NON CE' NIENTE DA RIDERE di Massimo Giannini

NON CE' NIENTE DA RIDERE NON CE' NIENTE DA RIDERE La prova più schiacciante è stato proprio lo scivolone sul decreto Stet. A questo punto, per riprendere la rotta con un minimo di credibilità, il governo Prodi ha di fronte a sé due strade. La prima passa per un chiarimento con Bertinotti, statalista impenitente ma coerente, che per la Stet continua da mesi a dire no alla privatizzazione, propugnando una cervellotica «vendita alla francese», con lo Stato che conserva il 51% e la golden share. Cioè di fatto una non-privatizzazione. E' compatibile questo disegno con il programma di Prodi? L'equivoco andrebbe chiarito una volta per tutte: non ci si può illudere di «gabbare» ancora una volta i mercati e Van Miert. Ma si può arrivare ad un autaut dal quale il governo potrebbe uscire con le ossa rotte? Allo stato dei fatti uno sbocco del genere pare molto difficile. Si profila allora una seconda strada, sulla quale Prodi si sta orientando, e cioè quella delle cosiddette «maggioranze variabili». Sempre aborrite dal Premier, ma forse oggi necessarie. Magari in cuor suo Prodi sperava di farle funzionare anche l'altro ieri, proprio sul decreto di trasferimento delle azioni Stet al Tesoro. Ma l'esperimento è fallito. La Destra ha votato «no», in nome dello smaccato «statalismo» di questo governo. Si può storcere il naso finché si vuole di fronte a questa posizione, ricordando la stupefacente inconsistenza del governo pseudo-liberista di Berlusconi sul fronte delle vendite di Stato. Ma se Prodi vuole riprovarci e cercare una sponda nel Centro-Destra sulle privatizzazioni, deve precludergli ogni possibile ricorso ad alibi del genere. Per farlo ha un solo modo: riprendere in mano la bussola, e far fare finalmente una «virata» alla nave. Sulle telecomunicazioni deve lasciare che il Tesoro decida, stroncando guerre tra lobby e schermaglie tra boiardi, se sarà la Stet a incorporare Telecom o viceversa; deve chiarire quale sarà il core business del gruppo e con chi sarà alleato, poi vendere separatamente ciò che non è strategico. Sull'energia deve vendere l'Enel, della cui privatizzazione non si sa più nulla. Servono atti concreti di governo. E se fino ad oggi sono stati carenti o confusi, la sensazione è che la colpa non sia stata solo di Bertinotti: a Palazzo Chigi, tra lo stesso Prodi e il suo sottosegretario Enrico Micheli, alligna una «cultura» da vecchio Iri magari anche nobile nella sua tradizione storica. Il guaio è che non sempre è in sintonia con le dinamiche del libero mercato. E quel che è peggio, è che di questa cultura si nutre, per resistere, l'intramontabile nomenklatura delle vecchie PpSs. Ma stavolta la posta in gioco, in termini di credibilità nazionale, è davvero troppo alta. Non possiamo credere che Prodi possa non capirlo, continuando a «morire dalle risate». Massimo Giannini

Persone citate: Berlusconi, Bertinotti, Enrico Micheli, Prodi, Van Miert