«Nemici miei, vi consegno Belgrado» di Aldo Cazzullo

Il regime potrebbe fare retromarcia. Fassino vede il ministro degli Esteri e l'opposizione Il regime potrebbe fare retromarcia. Fassino vede il ministro degli Esteri e l'opposizione «Nemici miei, vi consegno Belgrado» Milosevic: nella capitale ho perso. Ma nessuno si fida dno». Attenzione però: senza che nulla ancora sia definitivo. Radomir Lazarevic, presidente della Commissione elettorale, non manifesta vergogna nel precisare: «Nuovi ricorsi potrebbero cambiare anche questa situazione». Al momento, «Zajedno» si vede riconosciuti 60 seggi, la coalizione di governo 23,15 i radicali di Seselj e due i centristi del partito democratico. Definitivo tocco di grottesco: dopo due mesi, la Commissione ritiene che in 10 circoscrizioni il voto debba essere ripetuto per la quarta volta. Venerdì prossimo a Vienna è in programma una nuova riunione dell'Osce, lunedì s'incontrano a Bruxelles i ministri degli Esteri dell'Unione Europea. A queste rischiose scadenze, la Jugoslavia di Milosevic tenta di presentarsi con un pedigree rinnovato. Un gesto di buona volontà da ostentare, qualche testa pronta a saltare (l'epurazione è attesa per le prossime ore) potrebbero consentire al regime nuovi margini di manovra. Ma c'è un indizio di segno opposto: il sindaco di Belgrado, Nebojsa Covic, considerato l'uomo-ponte tra il partito al potere e l'opposizione, è stato espulso dall'sps in serata. «Al governo ho detto in maniera chiara che i margini sono esauriti, ed anche i tempi si sono fatti molto stretti», dice Piero Fassino, sottosegretario agli Esteri giunto proprio ieri a Belgrado in una missione ancora una volta delicata. Un mese fa, l'arrivo del ministro Dini coincise con forzature e polemiche che Fassino oggi ricorda con qualche fastidio. «E' fin troppo facile adesso notare come la visita di Dini abbia determinato un mutamento della situazione. Grazie a quell'incontro il governo ha accettato la supervisione dell'Osce, e dalla missione Osce deriva ogni possibilità di soluzione pacifica della crisi». La definitiva ricucitura dei rapporti con «Zajedno» sarà comunque celebrata venerdì prossimo, nella visita che i tre leader della coalizione faranno a Roma. Fassino ha incontrato per primo il ministro degli Esteri MUutinovic, quindi Vuk Draskovic: ad entrambi ha consegnato una lettera di Dini. Nel pomeriggio, nuovo meeting con una delegazione degli studenti. Le perplessità che circondavano certi settori di «Zajedno» paiono superate; accantonate, perlomeno. «Penso che un movimento che per quasi due mesi riesce a guidare una protesta così massiccia e pacifica, per giunta in modi così intelligenti, sia qualcosa che ha forti radici nella società serba», dice Fassino. Oggi gli incontri continueranno. La Tanjug, agenzia di Stato, por ora si è limitata a riferire che hanno riguardato «la situazione della regione e lo sviluppo della collaborazione fra i due Paesi». Aggiunge anche, con qualche enfasi, che «la parte italiana ha confermato il suo appoggio perché quanto prima avvenga la piena reintegrazione della Jugoslavia neh'Osce e nelle altre organizzazioni internazionali». La fase che si apre adesso è quella che sperimenterà più di ogni altra la tenuta di «Zajedno». L'altra sera per il Capodanno ortodosso in piazza della Repubblica c'erano 400 mila persone che festeggiavano e lanciavano petardi. Adesso però si tratta di mantenere alto il tono della protesta senza cedere alle prime, parziali concessioni e senza dare al regime pretesti per interventi polizieschi. Un detto popolare serbo ricorda che quando il ragno scompare in un buco è perché la ragnatela è completata. Quella di Slobodan Milosevic continua ad essere tessuta in maniera molto, molto sottile. Giuseppe Zaccaria Sopra, i due leader dell'opposizione jugoslava esultano alla notizi: del riconoscimento della vitto- . di «Zajedno» nella capitale jugoslava e un momento della grande festa di Capodanno in piazza. A sinistra la manifestazione degli studenti ieri a Sofia contru il regime 11 patriarca Maxim, filocomunista, è soprannominato «Marxim». 1 seguaci di Pimen, più numerosi, incitano i dimostranti Dimitrov, miniatura di quello moscovita di Lenin; piena la «chiesa russa» di fronte, dove gli ortodossi sfiorano la statua della Vergine dai poteri miracolosi. Piena pure la moschea di Sinan, l'architetto della moschea di Solimano a Istanbul. Anche la comunità islamica - 800 mila persone, un decimo della popolazione - ha il suo scisma: il muftì Nedim Genchev è accusato di simpatie comuniste dal rivale Fikri Salini, vicino ai democratici. Dice il custode della moschea che le decine di fedeli prostrati verso il mihrab che indica la direzione della Mecca (e di Istanbul) sono tutti con l'opposizione. Del resto tra le Forze democratiche c'è anche il Movimento per i diritti e le libertà di Ahmed Dagan, il partito dei turchi, che non hanno dimenticato le persecuzioni di Zhivkov, quando furono costretti a cambiare cognome (e in 350 mila, pur di non cedere, fuggirono in Turchia). Dall'altra parte della strada c'è la sinagoga, la più grande dei Balcani, decisamente troppo grande per i duemila ebrei bulgari, che, come spiega il loro presidente Yossif Levi, «si sfamano grazie agli aiuti delle associazioni americane e non si occupano di politica». C'è fila, invece, davanti alla banca d'investimento russa, ma non per ritirare i lev divorati dall'inflazione. Sotto l'insegna ecco la scalinata che scende a Santa Petka. Questo nartece con l'icona del martirio di San Giorgio, dove i carnefici hanno sembianze turche, questa volta bassi; affumicata dalie candele, il mosaico eli San Teodoro eroso dalle mani dei fedeli sono il simbolo della tenacia della fede dei bulgari, interrata per ordine dei turchi, nascosta dai palazzi staliniani del governo per volere dei comunisti, la chiesa è sopravvissuta a entrambi. Qui si concludono i cortei degli studenti, qui vengono gli impiegati statali a farsi benedire da pop Atanas, padre Atanasio, che li cosparge di acqua santa con un rametto di fiori. «Mai visti tanti fedeli come dall'inizio della rivolta dice -. Ieri abbiamo venduto 50 mila candele, tante quante i manifestanti. Ma in questa chiesa la gente è sempre entrata, anche ai tempi dei comunisti, quelli veri. Allora venivano per sfida. Oggi, per fede. Sono soprattutto anziani e studenti. Sta nascendo una generazione di giovani pop pieni di entusiasmo, che non esitano a scendere hi strada». E a saltellare, se necessario. «Mancano i cinquantenni, la generazione rossa, che è cresciuta senza religione. Quelli sono perduti», scuote il capo padre Atanas, mentre spilla l'acqua benedetta dal samovar. Gli impiegati riempiono l'ampolla e tornano al lavoro, nel palazzo staliniano del governo. Oggi in tutto il Paese è sciopero generale Un plenum nella notte Aldo Cazzullo