Pontormo, il gran disturbatore di Marco Vallora

Agli Uffìzi di Firenze, in una magnifica raccolta per temi di disegni e ritratti, i capricci di un genio Agli Uffìzi di Firenze, in una magnifica raccolta per temi di disegni e ritratti, i capricci di un genio Pontormo, il gran disturbatore Pioniere di ogni novità alla corte dei Medici Wl FIRENZE I ' REDO non vi sia alcun I dubbio che Pontormo è in I j assoluto uno dei più gran_MJdi disegnatori di tutte le epoche, ed è dunque un'occasione rara quella di poter vedere riuniti nel Gabinetto dei Disegni degli Uffizi un numero così alto e scelto di fogli magnifici e vari (la mostra, compatibilmente con le esigenze di conservazione, verrà prorogata). Non che sia una sorpresa: si sa che il museo fiorentino possiede questo tesoro, molto studiato e riprodotto, ma è straordinaria l'occasione di poter ammirare dal vivo tanti prodigi, visto che, come ricorda la Petrioli Tofani, sovrintendente appena esautorata, lasciano raramente i loro sacri contenitori. Affidata la curatela al giovane Carlo Falciani, che si è occupato anche del denso catalogo Olschki, si è scelta la via inusuale di presentarli non in ordine cronologico (secondo la tradizione CoxRearick o Beiti) ma per tranches tematiche. E se pure si può rimanere, se non perplessi, freddi di fronte a questa ripartizione (che contrappone gli studi di composizione agli esercizi di bottega, quando il prensile esordiente era ancora sedotto dai linguaggi dei suoi maestri, Leonardo, Andrea del Sarto, Piero di Cosimo; gli esperimenti di immaginazione contrapposti ai ritratti medicei o ai paradossali autoritratti in un uomo così accidioso come il Pontormo, che spesso imprestava il proprio corpo per studiare l'anatomia disegnata) ebbene non si può non essere comunque sedotti dalla mobilità e dalla vivezza di questo incomparabile «artefice nobilissimo», che ritrae l'immediatezza cangiante del reale con una naturalezza quasi senza eguali (e che riteneva compito del pittore «fare i sua lavori ricchi e pieni di cose varie, facendo dove accade splendori, notte con fuochi e altri simili lumi, aria, nugoli», come confidava al Varchi). «Nobilissimo» lo chiamò il Vasari, che era stato sì suo allievo, devoto soltanto per mi certo limitato periodo, e affascinato dalla «vivezza e prontezza» del suo tratto labile, ma pronto poi a rinnegarlo come un vile San Pietro, quando il suo ruolo di cantore ufficiale di Casa Medici impose un ridimensionamento drastico nei confronti di quell'artista «strambo», «oltre ogni credenza solitario» e avviato verso una pericolosa eresia (siamo negli anni della Riforma). Un caso esemplare di pavore critico: negli anni Vasari (che gli preferisce il Salviati) intensifica le critiche contro questo personaggio iroso e introverso, quasi corroso dagli umori saturnini e lo fa con pretesti sleali: quel modo di abbigliarsi («più tosto misero che assegnato»), da trovatello che poteva permettersi solo «sottilissime spese» rattrappito in una casupola-guscio in cui si ritirava «dai commerci con gli huomini», «che ha più tosto cera di casamento da uomo fantastico e solitario, che di ben considerata abitura» e poi quella leggendaria scala che egli ritraeva, sottraendosi alle noie del mondo: «acciò SCEGLIENDO TRA L che niuno potesse salire da lui senza sua voglia o saputa». Nella seconda edizione delle Vite, Vasari offende la memoria di questo suo diretto ispiratore: irrequieto pioniere. Perché è proprio l'irrequietudine quasi nevrotica che allarma l'estroverso cortigiano di Cosimo, colpito da questo frenetico cercare accidioso del vecchio bisbetico: «non avendo fermezza nel cerveUo andava sempre cose nuove ghiribizzando...Sempre investigando nuovi concetti e stravaganti modi di fare, non si contentando e non si fermando in alcuno...Facendo nuovi trovatisempre pensando a cose nuove». Il nuovo come spettro: ed è quello che attrae in queste figure sinuose e dense di affetti, quasi nubi vaganti e scontrose, riverse languide sul cuscino sempre sensuale e complice del foglio, ricettivo e sollecito nel carpire le minime vibrazioni del capriccio grafico di questo misantropo, così aperto, eppure, alla sensualità dei corpi, così deciso a fermare su carta il trascorrere incerto e rapinoso della vita. Lo sfuggente frammento di un panchetto che servì a base al modello, il raggomitolarsi infreddolito di una pigrizia, il rannuvolarsi immotivato d'un sorriso. Passa la vita. Senza un abbellimento, un infingimento stilistico, un aggiustamento idealizzante. Ed è quello che sconcerta il benpensante Vasari, ormai diventato un ossequiente manager di sterminate E imprese decorative. Il quale condanna la «maniera tedesca» di queste figure deformate e sproporzionate, secondo naturalezza. «Fatta a suo modo» stigmatizza il nonnativo teorico, che sente appropinquarsi i precetti controriformati del Cardinal Paleotti e che danna quei rivoluzionari affreschi per San Lorenzo, che verranno distrutti per spregio nel '700 (con grande nostra desolazione). «Non mi pare in niun luogo osservato né ordine di storia, né misura, né tempo, ed in somma non alcuna regola né proporzione, né alcun ordine di prospettiva, ma piena ogni cosa d'ignudi, con un disegno, invenzione e componimento, colorito e pittura fatta a suo modo: con tanta malinconia e con tanto poco piacere di chi guarda quell'opera... perciocché io crederei impazzarmi dentro e avvilupparmi». Ed il merito di questa mostra è anche quello di meglio studiare i pochi residui di quel ciclo dannato, curioso esempio di dottrina valdesiana e riformata, che non crede nella mediazione dei Santi in ima cappella dove questa liturgia medicea veniva invece paradossalmente esaltata. Marco Vallora

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