GORDIMER: NON CE' IMPEGNO SENZA IMMAGINAZIONE

GORDIMER: NON CE' IMPEGNO SENZA IMMAGINAZIONE GORDIMER: NON CE' IMPEGNO SENZA IMMAGINAZIONE SCRIVERE ED ESSERE Nadine Gordimer Feltrinelli pp. 180 L 28.000 UANDO nel 1991 fu assegnato il Premio Nobel a Nadine Gordimer, in Sud Africa cominciava lo smantellamento del regime dell'apartheid che si sarebbe concluso, tre anni dopo, con le prime elezioni democratiche. Mandela era appena tornato in libertà ma lunga era la lista di scrittori incarcerati o messi al bando per ragioni politiche e pesante il bilancio della censura con le sue novanta categorie di reato. Essendone stata vittima, l'autrice di Storia di mio figlio non poteva non ricordarlo, allargando la prospettiva a tutti gli emarginati e i perseguitati dai regimi totalitari, da Mann a Kundera, fino a Salman RushcQe. «Scrivere è sempre un'esplorazione di sé e del mondo, dell'essere individuale e collettivo» affermò Gordimer che da Un mondo di stranieri (1961) a Nessuno al mio fianco (1994) ha raccontato la drammatica complessità del suo paese privilegiando il vissuto rispetto agli eventi, libera da forzature ideologiche. E nel suo discorso, intitolato non a caso Scrivere ed essere, considerando quella dello scrittore «una funzione di intervento»; associando la letteratura all'immagine della fiaccola che illumina «il labirinto sanguinoso» del mondo, ribadì una posizione che nel nostro secolo, dall'affaire Dreyfus in poi, ha legato l'impegno intellettuale a grandi lotte. Ma citando il «coraggio nella vita e talento nelle opere» invocati da Camus e l'idea di Marquez che «il modo migliore per servire il proprio paese è scrivere al meglio», ridefiniva la nozione di impegno più nel senso dello chemin de ronde di Blanchot che del radicalismo sartriano. Lo scrittore può servire l'umanità - disse infatti - solo mettendosi con onestà di fronte alla propria esistenza, e solo nella misura in cui usa la parola persino contro chi condivide le sue idee. Mentre rilanciava la responsabilità dello scrittore e la ricerca della verità che «coglie l'essere e si avvicina alla giustizia», non trascurava tuttavia di avvertire che non c'è arte senza l'immaginazione. Le stesse idee sono alla base delle sei lezioni che nel 1994 Gordimer ha tenuto all'Università di Harvard nell'ambito delle Norton Poetry Lectures ora in traduzione italiana da Feltrinelli insieme a Scrivere ed essere che dà il titolo al volume. Se Calvino, anche lui abituato a considerare la letteratura come ricerca di conoscenza, per muoversi sul terreno esistenziale sentì il bisogno di estenderlo all'antropologia, all'etnologia, alla mitologia, e orchestrando col consueto gusto delle simmetrie una gran mole di riferimenti, costruì le sue conferenze attorno a sei valori da affidare al prossimo millennio, Gordimer ha svolto le sue lezioni di poetica sul tema del romanzo come coagulo di esperienza individuale e collettiva, rivelando una forte partecipazione emotiva. Che cos'è e come nasce un personaggio letterario? Quanto di autobiografico o di realistico vi proietta lo scrittore? E qual è il segreto dell'immaginazione? Partendo da questi interrogativi che intrigano comunemente i lettori dividendo la critica, la scrittrice sudafricana individua l'essenza e la finalità della narrazione romanzesca nella «scoperta e registrazione del mondo dell'uomo» restituiti attraverso quello specchio metafisico in cui secondo Primo Levi, cogliendo il lato nascosto, l'immaginazione trasforma la realtà. Gordimer rivede poi, dopo trent'anni, il suo giudizio limitativo nei confronti dell'opera di testimonianza, convinta che «la lotta dell'uomo contro il potere è come ha detto Kundera - la lotta della memoria contro l'oblio». E, prima di concludere con una lezione di carattere autobiografico, analizza magnificamente tre opere esemplari della «ricerca della libertà» in territori al di là dei regimi, delle società e delle culture. Ecco allora animarsi quel/amilien-roman tutto giocato sulla crisi dei valori tradizionali e degli sconvolgimenti politici che è La trilogia del Cairo di Nagib Mahfuz; e accendersi il dibattito interiore dei Viandanti della storia di Chinua Achebe, divisi tra l'azione rivoluzionaria, la compromissione col potere, la sofferenza di chi non possiederà mai Vignarne e il coltello; ecco poi dipanarsi, sotto il segno dell'ironia verso «la cieca rettitudine del regime», la continua osservazione del catatonico poeta mancato che è Fima di Amos Oz. La scelta di un arabo, un africano e un israeliano, che in paesi con democrazie in fase di transizione hanno affidato ai loro personaggi la passione di scuotere la società senza risparmiare nessuno, riflette la stessa modalità di intervento della scrittrice che soprattutto nelle ultime opere ha messo in scena la resa dei conti e il ritorno degli esuli, o le ombre dei militanti. In tempi di «cinismo» dell'intellettuale postmoderno - come è stato scritto - e di crisi d'identità della sinistra, nella cui evoluzione Gordimer però seguita a sperare, i tre scrittori «ingiustamente trascurati» da quanti saranno presi a modello di «una strada per il domani»? Infine, lo stesso/eeZing pervade l'acuta rilettura di Joseph Roth in appendice, e di grande interesse risultano le brevi note in cui la «zingara», che ha cominciato a costruire se stessa adattando alle sue emozioni di adolescente i Proust, Checov e Dostoevskij presi a prestito nella biblioteca comunale di un villaggio minerario in provincia di Johannesburg, spiega come lo scrivere sia diventato per lei «gesto significativo» e il Sud Africa, fmaJmente, il suo paese. Paola Decina Lombardi

Luoghi citati: Sud Africa