quelli per i quali a suo tempo la Svizzera aveva concesso l'estradi¬ I VICINI NOSTRI E DELL'EUROPA petrolifere e di gas naturale, il patrimonio culturale che si giova delle comuni origini mediterranee, lo sviluppo in prospettiva dei mercati e l'apporto di manodopera. Confrontata dall'alternativa se isolarsi, stendere quasi un «cordone sanitario», o viceversa approfondire il dialogo e diversificare i contatti politici, culturali, economici con i Paesi della sponda Sud, l'Italia ha sempre optato per la seconda via, facendo del Mediterraneo una dimensione fondamentale della politica estera italiana, dopo l'indirizzo europeo e quello atlantico. E' stata questa l'impostazione alla quale ci siamo attenuti anzitutto nella regione mediorientale, dove il nostro impegno è tradizionalmente diretto a rafforzare anche il ruolo politico dell'Europa - già principale fornitore di aiuti e di sostegno economico - anche nel processo di pace onde assecondare gli sforzi delle parti: l'accordo israelo-palestinese per Hebron, raggiunto in queste ore, anche con il contributo europeo, dimostra che siamo incamminati sulla giusta via. Il ristabilimento di un nuovo clima di reciproca fiducia tra arabi e israeliani è, infatti, la prima condizione per una stabile normalizzazione dei rapporti e una concreta prospettiva per rendere la pace duratura e feconda in tutta la regione mediorientale. Per parte nostra, abbiamo sempre rammentato con fermezza e chiarezza la necessità di rispettare gli impegni presi e ci siamo adoperati proprio perché risorgesse la fiducia tra gli uni e gli altri. L'Italia è altresì particolarmente attiva su tutti gli scacchieri di crisi dell'area, dal Sahara Occidentale (dove favoriamo, anche tramite l'azione dell'Onu, il dialogo diretto tra il Marocco e il Fronte Polisario) al Golfo (dove, anche in sede di Unione Europea, perseguiamo l'obiettivo di un più stretto coordinamento politico con i Paesi membri del Consiglio di cooperazione). La nostra azione per sostenere e incoraggiare i Paesi dell'area è inoltre evidente nel caso dell'Algeria, dove è in atto un processo di normalizzazione, iniziato con le elezioni presidenziali del novembre 1995, che assecondiamo, forti degli eccellenti rapporti bilaterali e dei tradizionali legami tra Roma ed Algeri. Anche nei confronti delle aree più problematiche e dei Paesi la cui situazione interna e internazionale è più difficile, zione, considerandolo di carattere politico. Un reato per il quale, fra l'altro, l'estradizione non era stata neanche richiesta dall'Italia. E' stato lo stesso magistrato romano che, appena ricevuto il fax con la richiesta di sospensiva del provvedimento d'arresto inviato dall'avvocato Michele Gentiloni, difensore di Gelli, ha chiesto delucidazioni al ministero della Giustizia ricevendo la conferma che il provvedimento andava annullato. L'ex capo della Loggia P2, pur avendo subito una condanna definitiva, non può essere arrestato: «Questo risulta chiaramente anche dal testo della sentenza si legge nella nota inviata al magistrato dai difensori di Gelli che si pone il problema astratto della procedibilità in difetto di estradizione, concludendo affermativamente ma affermando che la relativa pena non sarebbe mai eseguibile se non a seguito di una nuova richiesta di estradizione per esecuzione della pena. In questo senso hanno agito tutte le Procure d'Italia che hanno sospeso ogni ordine di carcerazione a carico di Licio Gelli per difetto di estradizione». Così, verso mezzogiorno, il Venerabile ha lasciato la Questura di Arezzo, dove nel frattempo era stato portato, passando da una porta laterale per evitare il nugolo di giornalisti in attesa di dichiarazioni. Raggiunto telefonicamente a Villa Wanda l'Italia può svolgere un sempre più incisivo ruolo politico. Il nostro Paese, più di altri Stati europei ed occidentali, è infatti legato alla regione del cosiddetto «arco delle crisi» dall'Iran all'Iraq, al Sudan alla Libia, da profondi ed antichi vincoli storici e culturali e da un patrimonio di credibilità idoneo a rendere più agevole il dialogo. Più di altri, quindi, l'Italia può fare per tenere aperto un canale tanto importante, quanto difficile da perseguire poiché riguarda Paesi il cui peso e influenza travalicano i rispettivi confini e che si trovano talvolta, per una ragione o per l'altra, in contrapposizione con il mondo occidentale. Vi sono stati momenti e circostanze - basti ricordare la guerra del Golfo - in cui si è reso necessario intervenire nei confronti di alcune di tali realtà con estrema fermezza e determinazione. La prova di forza, tuttavia, non può che costituire l'eccezionalità del rimedio estremo. Nella realtà di ogni giorno, se si vuole cercare di promuovere la stabilità della regione medio-orientale, l'unica via per una soluzione duratura appare quella, a trat- Consob alla procura si è limitato a dire: «E' stato un errore macroscopico, preso da uno di quei magistrati che operano con superficialità senza pensare ai danni, anche fisici, che provocano. Certi fatti non si possono perdonare, né giustificare». «Una delle tante ingiustizie compiute ai danni di mio padre», aveva detto al suo arrivo alla questura di Arezzo il figlio Raffaello. Già pronti alla controffensiva i legali di Gelli: «Prenderemo i dovuti provvedimenti hanno affermato - vedremo se qualcuno deve pagare». Sentitosi indirettamente chiamato in causa, il questore di Arezzo Giovanni Cecere Palazzo, i cui agenti hanno affiancato i colleghi romani nell'operazione arresto, ha spiegato di essersi limitato a eseguire un ordine arrivato dalla procura di Roma: «Quando è arrivato il contrordine, abbiamo rimesso Gelli in libertà come è giusto che sia». Chi rischia di più, a questo punto, sembra essere proprio il magistrato romano che aveva disposto l'arresto di Gelli. Secondo alcuni consiglieri del Csm, per l'errore commesso, il dottor Giuseppe Saieva potrebbe essere sottoposto a provvedimento disciplinare da parte del ministro di Grazia e Giustizia o dal procuratore generale della Cassazione. Francesco Matteini ti faticosa e impervia, del dialogo. Esso è in alcuni casi, necessariamente, un dialogo «critico», ma è sempre mirato a salvaguardare uno strumento importante per la comprensione reciproca nella consapevolezza che ignorare i problemi non vale certamente a risolverli. Proprio la sua dimensione «critica» sta, d'altra parte, a sottolineare la natura peculiare di questo contatto, teso non da oggi a recuperare alle relazioni internazionali Paesi importanti per la stabilità e la sicurezza di aree geo-politiche complesse e articolate. Si tratta, infatti, di un dialogo a tutto campo - relativo anche a temi difficili, come la lotta al terrorismo e il rispetto dei diritti umani - nel cui ambito tutti i Paesi devono avere la possibilità di prendere posizione senza ambiguità per chiarire le rispettive ragioni e dimostrare, alla prova dei comportamenti effettivi di ciascuno, di poter riassumere pienamente il loro ruolo negli scenari regionali. Certo, differenze culturali sussistono e sono talvolta profonde. Basti pensare a recenti casi di esecuzione di condanne a morte, come quelle nelle scorse settimane in Libia, che tante reazioni hanno suscitato anche sulla stampa. La pena capitale è da tempo rifiutata dalla nostra cultura, che la considera una violazione inaccettabile dei diritti umani: con altri Paesi occidentali, l'Italia in prima fila la ritiene comunque esecrabile, anche quando non si professi pubblicamente la nostra condanna. Il dialogo «critico» deve servire anche a rendere, in prospettiva, più rare queste situazioni. Il futuro delle relazioni tra le due sponde del Mediterraneo non potrà dunque prescindere da una crescente collaborazione senza ostilità preconcette, senza eludere i problemi, ma anzi approfondendo la comprensione reciproca proprio per poterli avviare a soluzione. Riteniamo che sia nell'interesse non solo dei Paesi rivieraschi ma dell'Europa nel suo complesso che a tale collaborazione partecipi via via un numero crescente di Paesi. Sul versante europeo resta fermo l'impegno italiano a sensibilizzare i nostri partners dell'Unione perché considerino il Mediterraneo un interesse comune e non solo dei Paesi rivieraschi: per parafrasare una frase detta in un recente incontro a Roma dal ministro degli Esteri dei Paesi Bassi, Hans Van Mierlo, Presidente di turno del Consiglio dell'Unione Europea: «I vicini dell'Italia sono, infatti, nell'Europa Unita i vicini dell'Olanda e di tutti gli Stati Membri». Lamberto Ditti ministro degli Esteri E' libero perché manca la richiesta di estradizione per quell'accusa Licio Gelli, venerabile «gran maestro» della Loggia massonica P2 L'accusa: tentata estorsione a Di Pietro