LA DIFFICILE PARTITA CON IL DIO NASCOSTO
LA DIFFICILE PARTITA CON IL DIO NASCOSTO LA DIFFICILE PARTITA CON IL DIO NASCOSTO Paolo De Benedetti tra Bibbia e Shoà ASTI «Auschwitz è il doloredei dolori: riassume e nobilita tutte le piaghe. La sfida del male: una ricerca sulle tracce di maestri quali Dostoevskij e Pareyson» O, la Shoà non ha infierito su di noi. La sorte è stata prodiga di riguardi. I questurini vennero, si fermarono nell'ingresso. Dissero (si dissero): il dottore non c'è. Era il nonno medico, ultranovantenne: stava in una camera accanto. Le signorine Jona, invece, furono deportate». Anche nell'avverbio si cela il Verbo. Nell'invece è l'imperscrutabilità di Dio, l'interrogativo che sempre suggella il Nome, la riflessione intorno a Colui che forse c'è o forse non c'è, che tace e parla (parlava). Non a caso si intitola Quale Dio? il nuovo grano di sapienza affidato da Paolo De Benedetti alla Morcelliana. Sessantanovenne, docente di Giudaismo a Milano e di Antico Testamento a Urbino e a Trento, fra i curatori dell'Enciclopedia Europea Garzanti, nel fisico e nella mente è un roveto, un prunaio. Gentile (non giulebboso, va da sé), ma affilato, all'erta: una trincea opposta agli incensi, all'apologetica, al De Deo, agli adoratori «dell'idolo metafisico e imperiale scambiato per Dio». De Benedetti, ovvero un figlio di Sara e di Abramo? «Un marrano, in realtà. Sospeso fra fedeltà ebraiche e convinzioni cristiane (ho ricevuto il battesimo), egualmente irrinunciabili». Non dimenticando le piemontesi, inestirpabili radici. «Nella valle Casablanca la mia famiglia giunse centotré anni fa, da allora mai abbandonandola. Io vi torno appena posso. Qui attingo una misura robusta degli uomini e delle cose». Come Raffaele, una figura di I giorni del mondo, il romanzo di Guido Artom ambientato nel piccolo ghetto astigiano. Che la sera di Pasqua augura e si augura: «Un altr'anno a Gerusalemme». Salvo avvertire «che la sua terra era quella, che il paesaggio di colline, tagliato dalle anse lente del fiume, era quello in cui avrebbe voluto trascorrere la sua vita, i giorni, le notti». Sentinella, a che punto è la notte? «Ciò che tarda avverrà», assicurava Paolo De Benedetti in un lontano testo per le edizioni Oiqajon della Comunità di Bose. 0 meglio: va accadendo. Ricorda: «Elia Benamozeg, un grande rabbino dell'Ottocento, sosteneva: "Il Messia non è venuto, non verrà, sta venendo". Negli stessi Atti degli Apostoli si afferma che Gesù verrà, non che tornerà». Aspettando, vigilando («Ogni secondo, in esso, era la piccola porta da cui poteva entrare il Messia», secondo Benjamin), una cosa sappiamo: dove piange l'anima di Dio, dove abita il dolore di Dio. <(A Gerusalemme è il memoriale della Shoà. Archivi, biblioteche, la sotterranea Galleria dei Bambini, affondata nel buio. In alto palpitano esili luci, una voce sillaba i nomi, l'età, l'origine del milione e mezzo di piccoli uccisi». Una sofferenza immensa. Epperò non l'unica. I diversi dolori posso¬ Belka, un cane, appunto. Se mi si domanda come immagino Dio, non esito: come un cane bianco. In fondo la nuvola, che rappresenta l'immanenza, ne è una nitida eco». Quale Dio? Non si confà a De Benedetti il Dio dialettico di un suo maestro, Luigi Pareyson («E' straordinario che a vincere definitivamente il male, il dolore, la distruzione, sia il Dio impotente, così impotente da subire egli stesso il male, la sofferenza, la morte»). Il Dio di De Benedetti non si staglia nel «definitivamente», non si erge sulla valle di lacrime, prosciugandola. «E' un Dio - spiega nella storia, compromesso. Certo, è migliorabile. Nel senso che mi¬ no sperare in una Visita? «La Shoà è il dolore dei dolori, riassume le piaghe del passato, le riscatta dall'oblio, le nobilita, conferisce loro un'indelebile dignità». La pluralità dei dolori, il rispetto che ciascuna «croce» esige. Paolo De Benedetti invita a soffermarsi sulla dedica di Quale Dio?: «A Pucchia in memoriam». «Chi è Pucchia? Ecco». E mostra un quadretto alla Velàzquez: non c'è il barboncino del pittore spagnolo, c'è il cagnolino - scomparso - del professore. «Nelle pagine dove cerco di ri-pensare Dio muovendo dalla sofferenza, convoco vari scrittori, in primis il Dostoevskij di Memorie di una casa di morti, il capitolo che narra l'agonia di gliora. 0 sono io a migliorarne l'idea. Il Dio delle vendette, per esempio, mi è ormai estraneo. Il Dio dilaniato da Auschwitz, no, il groviglio di terrifiche ipotesi che ha acceso è tuttora inestricato: sapeva e poteva?, sapeva e non poteva?, non sapeva e non poteva?». Dio muto, Dio che fa zimzum, che nasconde il volto, che si ritrae, che si restringe in sé, che si esilia, lasciando l'uomo attonito, sconvolto, financo disperato. Paolo De Benedetti, per illustrare lo sconcerto in Terra, ricorre alle parole di Rabbi Levi: «Ti aggiravi sul monte Sinai come un mercante che non riesce a piazzare la sua merce. Noi abbiamo accolto la Torà. Ed è questa la ricompensa?». Ma se - come avverte Qoèlet, il libro di chi «non riesce a credere in maniera tranquilla», prediletto da Paolo De Benedetti - c'è un tempo per parlare, per lanciare i sassi, c'è insieme un tempo per tacere. Se il Suo silenzio innesca la nostra invocazione o il nostro riv, la contesa, la lite (Giobbe: «Ecco qui la mia firma! L'Onnipotente mi risponda!»), perché non imitarLo? Magari si degnerebbe di rispondere. Mose, inseguito dalla cavalleria egiziana, il mare di fronte, non apriva bocca. Ciò nonostante si sentì chiedere: «Perché gridi verso di me?». «E se - Paolo De Benedetti toma agli Anni Sessanta, quando con Italo Mancini introdusse in Italia il Bonhoeffer di Resistenza e resa - ci comportassimo, semplicemente, etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse?». Di interrogazione in interrogazione, dalle interrogazioni avvolti, circuiti. Mazel tov, buona fortuna, come in lingua ebraica si è soliti augurare buon anno.
Luoghi citati: Gerusalemme, Italia, Milano, Trento, Urbino
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