«Ho paura che gridino assassino»

«Ho paura che gridino assassino» «Ho paura che gridino assassino» // dramma della moglie di uno dei macchinisti La rabbia dei ferrovieri supera il dolore «No, non potevano andare così forte» ta di risalire sullo stesso mezzo, a distanza di settimane e di trovare tutto come prima, con l'aggiunta di altre segnalazioni». Paura? «No, solo molta apprensione. Potevo esserci io, con il mio socio su quel treno. Chissà, forse sarebbe andata diversamente o forse sarebbe stata la stessa cosa. Certo ora i macchinisti si fideranno ancora meno: invece di recuperare, eviteranno di rischiare, andranno in ritardo». Bruno Gianotti PIACENZA DAL NOSTRO INVIATO A sinistra i lavori di rimozione dei resti del Pendolino deragliato domenica Sotto, soldati al lavoro tra i rottami del convoglio «Non me la sento di andare all'obitorio a riconoscere il cadavere» Il fidanzato della hostess: ho scoperto che era lei da un anello Quando il signore con i capelli bianchi s'è alzato dal suo lungo tavolo pieno di bottoni e di lumini, anche gli altri lo hanno seguito sotto il quadro. S'è aperto la camicia sul collo e s'è passato una mano sugli occhi e ha detto «sono stanco, non ce la faccio più». Sono ancora le 13,26, qui nella sala comandi, ma oggi non è più domenica, non c'è più la nebbia che si abbassa sulle cose e sugli uomini, e non c'è più quell'urlo che veniva da lontano, quell'urlo irreale e inumano, quel grido metallico che ha squartato la festa, e il Pendolino Botticelli è già stremato sul binario 3, già morto da un giorno, con le sue carrozze sfasciate, scheletrite. Solo questi uomini, solo le loro facce, sono le stesse di ieri, domenica 12 gennaio, ore 13,26, quando qualcosa è impazzito alla stazione di Piacenza, qualcosa che non riusciamo a capire, che non vogliamo credere. Per questo siamo qui a chiederci che cosa sia tutta questa paura. Possiamo credere davvero di fermare la velocità? Qui dentro son passate 24 ore giuste, e non c'è una risposta a niente. Anche ieri, in questo momento, il signore dai capelli bianchi s'era alzato dal tavolo. «Dio mio, cos'hanno rotto?», aveva detto guardando di fronte a lui. Quel segmento sul binario 3 che brilla nell'angolo sinistro della parete, quello, è ancora lì, fermo, da un giorno esatto. Il signore con i capelli bianchi ora gli è andato sotto, da vicino. E la luce del Pendolino sul quadro della sala comandi è ancora rossa. Come ieri, alle 13,26. E anche il numero 20 continua a lampeggiare. Come ieri. Tutto qui dentro è rimasto come in quell'istante, queste facce e queste luci, un giorno esatto dopo, come se la tragedia avesse immortalato un angolo della vita, l'avesse immobilizzato per 24 ore, il tempo di stamparsi, di capire che qualcosa non potrà più tornare come prima. E' fuori che il mondo capovolto torna a raddrizzarsi, a chiedersi una ragione e forse a trovarla, è fuori da qui che i Pendolini tornerà imo a cor- rere sui binari, a bucare il tempo nella vana illusione di superarlo. Ieri alle 13,26 qui dentro, dice il signore con i capelli bianchi, si chiedevano com'era arrivata la Morte. All'improvviso, potente. Aveva squarciato il silenzio. Aveva preso qualche amico, forse. E oggi qui se lo chiedono ancora nell'immobilità di questo tempo. C'era Pasquale Zumino che era andato là sul posto. «Fermi tutti», aveva urlato con il fiatone, davanti alla carcassa del treno. Era entrato nella motrice sventrata e aveva staccato lui la scatola verde e un rotolo con il diagramma della velocità e li aveva portati qui, nella sala comandi. Li aveva consegnati al dirigente movimento, quel signore con la barba che non vuol dare il suo nome, «siete mica matti?». Adesso, quelli che li hanno visti dicono che segnava 165 km all'ora, al momento dell'impatto con la Morte, alla curva sotto il cavalcavia. E' un punto dove bisogna andare al massimo a 105, e allora se fosse così l'incidente avrebbe una ragione. Il capo alla sala comando scuote la testa, dice che non ci crede. «Non poteva andare così veloce», dice. E il macchinista Pietro Boselli va fuori al freddo dove le parole diventano respiro e fumo: «Lo vede quel capannone là? E' il deposito. Se fosse andato a 165 all'ora il Pendolino ci finiva dentro, non poteva fermarsi prima». Venite dentro, alla sala comandi. La Morte qui non è andata avanti, si può ragionarci sopra come se fossimo ancora ieri. Ma che cosa c'è, allora, che non riusciamo a cogliere, a spiegare? Che cos'è quel senso inafferrabile di una trage- Quotidiano fondalo nel 1867 DIRETTI IRE RESPONSABILE Curii» Rossella CONDIRETTORE Luigi La Spina VICEDIRETTORI Vittorio Sabadin, Paolo Passarmi REDATTORI CAPO CENTRALI Ripbcilii Bellato Dario Creslo-Dina, Franco Tropea EDITRK lE LA STAMPA SPA PRESIDENTE Giovanni Agnelli VICEPRESIDENTI Vittorio Caissotti <li l'hiusarto Umberto Cuttica AMMINISTRATORE DELEGATO E DIRETTORE GENERALE Paolo Paloschi AMMINISTRATORI Luca Corderò di Montezemolo Giovanni Giovunnini Francesco Paolo Mattioli, Alberto Nicolello STAI) ILIMENTO TIPI KìRAFl CO La Stampa, via Marcnco 32, Torino STAMPA IN FACSIMILE * La Stampa. ». G. Bruno SI. Torino STT srl. v.l'. l'esenti lM.Roma STS spa. Uuinta Strada 35, Catania Nuova SAME spa. >. della Giustizia 11, Milano L'inione Sarda spa. v.le Elmas. Cagliari Nord Kclair, !>-l Ruedu Taire, Koubalx CONCESSIONARIA PCB1ÌLICITA' Huhlikompuss Spa v. 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Ho paura di sentirmi gridare assassino. Io farei lo stesso al loro posto». Maria aveva paura, perché se il treno correva a 165 all'ora in quella curva, avrebbero già trovato i colpevoli e i responsabili. Come se fosse così semplice, come se si potesse afferrare qualcosa che sfreccia, che vola. All'obitorio, ci sono cordoni di poliziotti, dolori isolati, protetti, invano nascosti. Ci va anche Maria, vincendo la sua paura. E ci va anche Lora De Santis, la vedova dell'altro macchinista. E c'è il fidanzato di Lorena Santone, 23 anni, da Teramo, una delle hostess uccise: lui è arrivato presto, e gli hanno fatto vedere oggetti ammucchiati, memorie, scarpe spaiate, ninnoli: ha riconosciuto Lorena dall'anello di fidanzamento che le aveva regalato. Non ha voluto vederlo, il corpo di lei. E un agente della polizia ha detto: «E' meglio che non li guardino. Così li ricorderanno da vivi. E' uno spettacolo orribile, sembrano passati in un frullatore». Ecco, com'era arrivata la Morte, domenica alle 13,26. Come un precipizio che si apre all'improvviso, mentre qualcuno dormiva, qualcuno rideva e parlava, e qualcuno sognava, e quegli otto li ha divorati. Donatella deve aver chiesto ai suoi colleglli cosa faceva l'agente Francesco Ardito che è morto assieme all'altro agente Gaetano Morgese su quel Pendolino. Donateli:! era la fidanzata di Ardito. Anche lei lavora nella polizia. Che importa cosa facesse Ardito. Viveva. Quando si vive anche le cose inutili sono belle. E' per questo che si piange. Lei ha i capelli neri che: le coprono parte del volto, nasconde le lacrime, ripete con ossessione «me l'hanno portato via...». Ed è vero, perche c'e dell'ingiustizia in questa mone, magari come in tutte le morti. Ma c'è, e si vede. La velocità coir" verso il futuro, e non potremo più farne a meno. Però, come dice Carlo Quattroni, macchinista anziano, «dovremo attrezzare le ferrovie, dovremo cambiare i binari, dovremo fare controlli avanzali, dovremo costruire un sistema migliore, più modemo)>. e dovremo insegnare agli uomini e ai computer come si corre assieme al tempo, come ci si sposta senza muoversi. Perché a Maria hanno raccontato che suo marito è morto volando sui binari, e lei per un attimo ha pensato che solo un folle può andarsene così. E invece non è vero. Voleremo sui binari. Senza farci male. Anche se adesso sembra difficile da capire, guardando i rottami del Pendolino, da questa sala comandi, in questo silenzio contro la luce del cielo. Alle ore 13,26 del giorno dopo. Pierangelo Sa pegno