UNA CREATURA DI SOGNO di Augusto Romano

UNA CREATURA DI SOGNO UNA CREATURA DI SOGNO L'uomo secondo Hillman FUOCHI BLU ""m JOT" OLTI anni fa, Roger Caillois argo- James Hillman /■ mento in questo modo la indistin- Adelphi ìj Im I I guibilità di sogno e veglia- «Mi ac- pp. 467 I Wk / corgo di addormentarmi. Mi rendo L 60.000 Sa / conto di svegliarmi. Una volta sve¬ glio, so di esserlo. Ma quando sogno, sono ugualmente persuaso di essere sveglio. Cosi che, essendo persuaso di essere sveglio, non posso mai avere la certezza di non stare sognando» (L'incertezza dei sogni, Feltrinelli!. Mi sono ricordato di questo passo leggendo la ricca (persili troppo) antologia di scrini hillmaniani che, sotto il titolo alchemico di Fuochi blu, Thomas Moore ha compilato e viene ora tradotta da Adelphi. Hillman è infatti un implacabile assertore dei diritti del sogno, un devoto dei messaggi del inondo infero. Se si dovessero rintracciare i capisaldi del suo pensiero psicologico, credo che ne basterebbero due a renderlo inconfondibile: la relativizzazione dell'Io e della coscienza e il culto delle immagini. Il mito eroico, che è mi mito fondante della cultura occidentale e sostanzia il programma stesso della psicanalisi («Là dove era l'Es dovrà essere l'Io») viene rovesciato radicalmente. L'imperialismo dell'Io è, per Hillman, responsabile di ogni male del mon do; ma se l'Io viene considerato soltanto come mia delle tante figure che popolano il teatro della psiche (e non tra le più importanti I, ecco che lo sfondo monoteistico della nostra psicologia si espande in un lussureggiante politeismo. La storia dell'anima non rassomiglierà più ad un film western nel quale lo sceriffo solitario (l'Io) combatte contro il male sino a sconfiggerlo ma assumerà l'andamento di un racconto picaresco gremito di personaggi e di avventure, policentrico e potenzialmente inesauribile. Partito da Jung, Hillman se ne è poi molto allontanato, conservando del maestro quasi soltanto la nozione di archetipo ed esasperando il principio dela dissociabilità della psiche. Ne è risultata una psicologia che potrebbe essere detta postmoderna, per il gusto del bricolage e il rifiuto di ogni gerarchizzazione delle istanze psichiche, ed è certamente antiumanistica. In questo senso, mi sembra che Hillman dia corpo alla mtuizione di Caillois e ne tragga tutte le possibili conseguenze: il ritiro dell'Io rende il racconto (la vita) indeterminato e indeterminabile e, col rifinire delle immagini forti, che sono immagini diurne, diventa possibile dire: dov'è la veglia, là dovrà essere il sogno. Naturalmente, con l'Io sono destinate a sbiadire anche le sue funzioni e attività più tipiche: il pensiero concettuale, la discriminazione razionale, il finalismo volontaristico. Dare spazio alla varietà e conflittualità dell'anima e legittimarla significa accettare non solo la tensione ma anche la confusione e l'oscurità. Oscurità e profondità tendono a coincidere: lo spettacolo si svolge sempre in penombra, e da questo sfondo indefinito emergono continuamente immagini, cioè figure dell'altro mondo: esse sono la porta della conoscenza. L'antropologia hillmaniana sostiene essenzialmente che l'uomo è una creatura di sogno («le nostre esistenze sono le rappresentazioni dei nostri sogni») immerso in un mondo mitico popolato da Dei, che sono gli imperiosi modelli cui si ispira lo stile della nostra vita («noi siamo maschere attraverso cui risuonano gli Dei»). Mosso da questa sorta di amor iati, l'Io immaginale si trova a suo agio nell'oscurità e si muove tra le immagini come una di loro: avendo rinunciato a rivendicare la propria centralità, nonché al desiderio di mettere ordine e di perseguire un qualsivoglia tipo di unità, la sua azione sarà guidata dalle qualità femminili della flessibilità, della pazienza, della accoglienza, e consisterà soprattutto in un dialogo ininterrotto e mai concluso con le figure che scaturiscono dal profondo. Un dialogo da cui è escluso ogni giudizio di valore e che consiste piuttosto in un continuo rimandarsi di immagini, che nel lo- James Hillman Ì ìmmagini, miziatico: ro emozionante fluire sprigionano primariamente un piacere estetico. Estetismo, fluidità, trascendenza della realtà ultima rispetto alla possibilità che l'Io ha di coglierla: queste linee direttive rendono conto anche del peculiare stile di scrittura di Hillman, che è elusivo, sinuoso, raffinatamente retorico, e ama le infinite variazioni ma nessuna conclusione. Considerate queste premesse, si può immaginare cosa resti del tradizionale impianto della terapia psicologica. L'amore per tutti i contenuti della psiche, quali che essi siano, porta Hillman a rinunciare alla differenza stessa tra sanità e malattia, e cosi a ogni idea di guarigione. Le patologizzazioni sono necessarie alla psiche perché le permettono di scendere nelle sue stesse profondità per cercarvi la divinità che, attraverso i sintomi, chiede di essere onorata. «Nel mio sintomo è la mia anima»: non dunque ùiterpretazioni ma amore per le immagini che la sofferenza secerne. La sofferenza, tradotta hi manifesta il suo senso non diversamente, gli amori infelici nutrono l'anima e rivelano l'uomo a se stesso. Il mito di Hillman è quello dell'uomo «trasparente», che non ha più nulla da nascondere, ÌI& che ha accettato radicalmente se stesso e i suoi peccati ed è anzi grato di avere questi peccati, a tal pimto ama la sorte che gli è toccata, né cliiede più di essere redento f «il mio mito diventa la mia verità: la mia vita diventa simbolica»). Hillman è diventato, in certi ambienti, un oggetto di culto: il che vorrà pur dire qualcosa A parte le straordinarie intuizioni psicologiche che spesso si ritrovano nelle sue pagme, il suo pensiero è adatto ad accompagnare il secolo alla sua morte, giacché trasforma la delusione per le magnificile sorti in speranza in un assetto diverso dei rapporti dell'uomo con se stesso, con gli altri e con la natura. La valorizzazione della immaginazione, la democratizzazione dello spazio psichico, la disponibilità nei confronti dell'inconscio in una misura quale mai si era data smora, sono certamente dei valori. Tuttavia, trapela in lui una certa msofferenza nei confronti del mondo, e un sospetto di estremismo snobistico, che in una certa misura contraddicono le sue idee e rivelano quello slancio verticale che è proprio di uno stile psicologico adolescenziale. Col rischio di una equivoca leggerezza, di un troppo baldanzoso andare verso l'ignoto e l'oscuro, quasi cedendo alla tentazione - per usare un ricordo di infanzia di Walter Benjamin - di perdersi «nel reticolo del rovescio del foglio che, ad ogni punto con cui sul davanti mi avvicinavo alla meta, diventava sempre più aggrovigliato». Augusto Romano

Luoghi citati: Adelphi, Mosso