Cosi all'Eur si gioca con le regole antiche
Sepolta l'idea del partito dell'Ulivo adesso i popolari vogliono «ritornare grandi» Sepolta l'idea del partito dell'Ulivo adesso i popolari vogliono «ritornare grandi» Cosi all'Eur si gioca con le regole antiche Dai fischi a De Mita alla cavalleria tra avversari L'ex presidente del Consiglio Ciriaco De Mita LA RISCOSSA DELLA POLITICA D'ANTAN Nell'inedito ruolo di padre nobile, De Mita ha invece dispensato una lezione di filosofia, dimostrando di essere di gran lunga il più intelligente di tutti - cosa che sembrava interessarlo più di qualsiasi altra. Il «caminetto» notturno è stato inutile. I delegati hanno acquistato le foto, hanno mangiato, hanno preso il caffè con i loro beniamini e com'è giusto, anche se non è FROMA ISCHI, voti, riti, strilli, duelli, claque e caffè: prima o poi sarebbe tornato, il congresso vero. Prima o poi, dunque, si sarebbe rivisto lo spettacolo grossolano, ma vero, della politica. Quasi un brivido, oggi. Un salto nel passato, ina forse anche un presagio, chissà. Ah, i bei congressi di una volta... Li si è rimpianti per qualche anno, ipnotizzati da maxi-schermi e video-clip, tra il frastuono di costosissimi inni composti per l'occasione;, abbacinati da giochini elettronici con simboli e stellili!!, e filmati d'autore, serate di gala o in discoteca, scenografie del tutto incongrue e ruffianerie, al contrario, sempre pm efficaci, macchine emotive montate apposta per colmare il vuoto, attutire ogni contrasto. Votare? Ma non se ne parla neanche. Bene, almeno por tre giorni, al Palazzo dei Congressi, tanto nell'aula che a una certa ora era tutt'altro che profumata, quanto nei corridoi un po' sporchetti, illuminati al neon, ecco, grazie al partito popolare e parso di capire, dopo tutto, che un congresso è un congresso, appunto, e non una sublime mascherata ad uso delle tv. A tratti il presidente Emilio Colombo, con quel suo strano tic nasale, ha faticato a tener buona la platea, ma ce l'ha fatto a colpi di ingegnosa cortesia. Il segretario uscente Bianco ha cosi tentennato da sembrare l'artefice di una sottilissima guerra dei nervi. Gli apparati hanno riscoperto i vecchi giochi delle firme e delle candidature. Gli oratori sono stati interrotti. Gli antagonisti hanno poi mostrato la dovuta dose di cavalleria. L'inchiesta Fininvest più di moda, hanno anche votato. C'era pure la macchietta, una specie di uomo-megafono che urlava, si spellava le mani e sbandierava come un forsennato senza alcun pregiudizio politico. Sarà stato tutto un po' polverosetto, e tuttavia per una volta destava sollievo, se non addirittura suscitava una gioiosa sorpresa l'assenza di attori, cantanti, parenti, ho- stess, lobbisti, bambini, pubblicitari, e fiori, quindi, gadget, sondaggi, dossier, mostre d'arte e finto iniziative di beneficenza. Al dunque, i telemaniaci si sono dovuti accontentare di don Mazzi e Red Ronnie. Quest'ultimo, per la verità, non si è visto solo in platea, ma è stato pure nominato sui tre quarti del discorso di Castagnetti, ahimé sfregiandone la fino a quel punto 150 anni del psdi Indagini sulle coop sobria architettura (poi definitivamente deturpata da finte lettere castagnettiane a giovane disoccupato, piccolo imprenditore e militante di base). Per il resto, una volta felicemente rigettata l'artificialità dei meeting politici di questi anni, l'aspetto spettacolare del congresso ha dovuto per forza recuperare le antiche risorse di un tempo: più innocenti, ma anche più autentiche, comunque non necessariamente condizionate all'universo della comunicazione. In altre parole: chi voleva, ha potuto entusiasmarsi di fronte ai preziosismi lessicali del baritono Mancino («Non ci facciamo ironizzare»), alle ardite similitudini dell'emozionatissima Cavani («il ppi come Dumbo, un partito che sappia volare con le orecchie»), o alle ulteriori strofe bennatiane recitate dal giovane Letta. La Rosy Bindi, nel frattempo, ha offerto alla vista tailleurini multicolori, Andreatta s'è più volte assopito, Fracanzani è dimagrito e per un attimo D'Antoni ha atterrito l'uditorio proclamando: «La cosiddetta mondializzazione è fra noi». Più di tutto, in ogni caso, s'è visto e s'è gradito il duello, genere congressuale anch'esso da tempo in totale desuetudine. Marini ha dato un vero saggio di virtuosismo e sicurezza oratoria fino a persuadere la platea in modo scientifico. Ha puntato quasi tutto sull'orgoglio di partito e sullo Stato sociale, deliberatamente ignorando questioncine come le riforme istituzionali o la giustizia. Ci ha messo un sacco di cuore. Proprio quella passione che è mancata al discorso, culturalmente assai più aggiornato ed impegnativo, di Castagnetti, l'ultimo dei «professorini» di tradizione democristiana, con il suo ditino alzato, l'inflessione emiliana («Non sono Yambassiatore dell'Ulivo nel ppi») e i riferimenti etici. Le differenze tra i due erano così evidenti da permettere addirittura una scelta serena. In Parlamento
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