Fedele fino in fondo ai valori sconfitti dalla civiltà moderna di Alberto Papuzzi

EROICO MA NON TROPPO EROICO MA NON TROPPO =1 Fedele fino in fondo ai valori sconfitti dalla civiltà moderna F~ÌRA i grandissimi della musica di ogni tempo I Johannes Brahms è forse quello che si è meno I affrettato a diventarlo. A vent'anni suscitò l'entusiasmo di Robert Schumann che nella sua autorevolissima rivista lo presenta al mondo musicale come un genio, «uscito dalla testa di Giove armato di tutto punto come Minerva»; nessuno ebbe mai un lancio così, ma il giovane non sembra mostrare alcun desiderio di approfittarne e senza fretta attende alla sua educazione; scrive capolavori e si mette in carriera concertistica, ma ha puro una passione per la musica degli altri: da quella del suo padre spirituale Schumann, a Schubert, al padre di tutti Beethoven, alla musica del passato che per lui si addentra nella storia più che per qualunque compositore del suo tempo: non solo Mozart e Bach, Haendel e Domenico Scarlatti, ma Schùtz, i Gabrieli, Palestrina: lo emoziona l'oggettivo articolarsi della musica lungo i secoli, percepisce un mondo di valori perenni cui collegarsi; ha bisogno di tempo, non è il mestiere che cerca (lo aveva già, miracoloso, a vent'anni), ma un punto di vista sulla storia che lo illumini nella sua individualità. Fino al 1868, l'anno dell'esecuzione del Requiem Tedesco nel Duomo di Brema, è conosciuto a poche cerchie, per quanto elette, come si fosse messo in testa d'incarnare un carattere di «musicista minore»; mentre, dopo quella data, contende a Wagner il posto di primo musicista della Germania; a trentacinque anni si è insediato su quel piedestallo a cui Schumann lo aveva sollevato di colpo quindici anni prima. A questo punto incominciarono, nel fervido mondo musicale tedesco, saturo di cultura e di spirito polemico, grossi fraintendimenti sulla sua identità artistica: identità che ancora oggi, a un secolo dalla morte, e tutt'altro che facile da definire nonostante la diffusione universale e la popolarità della sua musica. Brahms ventenne è imbevuto di romanticismo: firma i suoi lavori con lo pseudonimo di «Kreisler», il maestro di cappella creato da Hoffmann delle cui opere si nutriva (lo stile epistolare di Brahms, per tutta la vita, resterà quello di Hoffmann: allusivo, coperto e sfuggente, sempre ironico e minimizzante sulle sue composizioni); verrà così considerato discepolo di una supposta «scuola schumanniana», campione della «musica pura» contro gli eccessi di una musica dipendente da gesti teatrali e letterari: «viviamo nell'eI ra dei musicisti scrittori, scriI veva Spitta, invece Brahms non scrive»; tuttavia, basta pensare a quanto la letteratura entri nella creatività di Schumann (in questo simile a Wagner) per capire quanto Brahms fosse intimamente diverso dal suo adorato maestro. L'altra formula fatta che rattristò a lungo Brahms fu il tentativo di farlo passare per il «vero erede» di Beethoven; di qui il disprezzo di Wagner che considerava finita l'epoca della sinfonia, e l'entusiasmo di von Bùlow che coniò l'infelice formula della Prima sinfonia di Brahms come «Decima sinfonia di Beethoven»; ma anche qui, Brahms aveva preso le sue misure dicendo una volta: «Se si ha il coraggio di scrivere sinfonie dopo Beethoven, queste dovranno essere completamente diverse»: cosa che realizzò puntualmente anche se allora era più difficile riconoscerlo. E i fraintendimenti, nel mondo tedesco, continuarono dopo la morte, per non dire della totale chiusura in Francia e in Italia (fa eccezione l'Inghilterra, dove Clara Schumann e Joachim gli avevano aperto la strada): epigono, classicista, accademico, sono etichette che ricorrono spesso; e quando Schoenberg intese capovolgerà la questione facendone un «progressista», scrisse nel 1933 un saggio che serve solo per capire Schoenberg, non certo Brahms; ancora ai nostri giorni uno storico dell'acume di Cari Dahlhaus lo ha limitato pesantemente individuandone l'essenza nel «compositore di musica da camera»: dove solo il catalogo dell'opera brahmsiana mostra la preminenza, lungo tutta la vita, di opere vocali su quelle strumentali. Brahms, la sua identità artistica, i suoi fermenti, il suo stile, sono tutt'altro che libri aperti; ma vanno studiati nel loro tempo, senza altra certezza che quella delle sue opere. In un mondo musicale, quello del secondo Ottocento, che si scaldava per il modernismo del «dramma musicale» e del «poema sinfonico», Brahms persiste nella misurata creazione di generi classici, Sonate, Quartetti, Sinfonie, Lieder che si compongono in visioni armoniose, ma rivissute all'interno e quasi rese più adulte dal respiro storico che le nutre. La bellezza di Brahms ò una bellezza riflessa; il suo tono inconfondibile, eroico senza alzare la voce, è dato dalla sua fede in un mondo di valori che la civiltà moderna stava mettendo in crisi ma la percezione di quella crisi, nonché disorientarlo, lo confermava nell'eternità di quei valori. elli Giorgio Pestelli to a sprofondare nella collusione e nella corruzione. Non è un pamphlet, Vent'anni dopo, ma le sue pagine promettono giudizi molto severi sui maggiori partiti e sui loro leader. Berlinguer, Moro e Craxi, in particolare: «Tre grandi uomini politici, ciascuno dei quali però conclude la sua stagione con un sostanziale fallimento». Il libro spiega come si possa recuperare il tempo perduto? «No, non è in nessun modo un libro di circostanza», risponde Vacca. Come leggerlo in chiave futura lo diranno semmai Massimo D'Alema, Giuliano Anato, Mino Martinazzoli e Ezio Mauro che presenteranno Vent'anni dopo martedì 28 gennaio a Roma. Alberto Papuzzi

Luoghi citati: Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Roma