«Sarò un Juan Carlos»

« « Stirò un Juan Cnrlos » Parla Alessandro diJugoslavia IL PRETENDENTE AL TRONO OLONDRA GNI giorno che passa, ogni protesta di piazza che scuote Belgrado, ogni passo falso di Milosevic portano più vicina la democrazia in Serbia. E la democrazia non può che favorire la mia posizione. Questo sarà un anno decisivo». Il principe Alessandro sogna il trono di quella che era la Jugoslavia: dal suo ufficio in Park Lane, che dà su una Londra imbiancata dalla neve, sogna di poter restituire un giorno alla sua famiglia il regno che era stato di suo padre Pietro II e di suo nonno Alessandro I. Dall'esilio il propronipote della regina Vittoria, che è anche figlioccio di Elisabetta, guarda il suo Paese e si tormenta: spera che il confronto tra dittatura e democrazia non prenda una piega violenta («ma mi preoccupa - dice - che la polizia sia stata dotata di armi automatiche») e spera di restituire, con una corona in testa, «stabilità nella democrazia». Ma non ci sono più la Slovenia, la Croazia, la Bosnia... «Lo so, ma spero anche in un "effetto domino". Non nel senso che, ridiventato monarchico quel che resta della Jugoslavia, lo diventino anche le altre Repubbliche. Ma nel senso che la democrazia potrebbe essere contagiosa; e con quella nascerebbero buon vicinato e rapporti amichevoli. Il popolo jugoslavo sa che ho le carte in regola: ho studiato in Occidente, sono vissuto fra Londra e Stati Uniti. Sono cresciuto nella democrazia». Ma c'è l'ostacolo Milosevic. «E' tempo che se ne vada, il popolo non ne può più. La Serbia e il Montenegro sono intemazionalmente isolati e la popolazione non consentirà più a quell'uomo di rubare i suoi voti. E' un dinosauro del passato, una forza bruciata. Ormai la Chiesa ortodossa è contro di lui, al-

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