Le streghe innocue

Le streghe innocue Le streghe innocue Annotazioni sulla recente sentenza della Corte di Giustizia del Lussemburgo sulla Direttiva europea in tema di video-terminali Sovente le notizie in tema di sicurezza sul lavoro vengono colorite come episodi di cronaca nera. Il fenomeno risulta incomprensibile se riferito, come ò capitato per la recente sentenza della Corte di Giustizia del Lussemburgo del 12 dicembre 1996, all'uso dei video-terminali, privi di pericolosità e di scarsa o nulla rilevanza prevenzionistica. Ci sarebbe da chiedersi a chi giovi tutto ciò. Ci sarebbe, inoltre, da dubitare sulla correttezza di taluni messaggi. Ma è più produttivo analizzare il provvedimento. 1 quesiti posti alla Corte di Giustizia sono stati elaborati dalla Procura della Repubblica presso la Pretura di Torino e, per precauzione processuale, anche dalla Pretura di Torino. La Corte di Giustizia ha respinto, valutandole irricevibili, le domande della Procura della Repubblica di Torino, in quanto la Corte può essere adita solo da un Organo di assoluta indipendenza. Si è, infatti, ritenuto che la Procura sia una «parte», che esercita l'azione penale nel processo, e non un Organo giurisdizionale dotato di «assoluta indipendenza»: precisazione quanto mai pertinente, rispetto alla diffusa abitudine di affidarsi alle valutazioni delle Procure in modo totalmente adesivo. Una successiva precisazione ricorda che i Giudici nazionali devono applicare il diritto del proprio Paese in modo quanto più coerente alle Direttive Europee. Tuttavia, con un preciso limite: «nel caso in cui siffatta interpretazione abbia l'effetto di determinare o aggravare, in base alla Direttiva ed indipendentemente da una legge adottata per la sua attuazione, la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione della sua disposizione». La Corte di Giustizia rammenta che «il principio che ordina di non applicare la legge penale in modo estensivo a discapito dell'imputato, che è il corollario del principio della previsione legale dei reati e delle pene, e più in generale del principio di certezza del diritto, osta a che siano intentati procedimenti penali a seguito di un comportamento il cui carattere censurabile non risulti in modo evidente dalla legge». Queste precisazioni rientrano nella convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: esse sono sovente disattese in tema di sicurezza sul lavoro, dove l'azione penale viene estesa anche oltre il significato letterale o in assenza di una esatta fattispecie della legge. La Corte di Giustizia passa poi in rassegna l'interpretazione della Direttiva sotto tre aspetti: la definizione di lavoratore; gli obblighi sanitari; il campo di applicazione e l'estensione delle prescrizioni minime rispetto ai posti di lavoro muniti di video terminali. Circa la definizione di «lavoratore», la Corte ricorda come la Direttiva non chiarisca che cosa significhi «utilizzare regolarmente durante un periodo significativo del suo lavoro nonnaie un'attrezzatura munita di video-terminale»: spetta al legislatore nazionale precisarne la portata, con ampio potere «di- zione nazionale alla Direttiva, come interpretata dalla Corte di Giustizia, sembra indispensabile seguire due criteri. Occorrerebbe, in primo luogo, prevedere tempi di attuazione dilazionati, in modo che gli oltre 4 milioni e mezzo di posti di lavoro non siano, paradossalmente e inutilmente rispetto ai fini di salvaguardia della salute, da considerare fuorilegge. Occorrerebbe, inoltre, dare un segnale di civiltà giuridica affrancando gli obblighi in tema di video-terminali da sanzioni penali, sia in ragione dell'assenza di pericoli effettivi, sia per il diffuso coinvolgimento della Pubblica Amministrazione, che, per motivi di modalità di spesa e di rapporto costo/benefici, non è in grado di affrontare repentini adeguamenti, né sarebbe costituzionale ne fosse esentata, a fronte dell'obbligo per i soggetti privati. Nel caso, invece, in cui si ritenesse che, già nel testo attuale, la legislazione italiana coincida con la Direttiva europea (anche se non si comprenderebbe il quesito posto alla Corte di Giustizia), l'esecutivo ed il Parlamento si dovrebbero fare carico del relativo adeguamento, in modo urgente, nei tempi e modi necessari, con un rinvio dei termini ed in modo più incisivo di quanto è avvenuto con il D. Legge 670/96, che ha rinviato, di pochi mesi, la sanzionabilità. In sintesi, in teina di video-terminali sembra non ci siano motivi per un clima, esagerato ed immotivato, di «caccia alle streghe», specie quando esse sono innocue. li riferiti a lavoratori, così come definiti dall'art. 51, 1° comma del D. Lgs. 626/94. La Corte ha evidenziato una differenza tra legge italiana e Direttiva, in quanto i posti di lavoro da adeguare dovrebbero essere anche quelli non occupati da lavoratori. L'interpretazione non pare convincente, né sul piano prevenzionistico, né su quello pratico, in ogni caso, la scelta del legislatore nazionale sembra di tenore diverso da quella della Direttiva, sulla base di tre elementi. Il primo è l'uso del termine posti di lavoro «utilizzati» in luogo di «messi in opera». «Utilizzati», infatti, indica che il posto di lavoro è effettivamente occupato da un lavoratore. Il secondo è l'interpretazione fornita dal Ministro del Lavoro, alla quale credeva, evidentemente, anche chi ha proposto il quesito alla Corte di Giustizia. Il terzo è il campo di applicazione del titolo sui video-terminali (art. 50) riferito alle «attività lavorative» con l'uso di video-terminali, che sono tali solo se vi sono lavoratori addetti. Se, quindi, si ritiene che la legislazione italiana, al momento, prescriva di adattare i posti di lavoro con video-terminali solo se «utilizzati» effettivamente da lavoratori in modo continuativo e secondo la definizione data, il nostro ordinamento non è comunque immediatamente modificato dalla sentenza della Corte di Giustizia, né sarebbero opportune o legittime eventuali iniziative sanzionatorie basate sulla Direttiva. Per l'adeguamento della legisla¬ screzionale». La Corte convalida, quindi, la scelta del legislatore italiano, di individuare il lavoratore addetto a videoterminale in chi usa per almeno 4 ore continuative, tutti i giorni, tale dispositivo. Circa i lavoratori ai quali va prescritto un esame periodico degli occhi a seguito di visita medica, la Corte si limita a chiarire che tale previsione è riferita a tutti i lavoratori per i quali si applica la Direttiva. Non sussistono forme di contrasto della legislazione italiana, se si eccettua l'obbligo di esame oculistico periodico. Nella legislazione italiana, risultano esclusi dall'obbligo i lavoratori dichiarati idonei, con meno di 45 anni di età. L'esclusione non è prevista nella Direttiva, anche se ampiamente giustificata sul piano medico e svi quello logico. Sino al mutamento della legislazione italiana, tale differenza non può, in ogni caso, comportare profili di responsabilità penale per chi si attenga alle attuali disposizioni. Circa campo di applicazione e prescrizioni minime, la Corte di Giustizia sembra indicare due discrepanze tra Direttiva e legislazione italiana. Per le prescrizioni minime cui adeguarsi, tale discrepanza si può ritenere superata con la emanazione del D. Lgs. 242/96, che ha integrato l'allegato 7", rendendolo coerente alla Direttiva. Rispetto al campo di applicazione degli obblighi sui posti di lavoro muniti di video-terminali, il legislatore italiano ed il Ministero del Lavoro, in sede interpretativa, hanno ritenuto che «posti di lavoro» siano solo quel¬

Luoghi citati: Lussemburgo, Torino