«Stupida attraente»

«Stupida attraente» «Stupida attraente» ANCHE gli intellettuali lessero i libri di Angélique. almeno i primi. Anche loro, forse più ancora, videro ì film di Bernard Borderie. Li guardarono come tutti, prima di prendere le distanze inevitabili. Roland Barthes, che già aveva messo le mani avanti affermando che «niente affascina di più della stupidità allo stato bruto», dovette poi pronunciarsi sulla Marchesa in un'intervista che concesse a Playboy al momento dell'uscita dei Frammenti di un discorso amoroso. A fargli le domande in nome della rivista era uno specialista di libertinaggio, Philippe Roger, che punzecchiò il semiologo fino a farlo un po' spazientire: il suo innamorato sì, che era veramente sovversivo, non la Marchesa degli Angeli, cosi comune e convenzionate. Marguerite Duras viceversa, incapricciatasi del volto ambiguo di Robert Hossein, lo volle in un suo film (La Musica con Delphine Seyrig), ma non poteva trattenere il suo disprezzo per l'altro set sul quale l'attore era contemporaneamente impegnato (il terzo Borderie della serie). «Don Giovanni da bazar!», lo apostrofava, nel fargli ripetere alla nausea il ciak della striminzita battuta concessagli («No!»). «Riuscirò a fare di lei una persona intelligente...», minacciava furiosa la Duras. Suo malgrado, Angélique la assillava. [g. b.] venduto, oltre 500 mila copie). Particolarmente rapiti furono i russi e i giapponesi, i quali vollero un'Angélique teatrale e accorsero in cinquecentomila a applaudirne gli exploits. Le avventure della donna più bella e coraggiosa del secolo del Re Sole all'epoca furono così amate e appassionatamente seguite da diventare ben al di là delle più rosee previsioni fenomeno di massa senza precedenti, curioso da interpretare per sociologi e intellettuali. I cinque lungometraggi che Bernard Borderie ne trasse, tra il '64 e il '67, affidando il ruolo della protagonista alla allora giovanissima Michèle Mercier e quello del marito sfregiato e claudicante al falso brutto Robert Hossein - anticipati in bandes dessinées dal quotidiano più popolare, France-Soir - allarmarono per il successo indiscriminato (sale dei cinema piene per mesi, incassi record) la Centrale cattolica, il servizio di vigilanza sulla moralità dei divertimenti. Tre le ragioni che portarono l'ente a sconsigliarne la visione: erotismo, anticlericalismo e esibizionismo. La tv di Stato, digerito il '68 e senza timore di indignare le femministe, passò allegramente sopra l'interdetto cardinalizio e ripropose la serie ogni due o tre anni, dal '72 in poi, per la gioia di tutte le generazioni. Fmo all'avvento delle videocassette: 620.000 esemplari venduti, e in occasione del Natale un'impennata. Anche se c'è chi preferisce adesso considerare la serie mi cult-movie, né più né meno dei vecchi film di Renoir, e se la va a vedere nelle salette parigine da cinefili tipo le Ursulines. Angélique era figlia di un nobile decaduto, e aveva dovuto sposare controvoglia il ricchissimo Joffrey de Peyrac, di aspetto burbero ma buono e altruista di cuore. Quando le virtù del marito erano riuscite a far breccia nel cuore di lei, il destino crudele aveva privato la giovane donna dell'amato, condannato a morte per stregoneria a causa delle sue attività come alchimista. Certa di poterlo ritrovare, Angélique non indietreggiò di fronte a nulla. Nel corso della sua avventurosa «educazione sentimentale», dovette farsi strada tra il desiderio degli uomini e la gelosia delle donne, tra le congiure di palazzo e i ladri e gli assassini della corte dei miracoli di Parigi, tra i rapimenti degli sceicchi e quelli dei pirati. Sempre se la cavò, ricorrendo a un uso strumentale ma aggraziato della propria avvenenza, garanzia di vittoria (fatta sempre salva, spesso in extremis, la dignità) nelle alcove più disparate. Nei momenti di maggior pericolo, fu Peyrac a salvarla, ma per riscomparire subito dopo, per esigenze narrative. Ai suoi piedi, Angélique vide prostrati, oltre a signori perversi, briganti onesti, poeti, corsari, sultani e re, persino un eunuco. Ma niente poteva stupirla. Per tornare tra le braccia di Peyrac, diventò leonessa. Non solo. Tirò fuori risorse ben più nascoste, tanto che Michèle Mercier - al colmo dell'infatuazione per il personaggio - potè definirla «ima James Bond con la gonna». E un po' Angélique si è poi sempre sentita, la Mercier, che prima della serie di Borderie aveva fatto ventenne la ballerina all'Opera di Nizza, un film con Truffaut e parecchi lavori in Italia, mentre dopo non ha fatto praticamente più nulla, perché le proposte non erano alla pari, ma anche perché lei per la gente è rimasta Angélique. «Andando all'estero non dovevo mai tirar fuori il passaporto» ha detto, «tutti mi riconoscevano e mi volevano bene». Cinquemila lettere all'anno degli affezionati, addirittura un uomo che le scrisse «grazie per avermi salvato dal suicidio». Stava per compiere un gesto disperato, quando si accorse che alla televisione stava per andare in onda un film eh Angélique. Decise di guardarlo, e rinunciò al triste proposito: «Se esiste una donna così, penso, vale la pena di vivere». Il grande successo della saga, prima che Angélique prendesse il volto dell'attrice, era stato però da attribuirsi oltre che alle virtù e ai vizi della protagonista, anche alla grande sapienza di costruzione dei coniugi Golon, che avevano creato im singolare pastiche di Alexandre Dumas e Victor Hugo, mutuando dal primo espedienti narrativi, velocità, brio, disinvoltura nei con-

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