QUESTA ITALIA CHE VA A PEZZI

QUESTA ITALIA CHE VA A PEZZI QUESTA ITALIA CHE VA A PEZZI SI prova un senso di pena al ripetere il discorso sullo sfacelo idrogeologico del Paese, segnalato con frequenza impressionante dalle frane e alluvioni che colpiscono il Sud come il Nord, facendo una vittima ogni dieci giorni (questa è la media degli ultimi anni) e causando danni che hanno superato da un pezzo i 100 mila miliardi. Dai 1987 «eventi franosi» del 1950 siamo alla media di oltre 4 mila negli Anni 90. Cinquantasette Comuni italiani su 100 sono a rischio. Piove forte e crollano ponti costruiti con tecniche moderne, si interrompono autostrade e ferrovie travolte da montagne di fango. Dove si ripetono le frane il suolo è particolarmente fragile. In parte per formazione naturale, in parte per sconsiderate opere artificiali che hanno aggravato il rischio. Ma più delle cause dei disastri, ormai diagnosticate da anni (la commissione di studio De Marchi risale al 1970), oggi si dove parlare della prevenzione. Pur non esistendo una mappa completa del dissesto idrogeologico su scala nazionale gli stvidi svolti finora consentono di individuare i punti del territorio più esposti. Nel caso delle città frequentemente colpite, come Napoli e Genova, si sa benissimo quali sono le condizioni del suolo, del sottosuolo, delle colline. La «Napoli di cartone» non è un'invenzione letteraria, ma la sintesi di una città caoticamente ampliata su una crosta che nasconde vuoti e voragini. Le frane sull'autostrada Napoli-Salerno hanno procedenti lontani, fino al disastro del '54 nel Salernitano. Se le situazioni sono note, che cosa è stato fatto per dare sicurezza alle popolazioni? Non possiamo sparare a zero sul governo Prodi, pur avendo l'impressione che questi problemi non siano considerati con la priorità dovuta. Ha raccolto un'eredità pesantissima. L'incuria si è protratta per generazioni. Un quinto del territorio nazionale è stato sommerso da cemento e asfalto, riducendo del 30 per cento la capacità di assorbimento delle piogge. Si è costruito sugli argini di fiumi e torrenti, nelle aree di esondazione. Ponti, viadotti, strade, si sono moltiplicati su terreni naturalmente propensi a scivolare. Per rimettere tutto in sesto sarebbero necessari fiumi di miliardi: si parla di oltre 100 mila per i primi dieci anni. Ma intanto venga alla luce un programma immediato del governo Prodi per diminuire i rischi nelle zone più esposte. Ci dicano che cosa prevede in proposito l'onnivalente Finanziaria. Di quanto si sono ridotti i 13 mila miliardi richiesti per la difesa del suolo dopo l'alluvione in Piemonte? Se mancano i quattrini per un grande piano di riassetto idrogeologico, si faccia almeno quel che è ragionevolmente possibile. Primo: completare il sistema di monitoraggio delle zone in fase di dissesto, per dare il preallarme alle popolazione; secondo: estendere a tutti i Comuni il divieto di costruire su terreni instabili e franosi; terzo: reclutare sul posto «guardie del suolo» incaricate di sorvegliare e curare i corsi d'acqua; quarto: estendere e potenziare i timidi programmi di recupero ambientale nelle zone soggette a erosioni e frane, ricordando gli aiuti dell'Unione Europea che spesso non vengono utilizzati per mancanza di progetti. Abbiamo con Edo Ronchi un verde al ministero dell'Ambiente: Prodi gli dia l'effettiva responsabilità di una politica ambientale che non sia di fatto subordinata ad altri interessi, come è avvenuto finora nell'indifferenza generale. Mario Fazio

Persone citate: De Marchi, Edo Ronchi, Mario Fazio, Pezzi, Prodi

Luoghi citati: Genova, Italia, Napoli, Piemonte, Salerno